“Mio caro padrone, domani ti sparo, farò di tua pelle sapon di somaro, ti stacco la testa che è lucida e tonda, così finalmente imparo il bowling. Miei cari compagni perché quelle facce, ho detto qualcosa che un po’ vi dispiacce, se forse ho ecceduto non fateci caso, vent’anni di rabbia fan parlare così…”
Sono parole di una canzone di Paolo Pietrangeli, cantautore di lotta e regista di cinema e poi di televisione. Pietrangeli è morto pochi giorni fa e questa è una delle sue canzoni meno note, diversamente dalle più famose “Contessa” e “Valle Giulia”. Le quali anch’esse raccontano la rabbia di chi all’epoca si sentiva ed era sfruttato (vi ricordate gli operai?) o di chi lottava per una scuola e un’università diversa (gli studenti che riempivano le piazze). Una rabbia che spesso sfociava nella violenza, quasi sempre provocata dalle cosiddette forze dell’ordine: a cominciare dal famigerato reparto Celere della Polizia, inventato dal Ministro dell’Interno Mario Scelba qualche anno prima e addestrato proprio per reprimere con la forza chi protestava nelle piazze. Chi si ricorda di quei caroselli delle jeep con a bordo i poliziotti che colpivano con i manganelli chiunque trovavano sulla loro strada? Spaccando teste e a volte investendo i manifestanti, non di rado sparando (proiettili e non solo lacrimogeni) e quindi uccidendo qualcuno.
Ecco, Pietrangeli con le sue canzoni ci ha raccontato quel periodo, usando anche un linguaggio molto crudo ma spesso ironico, capace di rendere perfettamente il clima dell’epoca. Canzoni che oggi provocherebbero scandalo, condito da denunce morali e penali, farebbero gridare all’istigazione all’odio, si invocherebbe il politicamente corretto, ci si appellerebbe alla censura… Pensate solo a questa strofa di “Contessa”: “Voi gente per bene che pace cercate, la pace per far quello che voi volete. Ma se questo è il prezzo, vogliamo la guerra, vogliamo vedervi finir sotto terra…”. Figuriamoci cosa accadrebbe se oggi un cantante, magari un rapper, scrivesse qualcosa del genere. Scoppierebbe l’ira di Dio sui social, in televisione e sui giornali. Ma forse neanche tanto, forse durerebbe poco, un ennesimo fuoco di paglia nel quale brucerebbero sia la canzone sia le reazioni ad essa. E non solo perché nella nostra epoca tutto passa e va nel giro di un attimo, nulla resta, nulla sedimenta, nulla consente di approfondire e scavare: viviamo giorno per giorno, anzi ora per ora. Ma anche perché dietro quell’eventuale canzone del rapper ci sarebbe poco a sostenerla, non ci sarebbero gli operai o gli studenti o qualcun altro che mettesse in discussione quello che una volta – appunto al tempo di Pietrangeli – veniva chiamato il “Sistema”, che era non solo il governo ma tutto lo Stato, inteso come coloro che ci governano, dalla politica all’economia, dal mondo estero che ci circonda e che quasi sempre decide al nostro posto anche se non ce ne accorgiamo (o facciamo finta di non accorgercene).
Oppure, invece, qualcuno c’è che mette in discussione questo “stato di cose esistente”, come si diceva una volta. E sono i giovani che in tutto il mondo protestano per l’ambiente, ossia contro il surriscaldamento della terra, che poi significa il sistema economico globale, insomma il capitalismo. Vorrebbero, questi giovani, un altro mondo, più giusto, più equo, più solidale, meno attaccato al profitto purché sia. Vorrebbero riuscire a pensare a un futuro decente, per loro e per i loro figli e nipoti. Pensano a sé stessi e soprattutto agli altri, a chi verrà dopo. Pensano al futuro del nostro mondo, altrimenti detto la Terra.
Esattamente al contrario di altri che in questo periodo riempiono le piazze italiane ed europee, parliamo ovviamente dei no vax e dei no pass. Ecco queste persone non hanno nulla a che fare né con i ragazzi di Greta e tantomeno con le canzoni di Pietrangeli, anche se dicono di voler lottare contro il Sistema, anche se invocano la libertà, anche se si scontrano con la polizia. Qui siamo su un altro pianeta, il pianeta dell’individualismo più sfrenato, dell’egoismo più estremo, dell’ideologia nella sua accezione più negativa. Dell’interesse particolare, dell’idea che io faccio quel che mi pare e non mi interessa cosa possa succedere agli altri, della negazione del pensiero di Martin Luther King: “La mia libertà finisce dove comincia la vostra”.
Per fortuna, e finalmente, il governo è riuscito faticosamente (non tutti erano d’accordo, vedi alla voce Salvini) a prendere un provvedimento importante. Non siamo arrivati all’obbligo vaccinale, ma quasi: ovvero solo chi ha fatto i vaccini oppure è guarito dal Covid potrà entrare in bar, ristoranti, alberghi, palestre, piscine, andare a sciare e così via. Gli altri, quelli cioè che si limiteranno a farsi un tampone che dura 48 ore, potranno uscire di casa solo per andare in ufficio, comprare generi di prima necessità e poco altro. Protesteranno, scenderanno in piazza, metteranno a ferro e fuoco le città? Può darsi, oppure magari alla fine la maggior parte di loro si vaccinerà obtorto collo, probabilmente senza essersi convinti ma in questo caso quel che conta è il risultato. Che poi significa rovesciare il loro concetto, cioè che la libertà degli altri non conta nulla, libertà che poi in questo caso significa la salute e quindi la vita. Invece conta, anzi è il principio fondamentale di un mondo che non deve essere quello sintetizzato dal sonetto di Giuseppe Agostino Belli, reso famosa da Alberto Sordi nel film “Il Marchese del Grillo”. “Io so’ io e voi nun siete un cazzo”.
Riccardo Barenghi