Il preavviso, la sua natura giuridica e l’efficacia obbligatoria
Con la decisione 27934, ordinanza, 13 ottobre 2021, la Corte di cassazione ha ribadito la tesi della efficacia obbligatoria del preavviso, con tutte le conseguenze che possono impattare sulle vicende estintive del rapporto di lavoro, segnatamente escludendo che, in caso di dimissioni di un dirigente (nel caso trattato nella ordinanza), il licenziamento durante il periodo di preavviso in corso di espletamento possa comportare oneri economici a carico dell’azienda.
L’istituto del preavviso adempie alla funzione economica di attenuare le conseguenze pregiudizievoli della cessazione del rapporto di lavoro ed è quindi imposto nell’interesse della parte contraente che subisce il recesso, configurandosi come termine di efficacia del recesso.
Le pronunce della Cassazione si sono consolidate nell’affermare la efficacia obbligatoria del preavviso. Di conseguenza, qualora la parte recedente intenda far cessare il rapporto con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo per il recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva, e senza che da tale momento possano avere rilevanza eventuali avvenimenti sopravvenuti. Ciò a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto di lavoro, protraendone l’efficacia sino al termine del preavviso (vedi, tra le tante, Cass. 22322/2013; Cass. 11086/2012; Cass. 36/2011; Cass. 22433/2010; Cass. 21216/2009).
Il primo argomento a favore dell’efficacia obbligatoria del rapporto risiede nel dato testuale dell’art. 2118 c.c. che parla di “indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso”. Il condizionale “sarebbe” sottindende una realtà inespressa – “se fosse proseguito il rapporto di lavoro” – e ciò esclude la volontà legislativa di intendere il rapporto come proseguito sino al termine del preavviso. Anche il dato sistematico è orientato nel suggerire la natura obbligatoria del preavviso. A differenza di altre ipotesi in cui il legislatore associa al recesso l’onere del preavviso (ad esempio, il recesso dal contratto di agenzia), il dato normativo disciplina espressamente le conseguenze del mancato preavviso. Proprio per quest’ultima circostanza dovrebbe valere il principio: in questi termini, infatti, deve valere il principio per cui “dove la legge ha voluto ha detto, dove non ha voluto ha taciuto” (ubi lex dixit voluit, ubi tacuit noluitt) (Cass. 11740/2007). E infatti l’art. 2118 non prevede affatto che la sostituzione del preavviso lavorato con indennità avvenga per accordo delle parti.
L’affermazione dell’efficacia obbligatoria del preavviso è densa di conseguenze sul piano pratico: la comunicazione del recesso con offerta dell’indennità sostitutiva determina la cessazione immediata del rapporto di lavoro, con conseguente irrilevanza di eventuali sopravvenienze. Di conseguenza la sospensione del rapporto di lavoro in caso di malattia va esclusa nel caso in cui il datore di lavoro recedente opti per questa soluzione, con conseguente impossibilità per l’art. 2110 c.c. di operare. In questi termini si deve considerare la regola prudenziale per cui raramente viene concessa la possibilità di prestare in servizio il periodo di preavviso, onde evitare che il dirigente durante tale periodo cada in malattia, sospendendo la durata del preavviso per il periodo di conservazione del posto con pagamento dell’intera retribuzione che, per questa speciale categoria di lavoratori, può raggiungere la durata di un anno. La coincidenza tra comunicazione del licenziamento, dispensa dal preavviso e pagamento dell’indennità sostitutiva elimina alla radice ogni possibile evenienza di questo genere, che comprende tutti gli eventi indicati nel suddetto art. 2110 c.c., malattia, infortunio, maternità.
La disciplina del preavviso nella contrattazione collettiva e la decisione 27934/2021
L’ordinanza n. 27934 del 13 ottobre riguarda il caso di un datore di lavoro che, a seguito di dimissioni di un dirigente, ha proceduto a dispensare il lavoratore dall’effettuare il preavviso in servizio, comunicando l’interruzione del rapporto di lavoro con effetto immediato, senza nulla corrispondere a favore dell’altra parte.
Secondo la decisione in oggetto, che ha suscitato un certo interesse tra gli addetti ai lavori, dalla natura obbligatoria dell’istituto in esame discende che la parte non recedente (in questo caso il datore di lavoro), che abbia – come nel caso di specie – rinunziato al preavviso, nulla deve alla controparte, la quale non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino a termine del preavviso; nessun interesse giuridicamente qualificato è, infatti, configurabile in favore della parte recedente; la libera rinunziabilità del preavviso esclude che ad essa possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori/economici in contrasto con le fonti dell’obbligazioni indicate nell’art. 1173 c.c.
Le perplessità che hanno accompagnato i primi commenti derivano dalla circostanza che nella decisione non si fa cenno alcuno ad eventuali previsioni difformi ad opera della contrattazione collettiva, le quali prevedono, non infrequentemente, una possibile differente disciplina. Proprio l’art. 23 del CCNL dirigenti industria, applicato al rapporto dedotto in giudizio, prevede una combinazione di disposizioni, tra i commi 4 e 5 che, quantomeno, potrebbero far sorgere dubbi sulla linearità della soluzione adottata dalla sentenza, segnatamente in ragione della circostanza per cui “è in facoltà del dirigente che riceve la disdetta di troncare il rapporto, sia all’inizio, sia durante il preavviso, senza che da ciò gli derivi alcun obbligo di indennizzo per il periodo di preavviso non compiuto”. Questa clausola contrattuale urta violentemente contro il contenuto della decisione della Cassazione, quantomeno in linea di principio e sulla supposta valenza generale della regola individuata dalla Suprema corte a favore della tesi opposta nel caso di dimissioni del dirigente.
Uno sguardo alle previsioni di alcuni rilevanti settori della contrattazione collettiva del comparto dirigenti mostra come una soluzione della natura di quella accolta nell’ordinanza in questione possa urtare con il contenuto delle clausole. Il caso più emblematico è quello del CCNL terziario/commercio, dove si legge, nell’articolo 29, in tema di dimissioni, che il datore di lavoro che, ricevute le dimissioni, rinunci in tutto o in parte alla continuazione del preavviso, “è tenuto a corrispondere al dirigente le relative mensilità”. Lo stesso contratto collettivo, oltremodo, prevede in un’altra specifica clausola, articolo 30, comma 6, che “Durante il periodo di preavviso, anche se sostituito dalla relativa indennità, valgono tutte le disposizioni economiche e normative e le norme previdenziali e assistenziali previste dalle leggi e contratti in vigore e loro eventuali variazioni”, sollevando non pochi dubbi in ordine alla efficacia del preavviso, quantomeno nella fattispecie tipica delineata che, in anni non recenti, ha creato non pochi dubbi applicativi, a fronte di rivendicazioni contrattuali dei dirigenti licenziati che nel periodo “virtuale” di vigenza del preavviso, richiedevano indennità contrattuali maturate, aumenti contrattuali, periodi di malattia e via dicendo.
Pasquale Dui