“Non vi è rosa senza spine, ma vi sono parecchie spine senza rose” osservò argutamente il filosofo Schopenhauer. Potrebbe essere perfino la foto del momento che sta attraversando il nostro Paese.
Lo scenario attuale, lo sappiamo bene, è occupato da varie situazioni di malessere politico e sociale. Da tempo il Paese, sottopelle, sta accumulando molte tensioni che, come si è visto, di volta in volta trovano la via di uscita allo scoperto sotto forma di proteste che spesso ricordano lugubri ritorni al passato ed assumono le sembianze di una pericolosa violenza.
Il sindacato italiano ha reagito ancora una volta con unità e capacità di aggregazione, svolgendo un ruolo che la mediocrità della vita politica non era in grado di assolvere. Se non altro da eventi tempestosi come il vile assalto alla sede della Cgil possiamo dedurre che la lunga tendenza a delegittimare le forze sociali ed in particolare quelle sindacali alla prova della realtà non ha retto ed è naufragata.
Ma… le spine che abbiamo davanti sono ancora numerose e soprattutto provengono da ciò che avviene sul piano internazionale e getta incognite sulla nostra stessa ripresa se non saremo tanto accorti da anticipare e monitorare l’evolvere di questioni come l’energia in primo luogo, l’inflazione come principale derivato e, forse, come paventano diversi esperti, lo sbocco in un periodo di confusa geopolitica in grado di procurare nuovi danni.
E’ abbastanza chiaro che le tensioni sul terreno dell’energia che provocano con l’aumento dei prezzi delle altre materie prime e dei beni alimentari le fiammate inflazionistiche ha origini soprattutto nei problemi di rapporti che attraversano la comunità mondiale. Ma questa volta le conseguenze sulle condizioni di vita dei vari Paesi sono più immediate, inevitabile regalo della globalizzazione non regolata.
Ci troviamo quindi nella condizione di dover subire le conseguenze degli attriti e dei diversi interessi internazionali che però producono rapidi effetti sulle buste paga dei lavoratori così come allarme per gli approvvigionamenti in vista del periodo invernale.
La Russia di Putin punta ad usare l’arma di pressione del gas per avere via libera sul gasdotto North stream 2, malvisto però da Ucraina e dagli Usa. Cina ed India d’altra parte fanno concorrenza all’Europa per quanto riguarda l’approvvigionamento dei loro giganteschi apparati industriali ed infine il mondo arabo è scosso, come si vede dalla instabilità dell’Opec, da rivalità e preoccupazioni sul futuro. Basterebbe questo per comprendere che l’Europa, al di là di una pur inevitabile strategia di breve termine, dovrebbe evitare di evidenziare le sue debolezze strutturali in un momento tanto delicato ed invece ritrovare un ruolo internazionale più “alto” per reggere alle conseguenze di questi “duelli” incrociati. L’Europa non può essere, specie sull’energia, il classico vaso di coccio fra vasi di ferro.
Anche perché in tal modo si porranno inevitabilmente interrogativi sul percorso di transizione energetica che pure è essenziale per la sorte del pianeta e per di minuire la dipendenza energetica.
Inoltre la economia europea dipende, con la lunga fase che ha intrecciato nei decenni scorsi liberismo e rigorismo esasperato, da mercati finanziari sempre più nervosi e sempre meno disposti ad accettare per buoni gli inviti delle Banche centrali a considerare “transitori” fenomeni come l’inflazione o come i crack di colossi del tipo Evergrande in Cina di cui si scopre ora che hanno debiti fuori dei bilanci ufficiali. E si sa che gli investitori sono assai sensibili alle crisi immobiliare che sono state in passato alla base di recessioni devastanti.
Il guaio è che non si possono più considerare problemi regionali lontani difficoltà che invece si trasferiscono immediatamente dal Paese in cui nascono al più ampio recinto internazionale.
Ecco perché riemerge in primo piano la questione della identità europea, delle alleanze, della stabilità politica unita però ad una nuova capacità di restituire al vecchio continente una politica sociale degna di questo nome. “Le nuove avversità giungono come treni in orario” sosteneva il poeta americano, tanto discusso, Charles Bukowski.
Quella frase tradotta in soldoni ci può invitare a comprendere che i prossimi mesi saranno un banco di prova severo per tutti. Le liti politiche da cortile non potranno più avere senso se vogliamo tutelare gli interessi generali. La posta in gioco è di quelle che contano per il futuro: potrebbe essere in discussione la ripresa, il potere di acquisto di milioni di persone, la tenuta dei bilanci, quello pubblico e quello di tante imprese, la stessa coesione sociale.
Ma è proprio per questi motivi che occorre muoversi per tempo. Ad esempio non sarebbe utile immaginare sui temi energetici una cabina di monitoraggio sugli andamenti dei prodotti energetici nella quale siano presenti sia rappresentanti del Governo come delle forse sociali? Non sarebbe, ancora, saggio prevedere fin da ora strumenti non episodici di tutela dei redditi medio-bassi rispetto ai rialzi dei prezzi di carburanti, gas ed elettricità, così pure nei riguardi del lavoro nelle imprese, specie le piccole, che si occupano di energia.
Probabilmente sarebbe importante riscoprire il metodo della partecipazione per affrontare le presumibili difficoltà sul piano economico e sociale cui andiamo incontro.
Si è parlato molto di energia come questione centrale per la sopravvivenza del pianeta. L’eco degli interventi di… Greta è stata esemplare in questo senso. Ma esiti pratici non se ne vedono per il semplice motivo che con la pandemia il primo nodo da sciogliere è quello di ritrovare un difficile ma necessario equilibrio fra l’uso delle fonti energetiche in grado di evitarci nuove stagioni di deflazione e di recessione e la costruzione di nuovi modelli che tengano insieme ambiente, crescita e comportamenti.
Il tema energia diventa insomma estremamente importante sia per il presente che per il futuro. Scindere le due cose non pare abbia molto senso se si vuole continuare a procedere verso obiettivi di sviluppo stabile e coerente con l’abbandono di fonti energetiche sempre più lesive del nostro habitat.
Il governo Draghi può, malgrado tutto, assolvere ad un compito utile per l’immediato, quale quello di non farsi cogliere impreparato. Purtroppo la politica impreparata lo è già e dovrebbe invece recuperare in fretta livelli di attenzione a ciò che avviene nella realtà del Paese assai superiori agli attuali. Ma ciò non toglie che molto si può fare e le forze sindacali possono contribuire a scongiurare rischi per la tenuta dell’economia che potrebbero poi moltiplicare le tensioni sociali di cui non abbiamo alcun bisogno.
Paolo Pirani