“Noi siamo contro ogni totalitarismo”. Fabio Rampelli, ospite in tv di Giovanni Floris, la parola fascismo proprio non riesce a pronunciarla. Ottenere un esplicito e netto rifiuto di quel che fu il Ventennio risulta impossibile. E a precisa domanda butta la palla in tribuna, proprio come fa di solito Giorgia Meloni. Ammiccare, sminuire, equiparare. “E allora il comunismo?”, è la provocatoria risposta. Un modo per dire che tutte le vacche sono nere nella nera notte della storia e quindi non ci sono colori più odiosi degli altri.
Eppure, Gianfranco Fini parlò di male assoluto. Con la fine del Movimento sociale e la nascita di Alleanza Nazionale, non erano stati finalmente mondati i panni impresentabili della destra nostalgica? No, la lavatrice della politica non ha funzionato, il candeggio si è presto interrotto e lo sporco di un passato che si voleva cancellare ha persino reso più evidenti le macchie. L’uomo che provò a usare, come sollecitato da Domenico Fisichella e teorizzato da Giuseppe Tatarella, il detersivo della revisione ideologica è stato inghiottito da un penoso oblio. E quelli che avrebbero dovuto essere i suoi eredi, pur senza il coraggio di ammetterlo esplicitamente, hanno chiuso del tutto quella parentesi chiarificatrice.
I Fratelli d’Italia incarnano il trionfo di Pino Rauti. Colui che più osteggiò la svolta di Fiuggi, ora gongolerebbe nel vedere i trionfi di un partito che non recide le vecchie radici e nello stesso tempo cerca di metterne delle nuove tra le classi sociali più in difficoltà. Il confuso anticapitalismo, la riproposizione del complotto pluto- giudaico- massonico e i millantati obiettivi di riscatto, eco sotto mentite spoglie di quel manifesto di Verona che ispirò la repubblica di Salò, si mischiano con la mai sopita voglia di rivincita che dal 1945 insidia la democrazia italiana. “Con voi abbiamo già fatto i conti”, disse una volta Giancarlo Pajetta. Si sbagliava.
Negli anni del rinnovamento finiano, Luciano Lanna e Filippo Rossi, due intelligenti intellettuali d’area, scrissero “Fascisti immaginari”, un godibile dizionario su idee, miti e tormentoni di chi faceva il saluto romano. Forse dovrebbero aggiornarlo. Sono loro a ricordare che quando venne fondato il Msi l’inno ufficiale del battesimo fu “Siamo nati in un cupo tramonto”. Le strofe dicevano: “Noi saremo la fiamma d’Italia/ il germoglio di un’alba trionfale/ la valanga impetuosa che sale/ italiani coraggio, con noi!”. Non si avverte qualcosa del genere riecheggiare negli slogan elettorali di Meloni e Rampelli?
Sì, la fiamma sovrastante la bara del Duce brucia ancora. E a chi chiede di spegnerla una volta per tutte, si replica, appunto, “E allora i comunisti?”. Ecco, è questo il grande inganno. Inutile ricordare che la nostra Costituzione vieta la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del partito fascista e quindi ci si continua a muovere in un ambito che viola la legge. Ma il vero punto è che adottare come alibi la sovrapposizione tra due immani tragedie storiche significa nascondere con un inganno dialettico la diversità delle origini e la contrapposizione degli obiettivi.
Come si fa mettere sullo stesso piano chi imponeva la superiorità di una razza e chi predicava l’uguaglianza di tutti? La macabra contabilità dei morti, se ne ha uccisi di più Hitler o Stalin, serve solo a mischiare le carte, una comparazione che confonde cause ed effetti. Ma il fascismo era diverso, un movimento a sé stante, replicano gli avvocati difensori. Ignoranza o menzogna? Solo chi è stolto o in malafede può ignorare che conteneva in sé i princìpi illiberali, violenti, bellicisti, imperialisti che inevitabilmente hanno portato al tragico abbraccio con il nazismo.
Però anche il marxismo propugna la dittatura, quella che poi ha portato alle purghe e ai gulag, si obietta. Vero, verissimo. Bisognerebbe però rileggere Trotskij per capire la differenza tra stalinismo e bolscevismo. Due diversi mondi politici e morali, secondo la definizione di Michail Guefter.
Riferendosi ai reazionari guerrafondai, Karl Kraus, che non ci stancheremo mai di citare, ha sentenziato: “Il comunismo in quanto realtà è solo l’opposto speculare della loro ideologia profanatrice della vita, ma in virtù di una più limpida origine è pur sempre un mezzo sghembo alla ricerca di un fine più puro e ideale”.
Il dibattito resta aperto. In ogni caso, la sinistra, in Italia e nel mondo, i conti con l’aberrazione sepolta dal crollo del Muro, checché ne dica l’Economist, li ha fatti fino in fondo, persino in maniera eccessiva e talora strumentale. Giorgia Meloni e i suoi camerati si nutrono di ambiguità.
Marco Cianca