Capita sovente che avanti gli stabilimenti, in occasione dello sciopero, i partecipanti attuino il blocco delle merci ostacolando le persone e gli automezzi in entrata e in uscita dall’azienda con l’effetto di provocare il congestionamento delle attività aziendali. Questo fenomeno si chiama picchettaggio.
Il vocabolo trae origine dal linguaggio militare, laddove si collega alle funzioni di vigilanza e di controllo svolte da gruppi di soldati preposti al controllo degli accessi alle caserme e agli accampamenti. Dal francese piquet, riferito alla picca, e cioè all’arma di normale dotazione dei militi addetti a tali incarichi, esso ha fatto ingresso nel gergo sindacale anglosassone (picket, picketing), per definire i gruppi di operai stazionanti all’ingresso degli stabilimenti presso i quali è in corso uno sciopero, che in Gran Bretagna costituiscono praticamente una costante di ogni conflitto industriale. Di qui la traduzione italiana “picchettaggio”. Il picchettaggio è definibile come un complesso di comportamenti materiali di diversa natura, aventi come carattere comune la tendenza a rafforzare la partecipazione, la riuscita, l’efficacia di uno sciopero. Sotto la nozione di picchettaggio si ricomprendono tutte quelle attività e quei metodi posti in essere dagli scioperanti per indurre i lavoratori dissenzienti a non accedere nei luoghi di lavoro per fornire la prestazione lavorativa.
Il picchettaggio non può ritenersi in sé e per sé attività vietata o pericolosa, rientrando nel legittimo esercizio del diritto di sciopero (art. 40 Cost.), purché il picchettaggio non sia attuato con modalità violente o minacciose tali da condizionare la libertà dei lavoratori non scioperanti o da mettere a repentaglio la pubblica sicurezza. L’attività dei picchetti può assumere rilevanza sotto diversi profili giuridici, dal momento che, nella pratica, essa tende ad assumere connotati tanto più energici quanto maggiore è l’asprezza del conflitto sindacale in corso. La semplice presenza di un picchetto che tenda ad ostacolare le persone e gli automezzi in entrata o in uscita dallo stabilimento industriale o tenda a svolgere un’attività di persuasione e di sensibilizzazione sindacale, non connotata da altri e aggiuntivi fatti che consentano di rintracciare specifiche condotte di violenza privata o minaccia, non può integrare da sola il reato di violenza privata; se ciò avvenisse si trasformerebbe in un surrettizio, indebito, strumento di repressione della libertà sindacale e del diritto di sciopero. Il picchettaggio diventa illegittimo solo se assume modalità aggressive per la sicurezza altrui e per l’ordine pubblico.
L’esercizio del diritto di sciopero, anche nella forma del c.d. picchettaggio, non deve mai legittimare l’impiego della violenza o della minaccia da parte dei lavoratori che lo praticano con la conseguente commissione di reati, come quelli di cui all’art. 337 c.p. (resistenza a un pubblico ufficiale) o dell’art. 610 c.p. (violenza privata o minaccia).
Il picchettaggio per essere legittimo deve essere realizzato con forme che non ostacolino il diritto di autodeterminazione altrui, (lavoratori non scioperanti e conducenti di automezzi sia in entrata che in uscita dagli stabilimenti). Se questi limiti sono oltrepassati il picchettaggio diventa illegittimo e scattano le sanzioni anche di natura penale. Sono da evitare le ostruzioni degli ingressi sul luogo di lavoro mediante l’apposizione di oggetti ingombranti o di barriere umane costituite dai corpi degli scioperanti.
Un picchettaggio illegittimo crea fratture tra i lavoratori scatenando a volte una lotta fratricida tra chi sciopera e chi non vuole: il ricordo in questi casi va ai 4 capponi di Renzo e Lucia del Manzoni che legati per le zampe a testa in giù mentre venivano portati in dono a chi li avrebbe da lì a poco messi in pentola “s’ingegnavano a beccarsi l’un con l’altro, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.”
Biagio Cartillone