“Ecco il Lavoro!” Sono passati 120 anni da quando, il 16 giugno 1901, Angiolo Cabrini inaugurò a Livorno, con queste parole, il Congresso di fondazione di un nuovo sindacato nazionale di categoria. Sindacato che avrebbe preso il nome di Federazione italiana operai metallurgici. In sigla, Fiom.
All’epoca, la parola metalmeccanici ancora non esisteva. Si sarebbe formata più tardi, dalla fusione di “metallurgici” con “meccanici”. Intendendo con i primi i forgiatori di metalli e con i secondi i lavoratori addetti alla fabbricazione di macchinari metallici. Mentre con “operai” si intendeva parlare, in senso lato, dei lavoratori manuali che “operavano”, cioè erano attivi, nelle grandi officine come nei piccoli laboratori artigiani. Non per caso, il congresso di Livorno si tenne presso la sede della Fratellanza artigiana. E non per caso, il nuovo sindacato si proponeva di organizzare i lavoratori appartenenti a “tutte le arti metallurgiche”, compresi gli artigiani che non avessero dipendenti.
Centoventi anni, dunque. Che mercoledì sono stati rievocati, a Roma, nel corso di un appuntamento intitolato “120 anni di Fiom. 1901-2021: la storia continua”. Un appuntamento convocato per celebrare l’anniversario della fondazione indicando tre direzioni di lavoro: da un lato, avviare una specifica ricerca storica sulla stessa Fiom; da un secondo lato, impostare una riflessione sul presente e sul futuro della militanza sindacale e delle sue ragioni; e infine, su un terzo versante, lanciare parole d’ordine spendibili nel contesto concreto dell’odierna attualità sindacale.
Cominciamo dunque dal primo lato, quello della storia. Un lato da cui si accede a un terreno fertile e ricchissimo perché, come è stato affermato da più parti – nel corso dell’incontro ospitato presso la scuola di Lettere, Filosofia e Lingue dell’Università di Roma 3 -, la storia della Fiom si intreccia a più riprese, e in modo anche profondo, con quella più complessiva del nostro Paese.
Nel 1906, ad esempio, la Fiom, assieme ad altre federazioni di categoria e alle prime Camere del lavoro, fu una delle organizzazioni che parteciparono alla fondazione della CGdL, la prima Confederazione generale del lavoro, poi scioltasi dopo l’avvento del fascismo.
Nel suo intervento, Gianni Rinaldini, che è stato Segretario generale della Fiom dal 2002 al 2010, ha avuto il merito di ricordare, tra l’altro, la figura e l’opera di Bruno Buozzi, il dirigente che sta alla storia della Fiom come Di Vittorio sta a quella della Cgil. Riformista radicale, nel 1919 firmò l’accordo che portò alla conquista della limitazione dell’orario di lavoro a 8 ore giornaliere (48 settimanali), mentre, nel 1920, fu il leader del movimento che culminò con l’occupazione delle fabbriche. E chissà quale ruolo avrebbe potuto avere nella rinascente Cgil unitaria se, catturato dai tedeschi nell’aprile del ‘44, non fosse poi stato da loro fucilato ai primi di giugno dello stesso anno.
Nel 1946, la Fiom fu comunque rifondata col Congresso di Torino. Mantenne la propria gloriosa sigla, ma cambiò parzialmente il proprio nome. La “i” prese infatti a designare gli impiegati. E dunque, Federazione impiegati e operai metallurgici. I lavoratori attivi negli uffici trovavano così ufficialmente posto nello stesso sindacato dei lavoratori delle officine. E oggi – come ha sottolineato l’attuale Segretaria generale, Francesca Re David – gli impiegati, dopo altri 75 anni di storia, costituiscono circa la metà della categoria.
Dopo la scissione sindacale del 1948, che portò alla nascita di Cisl e Uil, lungo tutti gli anni ‘60 i metalmeccanici (ormai si usava questo nome) costituirono la categoria protagonista della riscossa unitaria che culminò nelle lotte aziendali del ‘68 e in quella contrattuale dell’autunno caldo del ‘69. Lotta conclusasi, quest’ultima, col contratto del gennaio 1970, unanimemente riconosciuto come il più importante della storia della categoria: l’orario scese a 40 ore settimanali, mentre Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil conquistarono il diritto di assemblea in fabbrica, anticipando quanto, di lì a poco, sarebbe stato sancito dallo Statuto dei lavoratori (maggio 1970).
E i successivi cinquant’anni? Sono quelli relativamente più recenti, certo, ma anche quelli rispetto ai quali non solo il movimento sindacale nel suo insieme, ma neppure la Cgil, considerata al suo interno, dispongono di una ricostruzione storica condivisa. Ciò vale, in particolare, per i quarant’anni che arrivano fino ad oggi partendo dal 1980, l’anno della sconfitta patita alla Fiat dai sindacati confederali.
Fatto sta che è proprio questo il periodo su cui la Fiom, come ha annunciato la stessa Re David, intende promuovere una ricerca storica. “Sarà una ricerca ancorata alle fonti”, ha detto a questo proposito il giovane storico Francescopaolo Palaia. Che, peraltro, si è mostrato consapevole dei rischi che stanno di fronte a chi si proponga di fare storia del presente.
Centoventi anni di storia, dunque. E certo, di acqua ne è passata, sotto i ponti. E non solo nel senso che, dal 1901, di fatti ne sono successi tanti. Ma nel senso che, in 120 anni, è l’Italia intera ad essere profondamente cambiata. A partire dalla struttura sociale, dai modi di pensare e dalla composizione della sua classe lavoratrice. Il primo segretario della Fiom si chiamava Ernesto Verzi, ed era un operaio fiorentino trasferitosi a Roma. Attualmente, come si è già detto, il Segretario generale della Fiom si chiama Francesca Re David. Stiamo parlando, dunque, di una donna. Cosa impensabile, nel 1901, quando di donne, nel mondo del lavoro, a partire dalle risaie e dalle fabbriche tessili, ce n’erano sì, tante. Ma queste lavoratrici, come del resto tutte le altre donne, non avevano neppure il diritto di voto alle elezioni politiche e amministrative. E, tolta l’eccezione di Argentina Altobelli – che, nello stesso 1901, fu tra i fondatori della Federterra, ovvero del sindacato dei lavoratori delle campagne -, sarebbe stato quasi impossibile vederne una a capo di un’organizzazione sindacale.
Altra differenza notevole. Attualmente, il presidente del Comitato centrale della Fiom, ovvero l’uomo che presiedeva l’incontro di mercoledì, si chiama Luximan Madnack. Il quale, per arrivare a Reggio Emilia, la città in cui vive e lavora come dipendente della Immer Gas, di strada ne ha fatta un po’ di più di quella che fece Verzi per trasferirsi da Firenze a Roma. Madnack, infatti, è nato nella Repubblica di Mauritius sita, con le sue isole, nell’Oceano Indiano.
Perché, ormai, di lavoratrici e di lavoratori nati all’estero sono piene non solo le riunioni della Fiom, ma le fabbriche. Come hanno testimoniato, fra gli altri, gli interventi di Maria Tzortzi, delegata della Ducati di Bologna, ma nata ad Atene, o di Issa (nome maschile) Diallo, nativo del Senegal e attualmente delegato presso la Manni di Verona.
Ed è certo notevole il fatto che queste lavoratrici e questi lavoratori abbiano trovato, nel sindacato, un veicolo per il loro ingresso non solo nel nostro mondo del lavoro, ma nella società italiana. Tanto da manifestare orgoglio per aver fatto propria la storia della Fiom.
Ma la cosa può essere anche vista dal lato opposto. Prendendo nota del fatto che non solo l’industria italiana ha tratto giovamento dall’arrivo nel nostro Paese di lavoratori stranieri. Lo stesso è accaduto anche per un sindacato come la Fiom che ha visto allargarsi lo spettro dei lavoratori fra cui cercare i propri militanti.
E qui siamo nel centro di quello che abbiamo definito il secondo lato dell’incontro avvenuto in una delle aule dell’Università di Roma 3. Ovvero all’interrogativo: c’è un futuro per la militanza sindacale e, quindi, per l’esistenza stessa dei sindacati concepiti come associazioni volontarie di lavoratori?
Nel suo saluto introduttivo, Luca Trevisan responsabile organizzativo della Fiom, ha ammesso che la stessa Fiom “ha un problema” con i lavoratori più giovani. Infatti, i lavoratori la cui età si colloca al di sotto dei 35 anni costituiscono solo il 15% degli iscritti.
Ora, aggiungiamo noi, ci sono intere biblioteche a sostegno della tesi secondo cui la fabbrica, intesa come struttura produttiva che aggrega in un unico spazio fisico centinaia, se non migliaia, di lavoratori sottoposti alle stesse condizioni di sfruttamento, costituisce il luogo di nascita del moderno sindacalismo industriale. Ma adesso, col diffondersi delle nuove tecnologie digitali che fra l’altro, anche indipendentemente dalla pandemia di Covid 19 e dei conseguenti lockdown, rendono non solo possibile ma, per certi aspetti, preferibile il lavoro da remoto, ciò è ancora vero?
Indirettamente, Alessandro Pellegrini, delegato Fiom presso la Avio Aero di Rivalta (ex Fiat, oggi GE Aviation, branca della General Electric) ha dato una sua risposta a questa domanda. Qualche anno fa, quando aveva fatto ingresso come lavoratore interinale in uno dei capannoni di Rivalta, il suo capo gli disse: “Vedi quello? E’ un delegato sindacale. Non ci parlare”. Ottenendo, evidentemente, l’effetto opposto. Pellegrini attaccò discorso col reprobo che risultò essere un militante esperto, nonché un tipo convincente. E infatti spinse il giovane lavoratore, allora inserito in azienda con un contratto diverso da quello della maggioranza dei suoi compagni di lavoro, a interessarsi alle questioni sindacali e, successivamente, a candidarsi alle elezioni della Rsu (Rappresentanza sindacale unitaria).
Un’esperienza per certi versi simile è quella che è stata vissuta, al capo opposto del Paese, da Luisa Allocca, dal 2019 delegata alla Hitachi Rail Sts di Napoli. Anche lei, infatti, ha incontrato il sindacato da interinale. E anche lei ha vissuto l’esperienza derivante dal fatto che le aziende cercano di creare un clima ostile nei confronti dei delegati.
D’altra parte, va detto che, rispetto alle problematiche oggi presenti nelle aziende metalmeccaniche, quella della trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato sembra essere una delle questioni non solo più critiche, ma anche maggiormente capaci di suscitare quella che potremmo definire come domanda di sindacato. Anche perché, nell’esperienza dei giovani delegati – alcuni dei quali diventano poi giovani sindacalisti a tempo pieno ed escono dall’azienda in distacco sindacale -, quella della richiesta di essere stabilizzati espressa da parte di lavoratori, a vario titolo, precari, è la tipica situazione che, per essere risolta, può comportare la necessità del ricorso a un’iniziativa di lotta. Iniziativa che viene richiesta dai precari per migliorare la propria posizione, ma mobilita anche almeno parte dei lavoratori già stabilizzati; un po’ per solidarietà verso i colleghi meno fortunati, e un po’ per conquistare una posizione di maggior forza verso l’azienda.
Esperienze, riflessioni e ragionamenti, questi, la cui esplicitazione è stata promossa mercoledì dalla Fiom, e ancora lo sarà nelle prossime settimane, anche in vista della Conferenza di organizzazione che la Cgil intende tenere in autunno. Un appuntamento, questo, che sarà ovviamente preceduto dalle analoghe conferenze delle varie strutture orizzontali e verticali della Confederazione. E quindi anche da quella della stessa Fiom.
Centoventi anni. Che sono tanti, nella storia sindacale. Specie se si considera che una delle organizzazioni più note a livello mondiale, il britannico Trades Union Congress, ha compiuto da poco i suoi primi 150 anni. Ma la Fiom, con i suoi 300 mila iscritti e i suoi 18 mila delegati, ha mostrato di avere ancora “una certa vitalità”, come ha detto, con affettuosa ironia, il Segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. E, forte di questa vitalità, la stessa Fiom vuole avere ancora un ruolo da protagonista sulla scena sindacale italiana.
Ruolo che ha mantenuto anche negli anni più recenti, ritrovando con Fim e Uilm quell’unità di azione che, dopo gli anni segnati da laceranti divisioni, ha consentito ai sindacati dei metalmeccanici di conquistare, nel 2016 e nel 2021, due rinnovi consecutivi del Contratto nazionale dotati di due caratteristiche decisive. Entrambi sono stati, infatti, unitari e innovativi.
Ruolo che intende confermare, già nei prossimi giorni, con una partecipazione significativa alle tre manifestazioni interregionali che Cgil, Cisl e Uil terranno unitariamente, il 26 giugno, a Torino, Firenze e Bari.
Nel confronto fra sindacati e Governo ci sono adesso due questioni principali. La più urgente, su cui i sindacati vogliono far sentire da subito la propria voce, è quella del blocco dei licenziamenti. O per dir meglio, del superamento di questo blocco. Superamento che, per i sindacati, non deve essere immediato, ma collocato entri i tempi di un’auspicata ripresa della nostra economia.
La seconda è quella del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il Governo, ha ricordato Landini, intende fare una serie di riforme, da quella del fisco a quella degli ammortizzatori sociali. Ebbene, ha affermato Landini, noi chiamiamo riforme quei cambiamenti che “migliorano le condizioni di vita dei lavoratori e dei cittadini”. Ne segue che per il movimento sindacale non è la stessa cosa potersi confrontare con il Governo prima o dopo che questa riforme vengano impostate. Per Landini, dunque, il tema è quello di costruire un “sistema permanente di confronto” sulle riforme.
E l’esperienza della Fiom, ha concluso Re David, insegna che nessuno ha mai regalato ai sindacati i tavoli del confronto. La storia continua.
@Fernando_Liuzzi