L’accordo raggiunto tra i ministri delle Finanze del G7 “sul principio di una aliquota globale minima del 15% per la tassazione delle grandi imprese, applicata Paese per Paese”, rappresenta un primo passo importante nel segno dell’equità e della giustizia sociale, per un governo transnazionale dell’economia che corregga le storture generate dalla globalizzazione.
Il dramma della pandemia ha riproposto il tema della creazione di un sistema di regole mondiali per il libero mercato, che venne proposto nel 1944 a Bretton Woods da John Maynard Keynes, a partire dall’idea del bancor, una moneta unica internazionale, che, però, vide prevalere il modello dei cambi fissi secondo il “Gold standard”, cancellato dalla presidenza americana di Richard Nixon il 15 agosto 1971, e con esso la convertibilità del dollaro con l’oro, imponendo il biglietto verde americano quale valuta di riserva a livello degli organismi sovranazionali, come il Fondo Monetario.
Oggi, la tragedia della diffusione del Covid-19, con i suoi effetti gravissimi sulle vite umane in primo luogo e, anche, sulle economie nazionali, sta imponendo l’esigenza di una regolazione del grande mercato globale, proprio a partire dal contrasto al dumping fiscale, praticato anche in Europa per attrarre le grandi multinazionali.
Ma è maturo il tempo, finalmente, per porre in modo serio e stringente anche la questione della lotta al dumping sociale, rendendo prescrittive e cogenti le regole dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro in materia di libertà di associazione sindacale e diritto di contrattazione collettiva (convenzioni n. 87 del 1948 e n. 98 del 1949); eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato (convenzioni n. 29 del 1930 e 105 del 1957); abolizione effettiva del lavoro minorile (convenzioni n. 138 del 1973 e n. 182 del 1999 ) ed eliminazione della discriminazione in materia di lavoro e di impiego (convenzioni n. 100 del 1951 e n. 111 del 1958).
In questa prospettiva si tratta di potenziare il ruolo dell’ILO, sostenendone gli obiettivi, in primo luogo quelli individuati dalla “Commissione internazionale sulla dimensione sociale della Globalizzazione”, per “promuovere un approccio alla globalizzazione come risorsa per ridurre povertà e disoccupazione, stimolare la crescita e uno sviluppo sostenibile”, creando le indispensabili sinergie con altri organismi internazionali, a partire dal World Trade Organizzation, l’organismo mondiale che disciplina i rapporti commerciali tra Stati, che ha a disposizione strumenti sanzionatori nei confronti del dumping commerciale, a differenza dell’Organizzazione internazionale del Lavoro, che ne é sprovvista sul versante dei diritti sociali.
Si potrebbe, così, rendere cogente la “clausola sociale” in capo a tutti i paesi che partecipano al grande mercato globale, con una base comune di diritti del lavoro internazionalmente riconosciuti, a partire da un livello salariale minimo e orari di lavoro non superiori alle otto ore, con la sospensione o l’esclusione dal commercio globale degli Stati inadempienti, quale sanzione del WTO.
E’ tempo, dunque, di combattere i tre dumping: quello fiscale, quello ambientale e quello sociale e il G7 potrebbe affrontare sin da subito quest’ultimo, dando un segnale inequivocabile che alla globalizzazione selvaggia deve subentrare l’equità sociale a livello planetario.
Maurizio Ballistreri, Docente di Diritto del Lavoro nell’Università di Messina, Presidente dell’istituto di Studi sul Lavoro.