L’azienda cambia le mansioni dell’impiegata per poterle intimare il licenziamento nella procedura collettiva perché ha deciso di sopprimere le nuove mansioni. Tribunale, Corte d’Appello e Cassazione, all’unisono, dichiarano la illegittimità del licenziamento.
Un’impiegata si è rivolta al Tribunale di Milano lamentando la illegittimità del suo licenziamento intimato dalla Pegueot Citroen Retail Italia al termine della procedura di un licenziamento collettivo, in cui si denunciava un esubero di 7 unità lavorative.
In particolare la ricorrente, impiegata inquadrata nel 2 livello, lamentava di aver sempre svolto la mansione di “antenna garanzia” allorquando, a seguito della soppressione della relativa mansione, era stata adibita ad altre mansioni per poi essere licenziata dall’azienda nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo in quanto la mansione da ultimo svolta, ossia quella di “addetto archivio”, alla quale era adibita solo da alcuni mesi, era stata ritenuta in esubero.
La lavoratrice davanti al Tribunale, nel suo ricorso, lamentava che, essendo stata adibita dalla società alla mansione di “addetto archivio” solo “temporaneamente” e negli ultimi mesi della sua prestazione lavorativa, non avrebbe dovuto essere inserita dall’azienda tra i profili da considerare in esubero e da inserire nell’elenco definitivo dei lavoratori da licenziare.
Il Tribunale di Milano, accogliendo i motivi dell’impugnazione proposta dalla lavoratrice, ha annullato il licenziamento e ha condannato con ordinanza la società alla reintegra nell’impiegata nel posto di lavoro ed al pagamento dell’indennità risarcitoria nel limite massimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto che di fatto era stata percepita. Lo stesso Tribunale con la sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione proposto dall’azienda contro l’ordinanza di reintegrazione confermava definitivamente la sua precedente decisione, che aveva disposto la reintegrazione nel posto di lavoro.
Contro questa sentenza proponeva reclamo in Corte d’Appello il datore di lavoro ma la Corte d’Appello di Milano rigettava il reclamo, condividendo gli accertamenti di fatto e le valutazioni in diritto già svolte da Tribunale.
La società, non soddisfatta, ha proposto ricorso in Cassazione.
La Cassazione con poche ma ferme e chiare parole, ha respinto i motivi dell’impugnazione della sentenza. La Cassazione ha ribadito “un elementare principio di civiltà giuridica e di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, quello secondo cui non è conforme a tali canoni il licenziamento di un dipendente addetto a mansioni diverse da quelle considerate in esubero ed adibita a queste ultime solo pochi mesi prima del recesso.” Il comportamento aziendale, improntato a scorrettezza contrattuale, è stato così severamente sanzionato perché il mutamento delle mansioni, adottato pochi mesi prima dell’avvio della procedura di licenziamento collettivo, era stato utilizzato strumentalmente con l’intento fraudolento di licenziare la lavoratrice attraverso la procedura del licenziamento collettivo che sarebbe stata avviata da lì a qualche mese.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, n. 14990, depositata il 28 maggio 2021.
Biagio Cartillone