Il diario del lavoro ha intervistato la segretaria generale della Uil Sardegna Maria Francesca Ticca. Per la sindacalista, la vaccinazione è la priorità principale per la ripresa dell’economia sarda. La politica regionale, spiega Ticca, non è stata capace di gestire l’emergenza sanitaria e si rifiuta di ascoltare non solo i sindacati ma anche le parti datoriali.
Ticca, qual è la situazione in Sardegna dal punto di vista lavorativo e sanitario?
La situazione è ferma al periodo pre-covid per entrambi gli aspetti, è anzi peggiorata. È emersa tutta la fragilità del nostro sistema sanitario. La nostra regione era convita di riuscire a rispondere autonomamente all’emergenza, al pari della Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna per poi rendersi conto che la velocità non era la stessa. La vaccinazione in questi ultimi giorni si è velocizzata, ma la politica non è stata in grado di guardare con lungimiranza.
In che senso?
Noi come sindacato riteniamo che la priorità delle priorità in questo momento sia la vaccinazione, grazie alla quale possiamo permetterci una ripartenza economica e sociale. Abbiamo avuto la grande fortuna di essere per un periodo una zona bianca e la politica non ha saputo cogliere questa opportunità organizzando un piano vaccinale che poteva rispondere velocemente in una situazione di calma sanitaria. Poi per alcuni aspetti siamo avvantaggiati per affrontare bene la pandemia.
Ad esempio?
Il nostro territorio è vasto per una popolazione così ridotta, numericamente parlando l’intera popolazione sarda è un quartiere di Roma. Dovrebbe essere semplice vaccinare tutti. Inoltre, i sardi sono distribuiti in vari paesi di piccola densità abitativa, quindi le possibilità di assembramento sono inferiori ed è possibile isolare con più semplicità i focolai. Inoltre siamo un’isola, quindi possiamo controllare con precisione gli accessi per quanto riguarda i possibili contagiati. Insomma, abbiamo un territorio del genere ma la politica non è stata in grado di gestirlo.
La politica sarda non vi ascolta?
No. Vive alla giornata, pensa di risolvere i problemi all’interno delle proprie stanze e non avverte la necessità di interpellare le parti sociali, neanche per informarci su temi come la ripresa oppure sui progetti del Recovery, che a breve scadranno. E questo la dice lunga rispetto a delle idee che non esistono.
Da quanto tempo la regione non organizza un tavolo di confronto con le parti sociali?
Dopo che ci siamo incontrati qualche volta con il presidente della regione nel 2019 ci erano stati promessi dei tavoli per il 2020. Abbiamo giusto firmato un protocollo insieme, sempre all’inizio del 2020; un percorso dove si dovevano aprire tavoli specifici sulle politiche sociali e sul welfare, sulla sanità, sul lavoro. Ma poi non siamo più riusciti a incontrarci. Quando è arrivata la pandemia, la politica regionale è andata a dormire. Questa assenza di dialogo c’è stata anche nei confronti delle parti datoriali.
Neanche una videochiamata?
No, non vogliono incontrare le parti sociali neanche on-line. E credo che questa sia stata una scelta precisa da parte del presidente della regione. Si rivolgono ad altri soggetti che non sono i sindacati e le parti datoriali.
Come avete reagito a questo atteggiamento?
Il 26 marzo, quando eravamo in zona bianca, avevamo organizzato come Cgil, Cisl e Uil 8 piazze sindacali per denunciare il mancato confronto e chiedere al presidente della regione di aprire quei tavoli che l’Europa ma anche l’Italia ha sollecitato e attuato in tutte le altre regioni. Non a caso il presidente del consiglio Draghi ha convocato di recente le parti sociali per un confronto. Poi abbiamo spostato queste manifestazioni, in attesa che ci sia la possibilità concreta di scendere in piazza e rendere visibile la nostra disapprovazione.
Questa assenza di confronto ha creato anche problemi di coordinamento per il piano di vaccinazione all’interno delle aziende?
Si, la situazione è paradossale. Abbiamo una cabina di regia vuota. Diventa improbabile riuscire ad intrecciare i dati delle vaccinazioni effettuate all’interno delle aziende, iniziative portate invece avanti con successo in altre regioni, con le vaccinazioni della sanità pubblica sarda. Non abbiamo elenchi e dati condivisi. Non ci si rende conto che questa disorganizzazione, mentre in passato creava perlopiù dei disagi, oggi mette in serio pericolo la vita delle persone. Per esempio, abbiamo novantenni non ancora vaccinati e giovani di 20 anni che invece ci sono riusciti. Quando tutto questo finirà, qualcuno dovrà risponderne.
Emanuele Ghiani