Dopo giorni e giorni in cui il vuoto di fatti significativi rispetto alle vicende della ex Ilva era stato riempito da notizie, per così dire, minori, nonché da ipotesi, indiscrezioni ed illazioni varie, nel corso della giornata di mercoledì 14 aprile sono arrivati a ruota, uno dopo l’altro, tre fatti di notevole portata. Tre fatti che danno luogo a tre notizie degne di questo nome.
Cominciamo da quella che, in ordine temporale, è l’ultima. Ovvero dalla nascita di due nuove società a capitale misto, rispettivamente denominate Acciaierie d’Italia Holding, e Acciaierie d’Italia. Società che prenderanno il posto della “vecchia” AM investCo Italy e della sua controllata ArcelorMittal Italia. Infatti, a metà pomeriggio, ArcelorMittal, il colosso siderurgico franco-indiano, ha emesso un comunicato così intitolato: “ArcelorMittal perfeziona l’accordo di investimento con Invitalia”. Titolo, ammettiamolo, un po’ criptico. Ma il testo spiega bene di cosa si sta parlando.
Ecco dunque: “ArcelorMittal annuncia di aver perfezionato, in data odierna, un accordo di investimento (…) con Invitalia, una società controllata dallo Stato italiano, formando una partnership pubblico-privata”.
L’accordo di investimento cui il comunicato si riferisce è quello del dicembre 2020, ovvero l’intesa con la quale, alla fine dell’anno scorso, era stato pattuito l’ingresso di Invitalia nel capitale di AM InvestCo Italy, la società costituita a suo tempo da ArcelorMittal per siglare con Ilva in Amministrazione straordinaria il contratto di affitto di ramo d’azienda finalizzato all’acquisto “dei complessi aziendali” della stessa Ex Ilva.
Dopo l’accordo del dicembre scorso, però, le cose erano rimaste ferme, in primo luogo a causa della caduta del secondo Governo Conte e della formazione della nuova maggioranza di semi unità nazionale, costituitasi per dar vita al Governo Draghi.
Era infatti ovvio che il nuovo titolare del Ministero dello Sviluppo economico, il leghista Giorgetti, dovesse avere a disposizione un po’ di tempo prima di prendere nelle sue mani le molte partire lasciate aperte dal suo predecessore, il pentastellato Patuanelli. E tuttavia, in queste giornate di attesa, tra gli osservatori meno benevoli nei confronti della nuova conduzione del Mise, c’era stato chi aveva ipotizzato che Giorgetti stesse volutamente tirando in lungo le cose, in attesa della sentenza con cui, a metà maggio, il Consiglio di Stato tornerà ad esprimersi sul blocco dell’area a caldo della ex Ilva di Taranto; blocco richiesto l’anno scorso dal Sindaco della città ionica, Melucci.
Ma, evidentemente, si trattava solo di interpretazioni malevole. Infatti, nella tarda mattinata di ieri, essendo presente alla Camera in occasione del cosiddetto Question Time, per rispondere alle domande del Pd sulle prospettive della nostra siderurgia, lo stesso Giorgetti ha battuto di poco, in termini temporali, il comunicato di ArcelorMittal. E lo ha fatto dichiarando – ecco la seconda notizia – che Invitalia “ha perfezionato l’ingresso nella società con il 50% del capitale sociale e nuovi amministratori indicati dalla stessa Invitalia”.
Torniamo dunque al comunicato pomeridiano di ArcelorMittal, dove si può leggere che “Invitalia ha investito euro 400 milioni nel capitale sociale di AM InvestCo Italy, la società controllata da ArcelorMittal che ha sottoscritto il contratto di affitto di ramo d’azienda e acquisto dei rami d’azienda di Ilva”. In tal modo, prosegue il comunicato, Invitalia ottiene “una partecipazione al capitale sociale pari al 38% e diritti di voto pari al 50%”. In particolare, aggiunge la nota, la nuova società a “controllo congiunto” AM InvestCo Italy “sarà rinominata Acciaierie d’Italia Holding”, mentre “la sua principale controllata operativa”, ovvero ArcelorMittal Italia, “sarà rinominata Acciaierie d’Italia”.
Ma non è tutto. Infatti, nel comunicato si può leggere anche che l’accordo datato 14 aprile “prevede un secondo investimento nel capitale da parte di Invitalia, fino a euro 680 milioni, per finanziare il perfezionamento dell’acquisto dei rami d’azienda di Ilva da parte di Acciaierie d’Italia”. Perfezionamento che, specifica la nota. “è previsto entro maggio 2022”. “A tale punto – prosegue il testo -, la partecipazione di Invitalia nel capitale sociale di Acciaierie d’Italia salirebbe al 60%, mentre ArcelorMittal dovrebbe investire fino a euro 70 milioni per mantenere una partecipazione pari al 40% e il controllo congiunto sulla società.”
Fin qui, dunque, tutto bene. Partendo, a quanto possiamo comprendere, da quanto previsto nell’accordo del dicembre 2020, Invitalia e AM InvestCo Italy hanno adesso iniziato a tradurre in pratica i termini dell’accordo. Ma c’è un ma. Anzi, due ma di indubbio rilievo.
Il primo “ma”, ovvero il primo aspetto problematico del comunicato di ArcelorMittal, è quello costituito dal suo quarto capoverso, quello conclusivo. Qui si afferma che “in futuro, Acciaierie d’Italia Holding opererà in modo autonomo, e come tale avrà propri piani di finanziamento indipendenti da ArcelorMittal”. “Di conseguenza – prosegue il testo – ArcelorMittal de-consoliderà le attività e le passività (compresa la residua passività relativa all’affitto e all’acquisto dei rami d’azienda Ilva) di Acciaierie d’Italia Holding (in precedenza, AM InvestCo Italy) dal proprio bilancio consolidato e contabilizzerà la propria partecipazione nella società secondo il metodo del patrimonio netto.”
Ora, al di là delle tecnicalità giuridiche delle due ultime righe, resta l’annuncio – prontamente sottolineato, via Twitter, da Paolo Bricco, stimato commentatore del Sole 24 Ore – relativo alla decisione di ArcelorMittal di deconsolidare guadagni ed eventuali debiti della nuova società, costituita assieme a Invitalia, dal proprio bilancio consolidato. Il che non suona come un generoso conferimento di indipendenza effettuato dalla grande multinazionale siderurgica nei confronti della sua partecipata italiana, ma, piuttosto, come una prudente presa di distanza della stessa multinazionale dagli eventuali guai contabili, da qualsiasi cosa siano originati, di Acciaierie d’Italia Holding e della sua controllata operativa, Acciaierie d’Italia.
Il secondo “ma”, e cioè il secondo aspetto problematico del comunicato che stiamo esaminando, sta in quel passo, qui sopra già parzialmente citato, in cui ArcelorMittal specifica che “il perfezionamento dell’acquisto dei rami d’azienda di Ilva da parte di Acciaierie d’Italia” è sì “previsto entro maggio 2022”, ma “subordinatamente al verificarsi di determinate condizioni sospensive”. E qui un asterisco, apparentemente innocente, rinvia alle cinque righe scritte in piccolo e poste in calce al testo. Cinque righe che rischiano di essere le più importanti dell’intero comunicato.
“Le condizioni sospensive – elenca questa parte finale del testo – comprendono le modifiche del piano ambientale in vigore per tenere conto delle modifiche del nuovo piano industriale; la revoca di tutti i sequestri penali riguardanti lo stabilimento di Taranto; e l’assenza di misure restrittive – nell’ambito dei procedimenti penali in cui Ilva è imputata – nei confronti di Acciaierie d’Italia Holding o di sue società controllate.” Dopodiché si arriva al punto veramente importante: “Nel caso in cui le condizioni sospensive non si verificassero, Acciaierie d’Italia Holding non sarebbe obbligata a perfezionare l’acquisto dei rami d’azienda di Ilva e il capitale investito verrebbe restituito”.
Per capire il senso di questa parte decisiva del comunicato di ArcelorMittal può forse tornare utile un concetto chiave della psicoanalisi freudiana, quello di ritorno del rimosso. Ritorno che, se non andiamo errati, si presenta sotto forma di sintomo nevrotico.
Che cosa vogliamo dire? Che siamo punto e d’accapo. Nel 2019, conducendo la sua guerra passionale contro lo stabilimento ex Ilva di Taranto, il Movimento Cinque Stelle credeva di aver vinto una battaglia decisiva quando ha ottenuto che il Parlamento cancellasse il cosiddetto “scudo penale”. Ovvero, quando ha ottenuto la cancellazione di quello strumento difensivo che era stato ideato dal Governo Renzi per proteggere i Commissari dellex Ilva in Amministrazione straordinaria dalle conseguenze delle offensive processuali lanciate dalla Magistratura di Taranto, a partire dal 2012, contro la famiglia Riva, all’epoca proprietaria dell’Ilva, e contro alcuni dei suoi managers.
Al contrario delle speranze dei parlamentari grillini, nella realtà dei fatti la cancellazione dello scudo ha finito per rafforzare la posizione dei nuovi proprietari della ex Ilva. E ciò appunto perché AM InvestCo Italy, e la sua controllata AM Italia, hanno avuto buon gioco a denunciare la violazione contrattuale in cui, rimosso lo scudo, veniva a incorrere il venditore della ex Ilva, ovvero lo Stato italiano. Tal che ArcelorMittal minacciava di stracciare il contratto di affitto finalizzato all’acquisto dovendo pagare, nel peggiore dei casi, una penale relativamente irrisoria.
Da qui, un anno e mezzo di tese contrattazioni, originate dai fatti dell’estate 2019 e conclusesi, si sperava, nel dicembre 2020, con l’accordo che prevedeva la costituzione di una nuova società a a capiatale misto partecipata, come si è detto sopra, da AM InvestCo Italy e da Invitalia.
Ma ecco che, al momento di tradurre in pratica l’accordo di dicembre 2020, il problema irrisolto della cancellazione dello scudo penale si ripresenta pari, pari.
Infatti, sotto questo profilo il comunicato di ieri è chiarissimo. ArcelorMittal si ritiene impegnata a passare alla seconda fase di implementazione dell’accordo a condizione che si verifichino tre circostanze. Rileggiamo insieme. Primo: “La modifica del piano ambientale in vigore per tenere conto delle modifiche del nuovo piano industriale”. Secondo: “La revoca di tutti i sequestri penali riguardanti lo stabilimento di Taranto”. Terzo: “L’assenza di misure restrittive – nell’ambito dei procedimenti in cui Ilva è imputata – nei confronti di Acciaierie d’Italia holding o di sue società controllate”.
In caso contrario, ovvero nel caso in cui tali circostanze non si verificassero, Acciaierie d’Italia Holding “non sarebbe obbligata a perfezionare l’acquisto dei rami d’azienda di Ilva e il capitale in essi versato verrebbe restituito”.
Morale della favola. Non osiamo pensare a che cosa potrebbe accadere se, tanto per fare un esempio, alla metà del prossimo mese di maggio il Consiglio di Stato dovesse dare ragione al Sindaco Melucci confermando la validità della sua richiesta di fermare l’impianto tarantino. Per non parlare degli ostacoli che altri poteri locali, come la Regione Puglia, potrebbero opporre alle necessarie modifiche del piano ambientale “attualmente in vigore”.
Insomma, dopo aver vinto la gara internazionale – lanciata dal Ministero dello Sviluppo economico quando era guidato da Carlo Calenda – ArcelorMittal si aspettava, forse, di essere accolta nel nostro Paese a braccia aperte, come la salvatrice del più grande gruppo siderurgico italiano. Invece, è stata accolta non solo dall’ostilità preconcetta di organizzazioni “ambientaliste” come PeaceLink, ma anche, e forse soprattutto, dall’ostilità di una forza politica nazionale, quale il Movimento 5 Stelle, dall’ostilità dei poteri politici locali – dalla Regione Puglia, guidata dal Presidente Michele Emiliano, al Comune di Taranto, retto da Rinaldo Melucci -, nonché da una serie di pesanti iniziative giudiziarie promosse dalla locale Magistratura.
In questo contesto, ArcelorMittal Italia ha dato a volte l’impressione di fare tutto ciò che poteva per peggiorare la situazione. Ritardando i pagamenti alle ditte tarantine fornitrici di indispensabili servizi industriali. Mostrando una cura giudicata da molti insufficiente per la manutenzione degli impianti, teatro di allarmanti incidenti. Rinunciando a costruire positive relazioni industriali con i sindacati. E assumendo, perfino, decisioni inutilmente provocatorie come quella del licenziamento di un dipendente, l’impiegato Riccardo Cristello, per un post, sicuramente infelice, da lui pubblicato sul suo profilo di Facebook.
In ogni caso, se il “perfezionamento” – così si chiama tecnicamente -, effettuato ieri, dell’accordo del dicembre 2020 rappresenta un passo avanti nel tentativo di costruire un nuovo assetto societario dell’ex gruppo Ilva, nuovo assetto volto a dare un futuro concreto al nostro maggior gruppo siderurgico, il comunicato di cui abbiamo fin qui ragionato mostra, più di ogni altra cosa, la volontà di ArcelorMittal di mettersi al riparo da ogni futura iniziativa ostile. Da qualsiasi parte essa provenga, potremmo aggiungere parafrasando un più famoso comunicato di quasi ottanta anni fa.
Ci pare di poter dire, inoltre, che, nella situazione data, il nuovo Governo non poteva forse fare di più, né più in fretta. Adesso, l’attenzione degli osservatori si concentra sulle nomine dei rappresentanti della mano pubblica nella nuova società nata ieri. A Invitalia, infatti, spetta di designare tre membri su sei del futuro Consiglio di Amministrazione, fra cui il Presidente (L’Amministratore delegato sarà nominato da ArcelorMittal). E, da questo punto di vista, sono certo significative le voci, che ieri si sono rincorse, secondo cui il Governo avrebbe ottenuto l’assenso di Franco Bernabè ad assumere l’incarico presidenziale. Infatti, l’ingresso nella nuova azienda di uno dei manager più noti ed esperti del nostro Paese starebbe a indicare la volontà di fare sul serio, almeno da parte italiana.
A conclusione, un accenno al terzo fatto siderurgico di ieri. Un fatto che, nonostante si sia prodotto per primo in ordine temporale, è stato trascurato, nel corso della giornata, sia dai notiziari radiofonici e televisivi che dai siti on line.
Ecco dunque: in mattinata, al Senato, precedendo – anche qui, di poco – l’intervento di Giorgetti alla Camera, è stata approvata una corposa mozione che si apre affermando che “il settore siderurgico è un settore strategico, imprescindibile per garantire competitività alle attività produttive del nostro Paese”.
La mozione, che sembra voler costituire un primo embrione di politica industriale, materia da troppo tempo trascurata nelle nostre aule parlamentari, impegna, fra l’altro, il Governo “ad adottare un nuovo piano di azione, aggiornato alle presenti circostanze e con una visione a lungo periodo rivolta ai prossimi decenni”, nonché “a rafforzare con ulteriori iniziative il processo di riconversione ecologica del settore siderurgico italiano, in continuità con gli investimenti previsti nella Proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.
Infine, una notazione politica. La mozione, che è stata presentata, inizialmente, da Fratelli d’Italia, è stata poi fatta propria da tutti i Gruppi, ma è passata col voto contrario del Movimento Cinque Stelle, motivato dal senatore tarantino Mario Turco, e dei suoi fuorusciti che, come la senatrice pugliese Barbara Lezzi, sono approdati al Gruppo Misto. Insomma, gli sconfitti, o, per dir meglio, gli autoesclusi di ieri sono gli stessi che, nel 2019, avevano condotto la vittoriosa offensiva contro lo scudo penale volto a proteggere gli amministratori pro tempore della ex Ilva dalle eventuali responsabilità giudiziarie dei loro predecessori dell’epoca dei Riva. Come si diceva, il ritorno del rimosso.
@Fernando_Liuzzi