Federmeccanica ha presentato oggi l’edizione n. 157 della sua indagine congiunturale sull’industria metalmeccanica italiana. Ma in questo caso non si può dire, così come è accaduto da quasi quarant’anni a questa parte, che l’indagine sia stata presentata a Roma. A causa delle restrizioni imposte dalla lotta contro la pandemia da Covid-19, la conferenza stampa – con cui i risultati della ricerca sono stati resi noti – si è infatti svolta on line. E anche questo è un segno dei tempi difficili che tutti stiamo attraversando.
Duplice l’oggetto principale dell’indagine: il consuntivo dell’annata 2020 e il confronto tra questa annata e quella del 2019. E che si stia trattando di tempi difficili, lo si è visto subito, a partire dal dato di sintesi di tale confronto: mediamente, nel 2020 la produzione metalmeccanica del nostro Paese “si è ridotta del 13,4%” rispetto a quella dell’anno precedente.
Va anche detto che, nonostante il carattere fortemente negativo di questo dato, dalle parole e, starei per dire, dai volti dei dirigenti di Federmeccanica apparsi oggi su Internet si è percepita la volontà di affrontare con grande determinazione le conseguenze della pandemia.
Per comprendere questo clima positivo, basato su una non dissimulata fiducia nelle proprie forze, bisogna pensare al fatto che poco più di un mese fa Federmeccanica ha siglato con i sindacati dei metalmeccanici un’ipotesi di accordo per il rinnovo del Contratto nazionale della maggiore categoria dell’industria. Ipotesi di accordo che, attualmente, è sottoposta al vaglio dei lavoratori e che è stata citata più volte nel corso della conferenza stampa.
In particolare, Fabio Astori, il Vicepresidente della Federazione oggi presente, sia pure da remoto, all’incontro con la stampa, ha affermato che “con la firma dell’ipotesi di Accordo del 5 febbraio scorso, abbiamo mandato un messaggio di fiducia in un momento di grande difficoltà”. Sempre secondo Astori, con questa recentissima trattativa “i metalmeccanici hanno proseguito con determinazione sulla strada dell’innovazione avviata nel 2016” con il cosiddetto Rinnovamento del Contratto. Mentre il Presidente di Federmeccanica, Alberto Dal Poz, ha ricordato che “la grande innovazione” che costituisce “il cuore” di questo contratto è “la riforma dell’inquadramento”, ovvero una riforma che “nei prossimi anni concorrerà a ridefinire l’identità professionale di milioni di italiani”.
Ma veniamo ai risultati dell’indagine. Stefano Franchi, Direttore generale di Federmeccanica, ha ricordato che “all’inizio del 2020”, l’industria metalmeccanica italiana stava già attraversando una fase di stagnazione, con un calo produttivo che si aggirava attorno all’1%. Aggiungendo, però, che, in quel momento, “un bilancio negativo a doppia cifra era impensabile”. Ma poi è arrivata la botta.
Secondo i dati illustrati da Angelo Megaro, Direttore dell’Ufficio studi di Federmeccanica, nel primo trimestre 2020 il calo tendenziale, ovvero il calo rapportato al primo trimestre del 2019, è stato del -15,3%. Nel secondo trimestre si è assistito a un vero e proprio crollo: -31,4%. Col terzo trimestre, si è avuta invece una ripresa congiunturale (cioè rapportata al trimestre precedente) del +37,5%; col che, il calo tendenziale si è ridotto al -5,1%. Infine, nel quarto trimestre un’ulteriore ripresa congiunturale del +1,2% ha portato a un risultato addirittura positivo in termini tendenziali, superando il quarto trimestre 2019 di un minimo, ma comunque apprezzabile, +0,2%. Col risultato finale, relativo all’intero anno, che abbiamo visto sopra: -13,4%. Ovvero con un risultato peggiore di quello dell’insieme della nostra industria, attestatosi al -10,9%.
Per ciò che riguarda i comparti della nostra industria metalmeccanica, le cose sono andate particolarmente male in quello denominato “Autoveicoli e rimorchi” (-20,6%). Un po’ meno male quello di “Macchine e apparecchi meccanici” (-14,6%). Male anche gli “Altri mezzi di trasporto” (-13,1%), la “Metallurgia” (-11,3%) e i “Prodotti in metallo” (-13,2%).
Le perdite minori sono state riscontrate nel comparto “Computer, radio tv, strumenti medicali e di precisione” (-6,9%), e in quello di “Macchine e apparecchi elettrici” (-9,5%).
Per quanto riguarda poi un confronto internazionale di ambito europeo, nel 2020 l’industria metalmeccanica italiana, con il suo sopra citato -13,4%, ha fatto peggio dell’insieme dei 27 Paesi dell’Unione Europea (-12,7%), ma meglio sia della Spagna (-14,2%), che della Germania (-14,7%) e, soprattutto, meglio della Francia (-19,0%).
Infine, va detto che al calo produttivo ha fatto da contraltare sia un calo della domanda interna, che un calo delle esportazioni; quest’ultimo pari, in media, a un -9,7%. Tale calo è stato poi più accentuato per ciò che riguarda la UE a 27 membri (post Brexit), con un -11,8%, che non per ciò che riguarda i Paesi extra UE (-7,4%).
Il clima di fiducia derivante dall’esito, giudicato come molto positivo, della trattativa contrattuale, nonché dalla risalita produttiva verificatasi, come si è visto sopra, nel terzo e nel quarto trimestre pare adesso relativamente più stabile a causa di due altri fattori.
Innanzitutto, ci sono i risultati dell’indagine condotta da Federmeccanica sul sentiment di un campione di imprese metalmeccaniche ad essa associate. La percezione che in questo campione si ha delle prospettive industriali a breve è improntata a un “cauto, moderato ottimismo”. Ottimismo che deriva, a sua volta, da “una crescita degli ordini in portafoglio” e quindi da un’attesa di incrementi produttivi “sia per il mercato interno, sia per quello estero”.
A ciò va probabilmente aggiunta, ma questo lo diciamo noi, la fiducia ispirata nel mondo imprenditoriale – oltre che, va detto, nel mondo sindacale – dalla figura del nuovo capo del nostro Governo, Mario Draghi. Fiducia e aspettative che sono state comunque esplicitate, nel suo intervento, dal succitato Astori.
Nel sentiment delle imprese – e qui torniamo all’indagine – permane, comunque, “una sostanziale incertezza dovuta all’evoluzione della pandemia”. Evoluzione che appare “legata, da un lato, all’esito della campagna vaccinaria” e “dall’altro, alle mutazioni del coronavirus” tutt’ora “in atto”.
A queste incertezze, legate alla relativa imponderabilità dei fenomeni pandemici, si aggiungono poi incertezze più strettamente economiche, ancorché legate, da vari fili, alle conseguenze della pandemia.
Fra queste, particolarmente preoccupante ci è parsa quella denunciata da Astori, secondo cui si assisterebbe oggi, in questa fase di ripresa, a un rarefarsi di varie materie prime, o di prodotti di base, con una conseguente tensione sui prezzi.
In particolare, Astori ha portato l’esempio del filo fine di acciaio inossidabile, un prodotto base che viene poi impiegato da imprese collocate in diversi comparti metalmeccanici. La produzione di questo filo d’acciaio è migrata dai Paesi di più antica industrializzazione a causa di costi di produzione che non potevano reggere la concorrenza produttiva di un Paese come la Cina; ovvero di un Paese in cui il costo del lavoro è incomparabilmente più basso, mentre non sussistono vincoli ambientali paragonabili a quelli europei o nordamericani. Risultato: la Cina oggi detiene un quasi monopolio della produzione di questo bene intermedio e può scegliere tra farlo mancare alle imprese estere che ne hanno assoluto bisogno, oppure venderlo a prezzi crescenti.
E qui sarà utile citare un dato, di fonte FMI (World Economic Outlook, 2021), che, incidentalmente, è stato ricordato da Megaro nel corso della sua esposizione. Dato secondo cui la Cina è l’unico grande Paese industriale il cui Prodotto interno lordo sia cresciuto nel corso del 2020 (+2,3%). Può quindi agevolmente assorbire la produzione di specifici beni intermedi che decida di togliere dal mercato mondiale, mettendo in difficoltà le imprese straniere concorrenti in diversi campi.
@Fernando_Liuzzi