Nella complessità della situazione del Paese un segnale di speranza viene dal mondo del lavoro e dalle sue istituzioni rappresentative. Per quanto prive di pregiudizi e ben disposte nei confronti del Conte 2, le Confederazioni si erano accontentate di saltuarie promesse di una maggiore attenzione nel prossimo futuro, puntualmente disattese. Valga per tutti il confronto sul PNRR: le segreterie di Cgil, Cisl e Uil sono state convocate a Palazzo Chigi poche ore prima della crisi di governo. Certo, l’esecutivo precedente non aveva esitato ad accogliere – senza fare una piega – le principali richieste dei sindacati ovvero le proroghe della Cig da Covid 19 e del blocco dei licenziamenti. Alla Confindustria era andato ancora peggio, poiché non risulta che le sia stato riconosciuto un ruolo significativo nel determinare le politiche dei c.d.ristori (poi divenuti “sostegni”). A quanto pare Mario Draghi non ha perso tempo per attivare questo fronte nell’impari lotta alla diffusione del virus, prendendo in parola la disponibilità delle parti sociali nel mettere a disposizione le loro strutture e ingenti risorse umane e materiali. Del resto, se gran parte dell’apparato produttivo sta risollevando la testa, è merito dei protocolli stipulati un anno fa col principale obiettivo di rimettere in moto le macchine nelle officine nelle condizioni di maggiore sicurezza possibile; ma nella consapevolezza che il rischio zero è solo una chimera. Non è retorica ribadire che – anche questa volta – i lavoratori hanno salvato le fabbriche da un nemico spietato ed invisibile, pur consapevoli che ci sarebbe stato un prezzo di sofferenze da pagare. E’ noto che la contrazione del virus “in occasione di lavoro” (e quindi anche in itinere) è considerato infortunio sul lavoro e in quanto tale denunciato, riconosciuto e tutelato. Sono state circa 150mila le denunce degli infortuni da Covid e poco meno di 500 i decessi. Purtroppo la grande maggioranza – per evidenti motivi – è avvenuta nel settore socio-sanitario. Vi sono confronti che andrebbero evitati, perché i decessi sono sempre troppi; ma i dati dimostrano che le misure di prevenzione hanno svolto il loro ruolo nei posti di lavoro. E’ sempre più evidente che se non si riuscisse a contenere la furia del contagio prenderebbe di nuovo il sopravvento la logica funesta del lockdown che è stato (anche nelle sue manifestazioni parziali e variamente colorate) la causa principale della crisi economica, perché nessuna attività può sopravvivere ad un divieto di lavorare e produrre. Ecco perché la campagna delle vaccinazioni diventa il mezzo non solo per salvare più vite, evitare il collasso degli ospedali, ma anche per salvaguardare un’economia che si sta sforzando di tirare avanti dando dimostrazione di una vitalità superiore alle attese e alle previsioni. Come ha affermato Draghi in Senato: “Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari. Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private”. Se oltre all’Esercito e alle Forze dell’Ordine, alle strutture e agli operatori sanitari scende in campo il mondo del lavoro organizzato, ben presto si vedranno gli effetti. Sempre che vi siano a disposizione confezioni di vaccini sufficienti in breve tempo. Dicendo prima di tutto la verità. E’ sicuramente vero che l’approvvigionamento accentrato a livello europeo ha mostrato dei limiti; ma lo è altrettanto riconoscere che non siamo tuttora stati in grado di smaltire le confezioni che già sono disponibili da settimane. In breve: ogni somministrazione è un contributo a salvare un posto di lavoro dalla mannaia del lockdown. Ma c’è un altro aspetto che, in queste ore, merita di essere segnalato: domani a Palazzo Chigi il premier Draghi e il ministro Renato Brunetta sottoscriveranno insieme ai leader sindacali un Patto per il pubblico impiego con l’obiettivo di “fissare i criteri per una riforma della pubblica amministrazione che dovrà puntare a un miglioramento dei servizi per i cittadini, alla riconversione delle abilità e delle competenze del personale attraverso innovazione, digitalizzazione, formazione, apertura di nuovi spazi per la contrattazione e forme innovative di partecipazione dei lavoratori”. E’ un evento che merita di essere segnalato anche perché dovrebbe superare il difficile rapporto che si era determinato tra governo Conte 2 e sindacati in materia di pubblico impiego al punto da sfociare in un (discutibile) sciopero di tutte le categorie interessate. Quanto sia <strategica> in una fase come questa un’amministrazione pubblica più efficiente è assolutamente chiaro ed evidente; ma è un obiettivo di non facile realizzazione. A questo proposito Draghi, nel suo intervento alla Inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti, ha messo il dito nella piaga parlando a nuora (la magistratura contabile) perché suocera (quella penale) intenda. “È necessario – ha dello il presidente del Consiglio – sempre trovare un punto di equilibrio tra fiducia e responsabilità: una ricerca non semplice, ma necessaria. Occorre, infatti, evitare gli effetti paralizzanti di quella che viene chiamata la “fuga dalla firma”, ma anche regimi di irresponsabilità a fronte degli illeciti più gravi per l’erario. Tenendo conto peraltro che, negli ultimi anni, il quadro legislativo che disciplina l’azione dei funzionari pubblici si è “arricchito” di norme complesse, incomplete e contraddittorie e di ulteriori responsabilità anche penali”. Poi Draghi ha continuato: “Tutto ciò ha finito per scaricare sui funzionari pubblici responsabilità sproporzionate che sono la risultante di colpe e difetti a monte e di carattere ordinamentale; con pesanti ripercussioni concrete, che hanno talvolta pregiudicato l’efficacia dei procedimenti di affidamento e realizzazione di opere pubbliche e investimenti privati, molti dei quali di rilevanza strategica”. Stanno qui i veri motivi di quelle che pretestuosamente vengono definite le disfunzioni burocratiche. Sono la cultura del sospetto e la mistica della corruzione che impongono alla pubblica amministrazione la linea del “non fare” che è l’unico modo per evitare una intercettazione telefonica (magari rendendo pubblica una relazione extraconiugale che nulla ha da spartire con una pratica in corso), un avviso di garanzia per abuso di ufficio con annesso “sbatti il corrotto in prima pagina”. Renato Brunetta è già stato ministro della Funzione Pubblica. Si sarà reso conto che non vale la pena di varare ad ogni legislatura una complessa legge delega per la riforma del pubblico impiego che spesso non riesce neppure ad entrare del tutto in vigore perché le Camere chiudono prima che sia completato il “giro” dei decreti delegati. E’ poi il caso che Brunetta verifichi, visto che ne deve discuterne con i sindacati, se davvero ha funzionato, nei settori pubblici, lo smart working durante la pandemia; a quanto si dice, il 94% delle pubbliche amministrazioni ha consentito ai propri dipendenti di lavorare da remoto. Si stima che abbiamo lavorato con questa modalità circa 1,85 milioni di dipendenti pubblici. Non si è chiarito quali effetti abbia avuto questa organizzazione del lavoro sull’erogazione dei servizi ai cittadini. Come si diceva una volta: “Ofelè fa el to mesté!”. Le nuove tecnologie – anche laddove sono diffuse (e non è sempre così) – non sostituiscono in toto l’intelligenza e il lavoro umano.
Giuliano Cazzola