Dice una famosa battuta che ci sono due tipi di pazzi: quelli che si credono Napoleone e quelli che vogliono risanare le ferrovie. Pietro Larizza era un altro tipo di “pazzo”, con una missione ancora più improba: lui voleva ridare senso e ruolo al Cnel. Quando nel 2001 mi chiamò a dargli una mano, come sua portavoce alla presidenza del Consiglio Nazionale Economia e Lavoro, ebbi più di un dubbio prima di accettare. Lavoravo alla redazione economica dell’Adnkronos, ero un pò stufa del “marciapiede”, il lavoro di strada faticoso, duro, penna e blocchetto sempre alla mano, dei cronisti di agenzia; ma non ero sicura di voler passare dall’altra parte della barricata, da giornalista a comunicatrice. Però lui mi fece un gentile ricatto: poiché ero stata io, un anno prima, a consigliargli un’altra portavoce che poi lo aveva abbandonato, mi disse, ora avevo il dovere morale di sostituirla. Ci facemmo una risata, ed ebbe il mio si. Così mi trasferii dalla caotica confusione della redazione alla pace sontuosa degli affreschi e degli stucchi di Villa Lubin. E sono stati quattro anni molto divertenti e stimolanti, decisamente più di quanto immaginassi.
Al Cnel Pietro era stato nominato presidente nel 2000, allo scadere del suo mandato come segretario generale della Uil. Un leader storico, l’ultimo di una grande triade che aveva fatto la storia inaugurando nel 1993 l’epoca, poi troppo rapidamente chiusa, della concertazione, assieme a Bruno Trentin e a Sergio D’Antoni. Diversamente da chi considerava Villa Lubin una sorta di dorato cimitero degli elefanti dove inviare dirigenti ormai a fine corsa, destinati ad annoiarsi nelle splendide stanze con vista su Villa Borghese, Pietro credeva molto nell’idea che aveva portato alla creazione di quell’organo costituzionale un po’ anomalo. Il Cnel, nella sua intenzione, doveva andare oltre il compito di sfornare “pareri” sulle varie leggi per il Governo, ma doveva rappresentare la “casa” delle parti sociali, svolgere il ruolo di camera di compensazione dei conflitti, dei problemi insoluti, diventare il luogo dove confrontarsi senza steccati e trovare le soluzioni. Il luogo dove continuare a lavorare sulla concertazione, insomma.
Come prima cosa, fece in modo di portare a Villa Lubin un gruppo di consulenti di grande levatura che lo aiutassero a raggiungere questo obiettivo. A partire da Marco Biagi che, nel pieno delle tensioni sul Libro Bianco, Larizza chiamò a spiegare, in un seminario a porte chiuse coi sindacalisti, imprenditori e politici, il senso reale della sua assai discussa proposta di riforma del lavoro. Di quella lunga testimonianza resta negli archivi del Cnel la trascrizione del suo intervento: che vale la pena di rileggere, per constatare quanto vedesse lontano rispetto ai problemi che avrebbero poi pesato sul mondo del lavoro.
In quegli anni al Cnel si organizzarono parecchi convegni importanti, si produssero documenti di analisi su tutte le materie economiche e sociali, ma anche ricerche che esulavano dai temi strettamente di competenza: scelti, e lo dico col senno di poi, con incredibile lungimiranza. Ne cito uno per tutti, e cioè lo studio, curato dall’allora vicepresidente Francesca Santoro con la collaborazione di massimi esperti come l’Osservatorio di Pavia e la ricercatrice dell’Istat, oggi molto nota, Linda Laura Sabbadini, sulla “rappresentazione” della donna nei media e nella televisione. Ricerca dalla quale emersero – già vent’anni fa – tutte le contraddizioni e l’ipocrisia che offuscavano, e tutt’ora offuscano, il ruolo femminile nella società.
Però nemmeno la passione che Larizza ci metteva bastò a far si che le parti sociali, suoi primi e fondamentali interlocutori, si convincessero della svolta che voleva dare al Cnel. Forse temendo di perdere parte della propria autonomia, forse non credendoci fino in fondo, sta di fatto che quella ‘camera di compensazione’ che Larizza sognava non si realizzò. Forse, semplicemente, non erano ancora i tempi giusti. Pietro non si arrendeva, e continuava, da calabrese testardo (lo so bene, perché ne ho sposato uno testardo come lui) a tentare di realizzare l’obiettivo. Prendendosi qualche soddisfazione e qualche porta in faccia, ma senza mollare mai. E senza perdere il buon umore, pronto a ritemprarsi ogni fine settimana nella sua Terracina, per tornare ogni lunedì ancora più agguerrito. Ci inventammo di tutto per aumentare, all’esterno, l’impatto e la conoscenza del Cnel. Compresa la cena per la stampa che tenevamo a fine luglio, prima della chiusura per ferie, sulla terrazza di Villa Lubin. Oggi si direbbe “roba da Casta”, in realtà era un modo gentile – e molto apprezzato – per ringraziare i tanti colleghi di giornali e agenzie che durante l’anno seguivano, con professionalità, le nostre molte iniziative.
Poi accadde che, nel luglio del 2005, l’attesa (e data per scontata) riconferma di Larizza per il secondo mandato non arrivò. Il governo Berlusconi, all’ultimissimo momento, scelse un altro nome per la presidenza. Era un venerdì, Pietro lasciò Villa Lubin subito dopo il comunicato stampa del consiglio dei ministri che nominava il suo successore, e non ci rimise piede. Molto amareggiato, non recriminò mai -almeno non in pubblico – e mai accettò di parlare del Cnel dopo la sua brusca uscita. Da signore d’altri tempi, non avrebbe fatto uno sgarbo all’istituzione che aveva guidato.
Per Villa Lubin seguirono anni difficili, con una reputazione sempre più ammaccata e un’etichetta di “ente inutile” che trovò il suo culmine nella riforma costituzionale di Matteo Renzi: con la quale si aboliva, oltre al senato, anche il Cnel. Non ho mai capito, confesso, per quale motivo Renzi lo avesse preso così di punta, decretandone la cancellazione, invece di trovare il modo per restituire all’organo costituzionale dignità e ruolo, come sarebbe stato giusto e come certamente avrebbe saputo e potuto fare. I sindacati un po’ protestarono, ma, diciamo, non scesero in piazza in nome del Cnel. Comunque, come è noto, il referendum affossò la riforma costituzionale, e così come il senato anche il Cnel sopravvisse. Oggi a Villa Lubin siede come presidente Tiziano Treu. Sotto la sua sapiente guida di gran giuslavorista, il Consiglio nazionale economia e lavoro sta finalmente recuperando il ruolo che gli è proprio. Ci sono voluti vent’anni, da quel tentativo di Larizza: che oggi se n’è andato in silenzio, e credo portando nel cuore, oltre alle insegne della sua Uil, anche quelle di Villa Lubin.
Nunzia Penelope