“Non temere i momenti difficili. Il meglio viene da lì” è una frase di Rita Levi Montalcini. Sarebbe un buon viatico per Mario Draghi che si è impegnato a guidare il Governo in una fase fra le più difficili della nostra storia su incarico del Presidente Mattarella e con l’acquiescenza di quasi tutte le forze politiche per stato di necessità. Nelle sue dichiarazioni programmatiche Draghi ha semplificato al massimo le ragioni della sua nuova avventura: guidare un Governo senza aggettivi, il Governo del Paese, fuori dalle emergenze che si sono assommate sempre più pericolosamente: l’esigenza di una vaccinazione rapida e ampia, l’urgenza di rassicurare l’Europa sulle risorse da concedere per la crescita e le riforme, le politiche attive sul lavoro per evitare un disastro sociale.
In questo sforzo di delineare una prospettiva di sistema hanno riecheggiato le sue esperienze del passato di uomo delle Istituzioni italiane ed europee. In più ha aggiunto, ed è un bene che l’abbia fatto, un richiamo alla necessità di stabilire un legame diretto con i giovani, le donne e gli uomini di questo Paese da mesi alle prese con disagi di ogni genere e che attendono risposte rassicuranti in una stagione di grandi incertezze e di sempre maggiore fragilità sociale, economica e psicologica. La Uil, sindacato dei cittadini, non può non prendere atto con interesse e soddisfazione di questa posizione.
Molto per la riuscita di questo tentativo dipenderà dalle prossime settimane, dai mesi centrali del 2021. Ma se in questo breve lasso di tempo si comincerà ad intravedere, virus permettendo, un sentiero in grado di ricondurre il Paese verso una vita normale, sarà già un buon risultato. E Draghi ha volontà ed intelligenza per provarci. Anche se troverà prevedibili ostacoli dentro e fuori il suo governo.
Naturalmente le impostazioni dei problemi più rilevanti cambieranno rispetto al recente passato. Lo stile è soft, ma la sostanza non lascia dubbi in proposito. E’ importante intanto che sia stata negata la politica dei due tempi: emergenza e ripartenza devono far parte della stessa strategia. Sul terreno della lotta al Covid, l’indicazione è quella di mobilitare tutte le risorse a disposizione per la campagna di vaccinazione che andrebbe in tal modo accelerata ed estesa. Ma diventa anche il preludio a quella riorganizzazione del settore sanità, a partire da quella territoriale, che non solo Draghi vede indispensabile nel futuro.
La riconferma inoltre di alcune certezze in campo internazionale come la irreversibilità dell’euro (senza curarsi dei residui populisti in casa nostra), l’atlantismo che rivaluta sintonie storiche appannate anche in virtù di quelle esistenti fra Draghi e i leader democratici americani, la solidarietà europea, diventano delle carte credibili per accedere al Recovery plan. Un accredito al quale viene aggiunta la scelta di una chiara governance attestata al Ministero dell’economia diretto per giunta da un Ministro rispettato ed un tecnico di fiducia del Presidente del Consiglio come Franco che non potrà non essere apprezzata nelle cancellerie europee. E perché escludere che la scelta di Draghi non si sia determinata anche dalla constatazione che in Europa occorra ancora l’impegno dell’ex Presidente della Bce, specie nella prospettiva di un addio della Merkel e con una Francia che presto sarà alle prese, nel 2022, con le elezioni? Non si aprirebbe insomma solo l’eventualità di un Draghi protagonista nuovamente sullo scenario europeo ma anche di un ruolo realmente importante per l’Italia.
Le politiche attive del lavoro completano il programma “minimo” di questo avvio di governo con una giusta attenzione alle condizioni reali della occupazione, delle diseguaglianze che si sono determinate. La parola va ai fatti ma almeno si scorge un percorso di interventi che appare condivisibile nelle priorità specie se sarà corredato da vera concertazione con le forze sociali tenendo nel debito conto le loro proposte: non c’è più tempo da perdere per la riorganizzazione degli ammortizzatori sociali, per il ritorno a politiche efficaci per la ripresa del Sud. E va preso in seria considerazione l’impegno a rimuovere ostacoli e disparità di trattamento per la occupazione femminile. Senza, almeno questo è l’auspicio, sterili assistenzialismi ma approntando tutele capaci di evitare tragedie occupazionali alle quali ci opporremmo con forza.
Ma è forse sul piano delle politiche ambientali che emerge una direzione di marcia assai ambiziosa ma suggestiva: non a caso il nuovo Governo traccia un lavoro che abbraccia diverse discipline e che quindi va a comporre un puzzle che spazia dalla digitalizzazione, alla agricoltura, dalla salute alla energia, dalla biodiversità alla protezione del territorio con un accento importante sulla necessità di “prevenire piuttosto che riparare”.
Così come fa parte del bagaglio riformista, ormai fin troppo dimenticato anche a sinistra, l’approccio alle riforme che vede in primo piano per essere attuate… la presenza di capaci riformatori. Lo si capisce dagli accenni alla preparazione dei funzionari pubblici per le infrastrutture, così come alla formazione per gli insegnanti ed ancora al potenziamento dei centri dell’impiego.
Molti titoli fanno parte di decenni di programmi dei governi che si sono succeduti, vero. Il giudizio questa volta va sospeso ma non per molto. Le condizioni dell’Italia non si curano con le prediche. Ma accenti nuovi ci sono e paiono anche ben calibrati. In questo senso però dovrebbero essere colte le opportunità che si presentano da partiti e forze sociali. I primi non possono di fronte ad un progetto di tale portata ed intensità culturale, politica e sociale, continuare a rinviare una poderosa riflessione sulla forma e sulla sostanza della politica in una fase di inevitabile trasformazione per il bene, quello autentico, del Paese. Abbandonando liti continue, demonizzazioni, logiche da clan, interesse solo per il potere spicciolo o per le leadership. Un processo non breve, ma che si dovrà pure iniziare per arrivare a riprogettare forze politiche meglio ancorate alla realtà del Paese. Per parte nostra non possiamo non cogliere la opportunità che si apre di contribuire alla rinascita del Paese dopo un periodo nel quale delegittimazioni, indifferenza, sottovalutazioni si sono susseguite fin troppo di frequente. Possiamo concorrere con le nostre proposte ed il nostro insediamento sociale a realizzare politiche sociali, economiche e del lavoro all’altezza della situazione. Non sarà facile, ma stavolta perlomeno ci sono premesse da verificare e senza ostilità preconcette.
Si è parlato spesso di un nuovo esperimento alla Ciampi. I tempi sono mutati. Le questioni in parte pure, ma quello spirito, lo spirito di allora potrebbe essere ancora utile. Sta al Governo ricordarlo, sta ai partiti assecondarlo, sta alle forze sociali sentirsi in pieno responsabili e protagoniste come lo sono state nella pandemia impedendo al Paese di franare. In una situazione come quella attuale, verrebbe da dire che il nuovo governo mostra, rispetto alla sua composizione e al Parlamento cui deve rispondere, fin troppe ambizioni. Ma per questo ci sarà tempo di valutare i progressi reali che si attueranno. Ora è fondamentale liberarsi di ogni immobilismo e ricominciare a lavorare per la ricostruzione. Non per nulla il nuovo Presidente del Consiglio ha rammentato quella del secondo dopoguerra. Con grandi e dure assunzioni di responsabilità anche da parte sindacale, con grandi sacrifici degli italiani, ma anche con grandi risultati che hanno dato ragione a quell’impegno. Sarebbe davvero significativo che una volta tanto la storia provassimo a ripeterla.
Paolo Pirani