A guardare gli avvenimenti della politica italiana, con l’attuale legislatura il sostantivo “coalizione” sembra aver perso di senso. Alle elezioni del 2018 le principali forze politiche si presentarono in queste formazioni. Coalizione di centrosinistra: Pd, +Europa, Italia Europa Insieme, Civica Popolare Lorenzin, Svp-Patt. Coalizione di centrodestra: Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Noi con l’Italia-Udc. Senza apparentamenti si presentarono il MoVimento 5 Stelle e Leu (Partito/coalizione dalla storia e geografia complesse).
In breve, a giugno 2018 nasceva la coalizione di governo a sostegno del Conte 1: M5S, Lega e Maie (Movimento Associativo Italiani all’Estero). La coalizione di centrodestra si era dissolta, con la Lega che aveva abbandonato gli alleati insieme ai quali aveva raccolto il 37% dei voti.
Il 5 settembre 2019 nasce il governo Conte 2, a sua volta sostenuto da M5S e Maie – come il precedente – coalizzati con Pd e Leu. Il centrodestra si ricompone. Nasce una formula inedita e inespressa: la coalizione d’opposizione. Profilo che Lega, FI e FdI mantengono oltre la caduta del Conte 2. Alle consultazioni che si succedono da un paio di settimane, il centrodestra si presenta con un profilo – almeno apparentemente – unitario, seppur con delegazioni distinte, tenendo, in ogni caso, coordinamenti quotidiani.
Torniamo al 2019. Tredici giorni dopo la nascita del Conte 2, il 18 settembre, Matteo Renzi – operando una scissione dal Pd – fonda Italia Viva, formazione che si somma alla coalizione al governo. Inutile riassumere gli avvenimenti recentissimi che hanno portato alle dimissioni di Giuseppe Conte e all’incarico a Mario Draghi, dopo che il tentativo di un Conte Ter è rapidamente abortito.
Invece, anche a governo caduto, resta in piedi l’idea dell’alleanza strutturale tra Pd, Leu e M5S: a prescindere dall’essere al governo o all’opposizione. Idea che sembra ossessionare soprattutto la dirigenza democratica, con Leu che segue a rimorchio. Giovedì 4 febbraio, Giuseppe Conte si è gentilmente offerto come punto di riferimento-federatore di questa coalizione.
E qui la cosa si fa, se possibile, più oscura. I protagonisti di quest’alleanza – M5S, Pd e Leu – si sono, infatti, presentati separati alle elezioni. Se è possibile immaginare una qualche sintonia tra Pd e Leu, che originano, perlomeno, dalla stessa famiglia politica, è più difficile capire cosa li possa unire – fuori da un’estemporanea alleanza di governo – ai Cinquestelle, un senatore dei quali, Elio Lannutti, andrà in giudizio, il 29 marzo, in base all’art. 604 bis del codice penale: “propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa”.
Il MoVimento si dichiara, fin dalla nascita, a-ideologico, né di destra, né di sinistra perché “le ideologie sono morte”. Il suo baricentro poggia sul criterio di “utilità ai cittadini”. E infatti, con la massima disinvoltura, è andato al governo sia con la Lega, sia con i partiti di centrosinistra.
Diverso, va detto, il discorso per +Europa e Azione. Il primo, rimasto all’opposizione di entrambi gli esecutivi Conte. Il secondo, nato il 21 novembre 2019 per iniziativa di Carlo Calenda – uscito dal Pd il 28 agosto, avendo preventivamente dichiarato la sua indisponibilità a sopportare e supportare un governo con i Cinquestelle – in opposizione al Conte 2. Azione e +Europa si avviano in un percorso federativo – fondato, perlomeno, su diverse interpretazioni della medesima matrice liberale e su una collocazione di centrosinistra – e si presentano con delegazioni unite alle consultazioni.
Ci eravamo abituati, fin dal tempo del Mattarellum, alla costituzione di coalizioni elettorali tra partiti che avevano, perlomeno, una qualche – magari minima – consonanza ideologica, almeno di schieramento. Lo schema fondamentale è stato centrosinistra vs centrodestra. E l’obiettivo era, indubitabilmente, quello di andare al governo. Quel meccanismo si è rotto. Ci si presenta uniti (o no) davanti agli elettori e, poi, quel che succede, succede. Con buona pace degli elettori stessi, i quali potrebbero gradire o meno il disintegrarsi delle coalizioni elettorali e l’aggregarsi in altre formazioni di governo. O di opposizione. O varie ed eventuali.
Tutto questo, oggi, senza che le elezioni siano alle viste. Anzi. Fallito il tentato Conte Ter, il Presidente della Repubblica ha indicato vigorosamente un sentiero del tutto diverso. Intanto, i cittadini di questo Paese devono tentare di decifrare quale sia l’identità politica, ideologica – perlomeno il movente – di partiti che si uniscono e divorziano a prescindere. Senza nemmeno spiegare razionalmente perché lo facciano e cosa, sul piano dei valori, se non degli ideali, li unisca o li separi.
Vittorio Liuzzi