L’ostinazione con cui il presidente Giuseppe Conte persiste a non prendere atto della fine del suo governo richiama alla memoria il 1972 e il governo Andreotti II, meglio noto come governo Andreotti – Malagodi.
Un governo di centro destra che durò in carica dal giugno 1972 al luglio 1973 e che cadde in data 28 maggio per il ritiro del sostegno esterno da parte del Partito Repubblicano Italiano causato dalla cosiddetta vicenda di Tele Biella.
Nonostante questo, Giulio Andreotti non presentò le proprie dimissioni limitandosi a una semplice colloquio informativo con il presidente Leone e procrastinò la formalizzazione della crisi fino al 12 giugno e solo dopo lo svolgimento del congresso della DC, con elezione di Fanfani alla segreteria e il riavvio della stagione dei governi di centro sinistra (Rumor IV). Un periodo dunque di due settimane che sollevò le proteste dell’opposizione e le preoccupazioni della stampa.
Altri tempi, non c’è dubbio, ma è difficile non rimarcare un’ulteriore assonanza tra Giuseppe Conte e il Divo Giulio: quella delle comuni frequentazioni degli ambienti ecclesiastici e della identica stima che i vertici di Oltretevere riservano a entrambi.
Il quotidiano Il Domani si è spinto oltre, definendo Giuseppe Conte il politico che può vantare le maggiori entrature in Vaticano secondo in questo solo al già citato Giulio Andreotti.
Chi avrebbe mai potuto pensare che il distillato dei meet-up e dei vaffa day dei Grillini sarebbe stato un uomo con il passo felpato e la pochette sempre in ordine? Chi avrebbe scommesso una lira che i comandamenti del popolo dei 5 stelle: avversione per i vaccini, liberalizzazione delle droghe leggere, vincolo di mandato estremo, autosufficienza politica del noi contro il mondo intero (poi ampiamente rivista) e disprezzo degli avversari, oltre ovviamente a rifiuto di TAV e TAP, avrebbe trovato come punto di rappresentanza ufficiale un uomo che della mediazione leguleia, delle buone maniere e dell’eloquio curiale ha fatto la sua cifra distintiva?
Misteri della politica italiana e di quell’opportunismo, senza distinzione di colore politico, che trasforma in oro quello che prima era vile metallo ed eleva al ruolo di costruttori di futuro coloro che prima erano il percolato della storia.
Il Presidente Conte dunque si è finora opposto ad ogni ipotesi di dimissioni, temendo che nel breve tragitto che separa Montecitorio dal Quirinale si potesse fare a meno della sua figura; come se l’avvicendamento di un presidente del consiglio fosse una sorta di regicidio, un atto blasfemo la cui semplice supposizione si trasforma in peccato o tradimento.
L’impressione è quella di una perdita del senso della misura da parte di tutti i partiti della coalizione e di un altrettanta buona dose di ipocrisia. E’ infatti del tutto evidente che la situazione, stante la crisi sanitaria, economica ed educativa che stritola il paese, sconsiglia il ricorso alle elezioni anticipate.
E come diretta conseguenza è altrettanto evidente che il refrain sulle elezioni, invocate dai commissari politici di Conte, Goffredo Bettini da un lato e Marco Travaglio dall’altro, è un artificio retorico o meglio un richiamo per stanare la preda: i centristi trasversali perchè destra o sinistra non contano e, come sostenuto dal truce Di Battista, anche il salto del fosso da parte degli ex nemici di sempre come gli italoforzisti, sarebbe ben accetto, valendo bene una messa la prosecuzione della legislatura.
I pontieri sono all’opera per un governo di salvezza nazionale fino a ieri sdegnosamente negato. Ovviamente per accedere all’indulto il figliol prodigo, Matteo Renzi, prima di pranzare con l’agnello sacrificale, dovrà dare segni di pentimento iniziando a votare la relazione del Ministero Bonafede; facile a dirsi ma difficile a farsi perché indisponibili a votare la relazione del Guardasigilli si sono già dichiarati anche i centristi che avevano consentito a Conte di raggiungere quota 157: l’intramontabile Casini, la moglie di Mastella sen. Leonardo, l’ultimo dei socialisti Nencini e l’uomo del giorno il sen. Ciampolillo, che del resto ha votato a favore del governo per procura dichiarata dei genitori, da lui pubblicamente ringraziati.
Resta dunque un mistero come pretendere che gli esponenti di Italia Viva, che si erano astenuti sulla fiducia, possano domani approvare una relazione che nelle parole di Di Maio è considerata un’equivalente e un sine qua non per continuare a procedere.
La tragedia dunque rischia di trasformarsi in farsa, mentre i problemi sono stati semplicemente nascosti come segnalato da Confindustria che ha criticato la non conformità del ricovery plan agli standard prefissati da Bruxelles e la mancata definizione della struttura di governance che dovrà gestire i 220 miliardi. Soldi che l’Italia erroneamente considera già incassati e che invece Bruxelles intende erogare solo a patto di precise indicazioni e verifiche sullo stato di avanzamento dei lavori ancora da inserire in un recovery plan estremamente povero di dettagli. E a tale proposito è sufficiente leggere quanto scritto oggi da Federico Fubini nel suo editoriale sul Corriere della sera.
Si naviga a vista e nessuno può prevedere con un margine di probabilità accettabile quanto avverrà da qui a 24 ore.
L’impressione è che però l’avvitamento della situazione sia un ulteriore dimostrazione della dissoluzione dl sistema politico italiano: i 5 stelle privi di linea politica e, dopo la defezione di Grillo e Casaleggio senior, di dirigenti capaci di declinare un minimo di alfabeto politico; il PD ormai dopato dal suo governismo che del resto garantisce ministeri, con la piccola esclusione del governo giallo-rosso, da quando Monti scese in campo per salvare la patria; LEU appagata degli incarichi di governo e del suo ingresso nella stanza dei bottoni; Italia Viva in preda all’egolatria del suo leader maximo che fa e disfa a suo piacimento; Forza Italia in decomposizione senile; Fratelli d’Italia in preda all’eccitazione di chi corre con il vento in poppa e la Lega schiacciata tra l’inconcludenza di Salvini e le richieste pressanti del mondo produttivo che essa rappresenta.
Se la situazione non fosse seria si potrebbe fare facile eroina citando le argute battute di Flaiano. E invece il senso di responsabilità ce lo impedisce perché i partiti che stanno dando questa immagine scadente della politica stanno in realtà impegnando il paese per i prossimi trenta anni assumendosi come responsabilità il destino dei nostri figli e nipoti. Una responsabilità che a torto o ragione interessa tutti noi.
Roberto Polillo