Nubi sempre più scure si addensano sul cielo della sanità. Il quadro è così tratteggiato dal coordinatore degli assessori alle Finanze, Massimo Garavaglia (Lombardia): “Il Fondo sanitario nazionale (Fsn) 2018 rischia di arrivare a 112,1 miliardi, perdendo 500 milioni, invece di incassare 800 milioni di aumento ( necessari per il finanziamento dei nuovi LEA). Anche qui – sottolinea Garavaglia – basta affidarsi alla matematica: a fronte di un Fondo 2017 da 112,6 miliardi, il 2018 partirebbe da una base di 113,4 miliardi, e non già di 114 miliardi come nominalmente previsto, dovuta al contributo per 604 milioni delle Regioni a statuto ordinario. A questa cifra vanno sottratti almeno 1,3 miliardi, cioè il 2,9% del monte salari complessivo da 40 miliardi, necessari per chiudere i contratti della dirigenza sanitaria, del comparto e della convezionata. Risorse che oggi non sono previste nel Ddl di Bilancio, ma che immaginiamo il Governo sia interessato a recuperare, vista anche la partita elettorale in corso. E sono risorse calcolate al minimo, che non tengono conto dell’effetto trascinamento nel privato». Ancora più critico il giudizio sull’intera manovra di bilancio “ per la parte non sanitaria di fatto la manovra del Governo, se togliamo i 16 miliardi per l’Iva, di fatto vale 4 miliardi circa di cui 3 arrivano dalle Regioni. È quindi il comparto Regioni che permette di fare la manovra, si rischia di mandare tante realtà in esercizio provvisorio senza fare i bilanci, si sta esagerando».
Una situazione di grande criticità, dunque, che trasforma in un miraggio il necessario rilancio del nostro SSN e la chiusura del contratto del comparto della dirigenza sanitaria e dell’area delle convenzioni ( specialisti ambulatoriali e medici di medicina generale).
Su quest’ultimo fronte c’è da segnalare la presa di posizione unitaria di tutte le organizzazioni mediche ( confederali compresi) che così commentano l’avvenuto varo dell’Atto di indirizzo per l’avvio della fase contrattuale e vera e propria e che considerano un documento peggiorativo della stessa direttiva “madre” del ministro Madia. “L’atto di indirizzo per la dirigenza rischia, però, di non essere uno strumento concreto per il tavolo contrattuale, se non riconosce le risorse annualmente rese disponibili dal personale cessato dal servizio, come fa la direttiva ‘madre’, e non procede ad una individuazione della massa salariale di riferimento comprensiva della esclusività di rapporto, coerentemente a quanto concordato nel Ccnl 2006/2009. Ma soprattutto non si capisce come possa mirare alla riduzione del diffuso e insopportabile “disagio lavorativo” della dirigenza del ruolo sanitario (carichi di lavoro eccessivi, turni di lavoro massacranti, riposi ridotti, ferie non godute, extra orario lavorativo), se non sfuggendo alla tentazione di trasformare le 38 ore settimanali in orario di lavoro minimo, attraverso deroghe strutturali alle disposizioni legislative europee e nazionali e modifiche in peius delle norme contrattuali sulle guardie mediche e sulle pronte disponibilità”.
Una condizione di grande sofferenza, dunque, che spinge le OOSS firmatarie del documento a minacciare iniziative di lotta “ Per opporsi ad un tale disegno le organizzazioni sindacali della dirigenza medica e sanitaria metteranno in campo la mobilitazione delle categorie interessate per una vertenza che accompagni la discussione della legge di bilancio e la trattativa contrattuale, che ora si spera possa iniziare, fino ed oltre una campagna elettorale di fatto già aperta”.
Una presa di posizione che in altri tempi avrebbe turbato il sonno di qualche ministro, in primis quello della sanità, e qui mi corre l’obbligo di ricordare l’impegno che mise il Ministro Bindi a reperire le risorse necessarie per la grande riforma sul rapporto di esclusività dei dirigenti medici, ma che oggi non sembra sortire alcun effetto. La sanità è ormai lontana dagli interessi dei governi succedutisi alla guida del paese e i pochi provvedimenti immediatamente esecutivi sono spesso ad personam come denuncia la Senatrice Nerina Dirindin commentando il recente Decreto Fiscale 148/2017 “L’articolo 18 dispone infatti la destinazione di 21,5 milioni del Fondo sanitario del 2017 (ovvero dei fondi per l’anno in corso) a favore di due specifiche strutture sanitarie private accreditate” (il Cnao per l’adroterapia con irradiazione di ioni carbonio e l’Ospedale Bambino Gesù per la prevalente attività di trapianti di tipo allogenico in età pediatrica). Due strutture di sicura eccellenza ma che tuttavia vengono privilegiate rispetto alle altre con una forzatura di non poco conto “La norma, spiega la Sen Dirindin, deroga inoltre al principio generale, da tempo applicato a tutti gli erogatori di prestazioni sanitarie, secondo il quale le attività sono remunerate a tariffa – o eventualmente a funzione – introducendo un finanziamento una tantum, a favore di singole strutture. Una deroga che produce trattamenti differenziati fra soggetti erogatori, a discapito della tanto evocata parità di trattamento. Il tutto in attesa della definizione delle tariffe per le prestazioni introdotte ex novo nei Lea, che dovrebbero riguardare anche (e tutte) le prestazioni di adroterapia, senza bisogno di anticipare il finanziamento di una parte di esse, per di più con modalità anomale”.
Una caduta di stile del ministro Lorenzin e quindi dello stesso Gentiloni, che è poi una conferma dell’attenzione che tutto l’esecutivo riserva per gli istituti religiosi e privati e specularmente lo scarso interesse per quelle pubbliche e, ritornando alle problematiche contrattuali, per gli operatori del settore. Di sicuro per loro il Natale non si preannuncia carico di doni a meno che l’imminente tornata elettorale non sia in grado di realizzare il miracolo di dare un nuovo contratto a chi ne è privo da oltre otto anni.
Roberto Polillo