Passione e ironia. Nostalgia e disincanto. Sono questi i sentimenti che hanno guidato la mano esperta di Giuliano Cazzola nello stilare le sue. E’ lui stesso a riportare una frase di Sergio D’Antoni:. La Chiesa, ovviamente, sarebbe il sindacato. Ma il nostro Autore, con questo e altri scritti, smentisce in pieno l’affermazione dell’ex dirigente della Cisl. Il suo è un atto d’amore, un amore mai finito, un amore che non finirà mai.
Non so se lui sarà d’accordo con queste affermazioni. <C’eravamo tanto amati>, aveva titolato un precedente libro scritto per raccontare: 28 anni passati in Cgil, chiusi in pochi mesi nel ’93. Ecco le sue parole:.
In un cassetto avrebbe poi trovato dei calzini sporchi e un pezzo di formaggio ammuffito. Storie di vita, di battaglie, di personaggi, uomini e donne, convinti di dedicare le loro esistenze al miglioramento delle condizioni delle classi lavoratrici. Dibattiti, polemiche, divisioni, battaglie. Speranze naufragate? E’ innegabile, ma nel frattempo la delusione e il dolore sono trasmutati in nostalgia e rimpianto. Il sindacato è ancora la creatura amata, anche se il furore della passione tradita, con il trascorrere del tempo, ha lasciato il posto alla ragionata consapevolezza di poter ancora essere utile alla causa. Come dimostra la stesura di queste biografie, dense di ammirazione e rispetto. Il ritratto di Giuseppe “Pippo” Morelli, etica francescana e dialogo con tutti, è commovente. Il capitolo su Di Vittorio:< Resta comunque sorprendente la serietà e l’impegno politico con cui il sindacato svolgeva allora la sua attività, nel portare avanti le proprie battaglie e nella ricerca di alleanze>. E scrivendo di Agostino Novella: <C’erano veramente una forte tempra morale ed una grande onestà intellettuale in dirigenti di quella pasta!>.
Definirei Giuliano Cazzola, nel senso che vuole sì cambiare il mondo ma basando ogni progetto su precisi dati di fatto. Quei numeri, quella sapienza in materia previdenziale, che lo hanno reso scomodo e che lancia come dardi contro demagoghi e populisti. Sulle cifre non transige, a costo di essere emarginato. E’ un errante, passato dalla Cgil al capezzale del partito socialista (non bisogna dimenticare che sono stati lui, Giorgio Benvenuto e Ottaviano Del Turco a celebrare le esequie del Psi), dalle file del centrodestra berlusconiano, con un mandato parlamentare, all’appoggio del governo Monti. E ancora incarichi di responsabilità negli enti previdenziali, insegnamento universitario e indefesso impegno pubblicistico, con la costante e coerente dedizione alle pensioni, al diritto del lavoro, al welfare state. Ha cambiato più volte campo di battaglia ma sempre sventolando la stessa bandiera.
Simpatico, ironico, gioviale, un’innata bonomia (a me è particolarmente simpatico perché ama gli animali e perché abbiamo entrambi un figlio musicista), Giuliano, ai tempi della Cgil, era un interlocutore privilegiato per noi giornalisti sindacali, in particolare Vittoria Sivo, Massimo Mascini ed il sottoscritto, i tre che lui stesso aveva definito. Intollerante ad ogni forma di ipocrita riserbo o di residuale centralismo democratico, aveva scelto di aprire porte e finestre e di rendere pubblico quello che molti altri colleghi avrebbero preferito restasse riservato. Un’assunzione di responsabilità chiara, netta, precisa. Un modo per non relegare la battaglia delle idee nelle segrete stanze del potere. A lui si deve, ad esempio, il colpo giornalistico, che fece proprio Mascini, sulla decisione di giubilare Antonio Pizzinato, allora segretario generale della Cgil.
Poi arrivò Bruno Trentin, i cui diari sono stati pubblicati di recente. Un grido di disperazione per la solitudine morale e un atto d’accusa contro le confederazioni, miscuglio di burocrazia, di opportunismo, di tormenti carrieristici. Parole sconvolgenti che forse avrebbero meritato maggiore attenzione pubblica. Invece è calata una coltre di silenzio e ha prevalso la tendenza a minimizzare la parte più aspra e drammatica di questi scritti, compresi gli impietosi e inaspettati giudizi personali su buona parte dei protagonisti delle vicende politiche, sindacali ed economiche.
L’unico a rompere il muro dell’imbarazzato silenzio è stato proprio Giuliano Cazzola, che sul sito del Diario del lavoro ha avuto il coraggio e la dignità di riportare le poco lusinghiere parole di Trentin nei suoi confronti, ribadendo stima e affetto per lo scomparso leader. Chapeau!
La speranza è che ora queste biografie servano a riaprire un serio confronto. Con due interrogativi: chi sono oggi i sindacalisti e qual è il futuro del sindacato.
Cazzola racconta di essere entrato in Fiom invece che in banca. Quanti oggi fanno questa scelta di vita e perché? Quali sono gli identikit di chi aspira a rappresentare gli interessi dei lavoratori? Utopisti, politici di serie B, carrieristi, sindacalisti per caso? Capipopolo o aspiranti manager? Quanti sono e quanto guadagnano? Un dettagliato studio su funzionari e dirigenti potrebbe aiutare a tracciare un’utile mappa di questa fetta della società. Ma si sa, la sociologia non va più di moda. Ha scritto Bruno Manghi:.E’ una definizione corretta? Si attendono risposte.
Ma se sui sindacalisti c’è nebbia, sul futuro del sindacato buio totale. Le tre confederazioni sono le uniche sopravvissute al crollo del comunismo reale e alla tempesta di Tangentopoli. Il resto, i vecchi partiti, tutto spazzato via. Mentre Achille Occhetto annunciava che il Pci sarebbe diventato Pds, Trentin rispose ad una mia domanda affermando con orgoglio che la Cgil non cambiava nome perché non aveva nulla di cui vergognarsi. Sono passati quasi trent’anni e la confederazione, viene da dire per fortuna, è ancora lì ben salda. Ma quali sono i programmi a lungo termine, quale la weltanschauung? E qual è quella di Cisl e Uil? Da una visione palingenetica si è passati alla difesa dell’esistente e al piccolo cabotaggio. Pierre Carniti invocava. E ancora:.
Luciano Lama in un libro-intervista di Massimo Riva, affermò che. E concludeva:.
E ancora così? E qual è la capacità di analisi che oggi hanno le confederazioni? Come funzionano i loro uffici studi? Un tempo all’Ires Cgil operavano personaggi come Vittorio Foa e Giuliano Amato e la Cisl era polo d’attrazione per economisti e giuslavoristi.Ricerche, progetti, provocazioni, riviste, dibattiti, convegni. La capacità di elaborazione di questi centri era un vento di pensiero che investiva e fecondava il mondo della cultura, dell’informazione, del cinema, del teatro. Ora non spira un refolo.
Durante una tavola rotonda organizzata nell’84 da Rassegna sindacale, Paolo Sylos Labini proponeva di, nell’intento di. Una sorta di, da svolgere, con l’obiettivo di capire la realtà, di, che poi servissero. Perché non si riprende a esaminare proposte di questo tipo?
E perché non si parla più con la necessaria profondità, passione e lungimiranza di unità sindacale? Era il sogno dei padri fondatori, la vitale linfa che riaffiora carsica qua e là, un vincolo, un bene da tutelare, un imprescindibile orizzonte che i grandi leader hanno sempre tenuto presente anche nei momenti di maggiore divisione. E se non ora, quando? Potrebbe aprirsi una fase di possente cambiamento e rigenerazione, un modo per ritornare centrali nella trasformazione di questo vituperato Paese, la possibilità di indicare un percorso ideale che nessun partito politico è in grado di tracciare. Altrimenti si sopravvive, tristi dinosauri appartenenti ad un’altra epoca e destinati all’estinzione.
Alle non casuali minacce del candidato premiere dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, non basta reagire gridando alla lesa maestà. Le crepe sono profonde, le fondamenta vacillano, i crolli, come fu per il muro di Berlino, arrivano all’improvviso.
L’auspicio è che il nuovo libro di Cazzola, così come i Diari di Trentin, serva a riaprire un confronto di idee, anche aspro, ma fecondo. Far finta di niente e tirare a campare equivale ad un lento suicidio. Nella biografia di Vittorio Foa, l’autore riporta una frase:. Non è anche il compito del sindacato?
Marco Cianca
Qui il link al libro di Cazzola in versione ebook