Non si sblocca la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale degli edili scaduto da oltre un anno e mezzo. Una situazione che ha portato i sindacati di categoria a scendere in piazza – con il sostegno dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil – per chiedere un rinnovo che rappresenti un passo in avanti non solo sul tema salariale, ma anche sul versante della sicurezza, la riqualifica professionale e che costituisca un punto di svolta per un settore fiaccato da dieci anni di crisi. Intervistato da il Diario del lavoro, Alessandro Genovesi, segretario generala Fillea-Cgil, ha spiegato le regioni di questo stallo.
Genovesi, quali sono le cause che frenano il rinnovo?
Alla base di questo pantano ci sono fondamentalmente tre ragioni. La prima è di ordine salariale. Stiamo parlando di un tema contrassegnato da anni di recessione e anche da una certa ritrosia da parte delle associazioni datoriali. L’altro tema è la messa in sicurezza del sistema delle casse edili, che svolgono anche un’azione di presidio della legalità, garantendo la correttezza contributiva, la lotta al dumping salariale e contrattuale. In questo modo si andrebbe a creare un meccanismo premiante per le aziende che rispettano le norme, e penalizzante per quelle border line, che nella crisi sono cresciute molto. Terzo punto, con il rinnovo del contratto si potrebbe dare il via a un’opera di rinnovamento di tutto il comparto, attraverso un nuovo inquadramento delle professionalità, riorientando il posizionamento delle imprese sul mercato. L’edilizia del futuro guaderà sempre di più alla riqualifica e alla riconversione di quanto gia costruito, senza aumentare la superficie cementificata. Per far questo occorre investire sulle competenze, introducendo nuove figure professionali, oggi non presenti. Accanto a questi motivi, lo scontro vero si gioca quale ruolo dovrebbe rivestire il contratto nazionale.
Quale dovrebbe essere per voi la funzione incarnata dal contratto nazionale?
Per noi il contratto dovrebbe essere una parte fondamentale di una politica industriale che accompagni la trasformazione dell’intero settore. In questo senso il sindacato sta volgendo un’azione di propulsione, convinto del fatto che il cambiamento del comparto passi attraverso un rinnovo che valorizzi le cose prima dette. Chi invece sta puntando a un contratto per così dire più conservativo, e chiuso in una visione del mercato dell’edilizia tipica degli ultimi vent’anni, ma che non guarda al futuro, è proprio la controparte. Questo è il nodo vero dello stallo. È chiaro che permangono ancora delle distante su come riformare le casse edili, chiediamo di rimettere mano alla graduatorie professionali e permane il tema salariale. Venendo da un rinnovo contrattuale che ha visto un aumento medio di 40 euro, dunque sostanzialmente basso, chiediamo un incremento di 80-90 euro, che va a interessare una platea di un milione e mezzo di lavoratori, che potrebbero dare così il proprio contributo alla ripresa dei consumi.
E dalla controparte quali risposte avete avuto in questi diciotto mesi?
L’Ance ha attraversato un crisi interna, a seguito delle dimissioni del presidente Gabriele Buia, e ha vissuto un periodo di campagna elettorale. Ma al di la di quelle che possono essere le problematiche interne di un’associazione, la vera mancanza è l’assenza di una proposta dalla controparte. Non intravedo una visione da parte dell’Ance per capire come vuole portare avanti le trattative, e questo si ripercuote a cascata sugli artigiani che seguono il contratti pilota dell’Ance.
Dunque nella vostra visione il contratto assume un ruolo centrale?
Assolutamente si. Accanto a rivendicazioni salariali più alte, il nuovo contratto dovrebbe far compiere un salto di qualità all’intero settore, consapevoli del fatto che l’edilizia dei prossimi vent’anni sarà completamente diversa da quella degli anni precedenti. Con il rinnovo, come detto, si possono affinare gli strumenti per contrastare le sacche di illegalità, grazie alle casse edili, premiando quelle operano secondo le norme e escludendo quelle che non lo fanno. Le casse edili possono fare molto in questo senso. Il sistema bilaterale è dunque un presidio della legalità e un mezzo per fare selezione di quelle realtà che operano bene. Con il rinnovo del contratto si andrebbe a toccare anche il tema del cambiamento delle qualifiche professionale. Dobbiamo ripensare tutte le figure professionali per rendere più competitive le imprese. Potremmo trovarci nella situazione paradossale che se dovesse partire un grande piano per il centro Italia, incentrato sui sistemi antisismici e la lotta al dissesto idro-geologico, non avremmo imprese qualificate per metterlo in atto. Dunque il contratto è si un momento di redistribuzione salariale, ma anche una spinta all’innovazione e al cambiamento e di salvaguardia delle legalità.
Accanto a questo stallo nella contrattazione di primo livello, c’è però un forte dinamismo in quella decentrata.
Ci sono stati esempi postivi di rinnovo, che hanno interessato l’area milanese o il contratto interprovinciale dell’edilizia di Padova, Treviso e Vicenza, nei quali molti punti presenti nella piattaforma nazionale sono stati accolti. Ci sono dunque esperienze locali molto positive, che poi sono state la base per realizzare la piattaforma nazionale. Tuttavia non possiamo pensare che singole iniziative locali illuminate siano la base per un rinnovo dell’intero settore, che invece deve passare da una politica industriale sorretta da una visone ampia e collettiva.
Tommaso Nutarelli