Guasto è il mondo. Nel 2010, vicino alla morte, Tony Judt, storico di rara sensibilità, scelse questo titolo per il suo libro-denuncia sugli squilibri della società, prendendo spunto da una frase, datata 1770, dello scrittore irlandese Oliver Goldsmith: guasto è il mondo, preda di mali che si susseguono, dove la ricchezza si accumula e gli uomini vanno in rovina. Judt puntava il dito contro l’opulenza privata e lo squallore pubblico, l’insostenibile leggerezza della politica, la crisi della democrazia, le devastanti contraddizioni della globalizzazione che invece di creare più pace e più libertà ha alimentato il potere di pochi e la povertà di tanti, le diseguaglianze, la disoccupazione, la paura, la corruzione delle coscienze.
Una dolente e appassionata requisitoria che avrebbe dovuto scuotere menti e cuori ed è invece restata nel chiuso dei circoli intellettuali progressisti, gli stessi che non hanno ancora capito perché Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti. I cantori di un mondo senza frontiere e i profeti delle sorti magnifiche e progressive dell’umanità dopo la caduta del comunismo, ora stanno sbattendo la faccia contro il muro di un nuovo e malevolo protezionismo. Un saggio dell’economista Dani Rodrik, riportato dalla rivista “Internazionale”, risolleva il tema della globalizzazione sbagliata sostenendo che è ancora possibile un riequilibrio democratico, se non si vuole davvero piombare in una crisi come quella degli anni trenta. A dettare legge non possono essere solo le grandi aziende e le multinazionali che agiscono alla ricerca del più alto profitto possibile minacciando i dipendenti: o accettate salari più bassi o ce ne andiamo da un’altra parte. Il capitale è mobile, il lavoro no.
Rodrik ricorda che Tony Blair, durante il congresso laburista del 2005, intonò un inno alla globalizzazione, affermando che il mondo stava cambiando, pieno di opportunità ma solo per “chi è veloce ad adattarsi e lento a lamentarsi”. Era il trionfo della Terza Via, quella che ha portato nel baratro il welfare state e, in un’eterogenesi dei fini, ha irrorato il campo dei nazionalismi e dei nuovi fascismi. Di tutto questo, nella campagna elettorale che ci sta ammorbando, non si parla. E anche gli italici esaltatori di Blair si mimetizzano, magari nel nuovo partito alla sinistra del Pd. Tony Judt esortava a ripensare la socialdemocrazia, che non rappresenta “il futuro ideale e nemmeno il passato ideale” ma che, a suo dire, “fra le opzioni che oggi abbiamo a disposizione, è meglio di qualunque altra cosa”. Parliamone.
Marco Cianca