Si è conclusa oggi, a Roma, la tre giorni di incontri triangolari relativi agli aspetti sindacali della progettata vendita del gruppo Ilva a AM InvestCo Italy, la cordata creata ad hoc da ArcelorMittal, il colosso franco-indiano dell’acciaio, e dal gruppo siderurgico italiano Marcegaglia. Incontri che si sono svolti presso la sede centrale del ministero dello Sviluppo Economico e cui hanno partecipato i rappresentanti aziendali e sindacali, oltre al viceministro Teresa Bellanova.
Diciamo subito che, a quanto appare possibile comprendere, la trattativa non ha fatto grandi passi in avanti. Le intricate vicende connesse al futuro di quello che è di gran lunga il maggior gruppo siderurgico italiano si sono, invece, arricchite di eventi reali, o di eventi mediatici, che hanno avuto luogo non nei saloni del Ministero di via Veneto, ma altrove, dalla Puglia al Lussemburgo.
Cominciamo dunque da quanto è accaduto al Mise. Qui si sono svolti vari incontri dedicati, in parte allo stabilimento di Taranto – che, oltre ad essere il maggiore del Gruppo, costituisce anche la più grande acciaieria dell’Europa occidentale -, e in parte agli altri siti Ilva, a partire da quello di Genova Cornigliano. Incontri cui, per quanto concerne i sindacati, hanno partecipato rappresentanti delle tre maggiori confederazioni – Cgil, Cisl, Uil – e dei loro sindacati dei metalmeccanici – Fim, Fiom, Uilm – sia di livello nazionale, che di livello locale, ovvero provenienti da Taranto, Genova e dagli altri siti in cui il gruppo è presente.
I rappresentanti aziendali hanno illustrato i loro piani produttivi in senso piuttosto generale, ovvero senza scendere in dettagli ravvicinati. Ciò anche perché, a loro dire, AM InvestCo Italy, pur essendo stata designata dai Commissari straordinari, nel giugno 2017, come la vincitrice della gara per l’acquisizione del gruppo Ilva in amministrazione straordinaria, non ha ancora ricevuto il via libera a tale acquisizione dalla Autorità antitrust dell’Unione Europea. Per conseguenza, non ha ancora potuto accedere alla conoscenza di tutta una serie di dati relativi al gruppo Ilva. Ne segue che i suoi dirigenti ritengono di non essere ancora in grado di formulare piani precisi per quanto concerne, ad esempio, il problema più delicato nei rapporti con i sindacati, ovvero quello dell’occupazione.
In tali frangenti, dominati ancora dall’incertezza sulle reali intenzioni dell’acquirente designato, ai sindacati non è rimasto che ribadire le proprie posizioni di principio iniziali. Per la Uilm-Uil, a detta di Antonio Talò, segretario della struttura di Taranto, “resta confermata la richiesta di ‘esuberi zero’ con l’assunzione di tutti i circa 14.000 effettivi Ilva da parte di ArcelorMittal”. Sulla stessa lunghezza d’onda Francesca Re David, segretario generale della Fiom-Cgil, secondo cui l’ipotesi di accordo che sarà definita “deve essere comprensiva delle nostre richieste, a partire dall’assunzione da parte di Arcelor Mittal di tutti i 14.200 lavoratori”.
Dai cosiddetti “focus”, ovvero dai progettati approfondimenti specifici cui sono state dedicate le tre giornate di incontri svoltesi fra il 30 gennaio e il 1° febbraio, non sono uscite insomma grandi novità. Ma di ciò può essere rimasto deluso solo chi avesse riposto eccessive speranze in questa tre giorni. In realtà, a leggere bene le dichiarazioni rilasciate dai dirigenti sindacali nei primi giorni di gennaio, era già chiaro che, in questa fase in cui si attende da Bruxelles l’agognato via libera della Commissaria UE alla Concorrenza, Margrethe Vestager, la trattativa azienda-sindacati era destinata a procedere molto lentamente. “Da febbraio sarà necessario avviare sul serio un confronto che al momento è ancora in fase preliminare”, ha detto il 10 gennaio la stessa Re David. Mentre Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl, aveva osservato, nella stessa data, che solo a fine gennaio si sarebbe potuto verificare se il febbraio del corrente anno sarà, o meno, il “mese decisivo” per la trattativa.
A fine giornata, per bocca del viceministro Bellanova, si è saputo che gli incontri triangolari riprenderanno lunedì 5 febbraio. Anche se, al momento, non è facile immaginare quali eventuali novità potranno rendere più fluido il confronto fra le parti a una distanza temporale così breve da queste tre faticose giornate.
Mentre dunque il confronto fra azienda, Governo e sindacati languiva al Mise, le notizie più consistenti sulla complessa vicenda Ilva sono arrivate a Roma da località più o meno lontane. Quelle buone, sono venute dalla città di Lussemburgo, ove ha la sua principale sede legale il gruppo Arcelor Mittal. Qui il Ceo, Lakhsmi Mittal, ha annunciato che il margine operativo lordo (Ebitda) del gruppo è aumentato, nel 2017, di oltre un terzo, raggiungendo la bella cifra di 8,41 miliardi di dollari, il massimo da sei anni a questa parte. Inoltre, il fatturato è cresciuto di un quinto, arrivando a 68,7 miliardi di dollari, mentre l’utile netto è più che raddoppiato, assestandosi sui 4,6 miliardi di dollari, ovvero, come ha scritto Sissi Bellomo sul Sole 24 Ore, “su un livello che non taccava da prima della crisi finanziaria” globale. Lo stato di salute del candidato acquirente dell’Ilva è dunque confortante. Soparttutto perchè questo stato di salute aziendale si inserisce in uno scenario in cui, come nota ancora Bellomo, i prezzi dell’accaio sono “in rialzo” e la domanda dei prodotti siderurgici è “finalmente in ripresa”. Ovvero in uno scenario in cui acquisire la proprietà del gruppo Ilva può costituire un’operazione di grande valore strategico.
Altre notizie buone sono venute dal Mise, anche se non dal tavolo della trattativa. Ci riferiamo all’annuncio del fatto che oggi, 1° febbraio, hanno finalmente preso avvio a Taranto i lavori per la copertura dei famigerati parchi minerali, ovvero di quegli estesi depositi di materie prime che sono una delle cause principali dell’inquinamento atmosferico di cui si lamenta la popolazione tarantina. I soldi per l’avvio dei lavori ce li mette, da subito, l’Amministrazione straordinaria dell’Ilva. Per evitare, tuttavia, che tali risorse finanziarie vengano considerate dalla UE come aiuti di Stato, si è convenuto che, quando l’acquisto del gruppo sarà effettuato, come si spera, da parte di AM InvestCo, l’acquirente restituirà ai Commissari straordinari, ovvero al Governo italiano, le cifre fin lì erogate.
Altre notizie, a dir poco, meno buone sono venute, infine, da Taranto. Prima che gli incontri di questi tre giorni iniziassero, ovvero il 29 gennaio, il Governo ha respinto, come già scritto sul Diario del lavoro, la proposta di accordo di programma avanzata verso la fine dell’anno scorso da Regione Puglia e Comune di Taranto. Il Governo ha invece controproposto di trasformare in accordo di programma una versione di un proprio documento, inviato in Puglia nelle settimane scorse, integrata di una parte delle richieste formulate da Regione e Comune in materia ambientale.
Ebbene, questa controproposta ha irritato il Sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, che si è spinto fino a dire che “o si dà soddisfazione piena alle istanze di Taranto, o nemmeno la chiusura definitiva dello stabilimento Ilva rappresenta più un tabù per l’Amministrazione comunale”.
A stretto giro di posta gli ha risposto Valerio D’Alò, segretario della Fim-Cisl di Taranto-Brindisi. Il quale ha dichiarato che “contrariamente a quanto afferma anche il sindaco di Taranto, noi riteniamo che l’unica soluzione possibile per Taranto la si trovi tenendo aperto lo stabilimento”. E ha poi rincarato la dose osservando che “con l’irresponsabilità del benaltrismo non si è mai risolto nessun problema”.
@Fernando_Liuzzi