La due giorni della Cgil a Milano, del 30 e 31 Gennaio, dedicata alle problematiche che i cambi di paradigmi produttivi pongono alla rappresentanza sociale, ci consegna riflessioni e campi di indagine di portata strategica. In particolare ritengo utile tenere al centro di questa riflessione per oggi e per domani il rapporto tra trasformazioni tecnologiche- cambiamento dell’impresa- democrazia. Democrazia per come si pone di fronte ad un soggetto di natura confederale, che ambisce alla trasformazione del modello produttivo in termini di maggiore giustizia e quindi in termini di rapporti sociali più avanzati. Non mera difesa dell’esistente – in quanto ingiusto – non mera difesa di interessi corporativi in quanto parziali.
Sapendo che la discussione va inquadrata dentro scenari reali: veniamo, a livello internazionale, da una crisi sviluppatasi per eccesso di produzione rispetto alle capacità di consumo, con forte specificità nazionali che qui non richiamo, ma su cui pesano debito pubblico, carenze di infrastrutture e fragilità delle nostre imprese. In questa crisi abbiamo assistito – anche nelle nostre strategie difensive – al prolungamento tacito del patto del 93/96: bassi salari in cambio di un ampliamento della base occupazionale, praticando in maniera residuale la contrattazione su investimenti e organizzazione del lavoro.
Accanto a questo, come Cgil abbiamo provato a tenere aperta una via micro economica di spesa pubblica (Piano del Lavoro) e una via politica, tutta mercato lavoristica, per continuare a coltivare una risposta generalista alla frantumazione del lavoro (Carta dei diritti).
Il tutto in un contesto politico – da Monti a Renzi per semplificare –dove l’interlocuzione politica ha scientemente lavorato a non riconoscere la funzione generale del sindacato.
Abbiamo fatto bene? Si. Abbiamo retto? In gran parte Si. Oggi puòbastare senza riarticolare, in contesti nuovi, la nostra strategia? No. Non credo.
Oggi dobbiamo ri posizionare la nostra strategia e lo dobbiamo fare cogliendo le occasioni (e non solo i problemi) che i nuovi scenari ci possono offrire. Consapevoli che le trasformazioni non sono mai lineari, equilibrate, generali. Che nuovo e vecchio conviveranno per molti anni ancora. Consapevoli che il nostro ruolo oggi è più riconosciuto di prima (Gentiloni non è stato Renzi), qualche margine sui conti pubblici lo abbiamo, la stessa incentivazione del cambio tecnologico anche se con ritardi e contraddizioni avviata con Industria 4.0 di Calenda. Un processo di selezione sul mercato non solo in un’ottica di competizione del costo è meno difficile di prima.
E veniamo ai “nodi” politici di fondo: quale programmazione, quale ruolo del pubblico, della contrattazione e dell’azione sindacale, quali alleanze nel mondo del lavoro e con altre soggettività per garantire che le trasformazioni siano occasioni di libertà e non ulteriori occasioni di divisione, impoverimento, selezione di classe?
Lo scontro in atto, in un settore come quello delle costruzioni è , da questo punto di vista, paradigmatico: la lotta al lavoro nero e alle sottodichiarazioni, la lotta al dumping contrattuale sono la precondizione per una politica di qualificazione dell’impresa e del lavoro, non l’obiettivo finale.
Ma dico di più: lo scontro in atto non è solo nella “quantità” di innovazione, di industrializzazione dei cantieri, di professionalità necessarie, da riconvertire o “costruire” per passare dal modello della costruzione al modello del recupero e della rigenerazione: il tema è la declinazione in chiave nuova di un modello democratico e partecipativo (sindacale in primis ma non solo) per governare il processo, dando una nuova missione al bilateralismo che da noi è strumento contrattuale, ma è anche e soprattutto dimensione collettiva ove il singolo lavoratore, disperso nel ciclo e nella carriera, può agire attraverso la propria organizzazione. Non ci basta avere un’edilizia ed un industria dei materiali in grado di rispondere alle nuove domande. Ci interessa un sistema in cui tali processi non siano unilaterali.
E quindi dobbiamo porci il tema di quanto i nuovi processi tecnologici e di impresa siano: Collettivi; Partecipativi; Redistributivi..
Ciò rimanda a 4 temi strategici che qui cito per titoli:
PRIMO TEMA. Come si crea un ambiente che favorisca innovazione, con un ruolo collettivo della Res Pubblica? Intesa come Ue, come Stato Nazionale, ma anche come comunità locale?
E’ il tema dello Stato Innovatore. E’ il tema di un Welfare universal su base sussidiaria che si fa carico della redistribuzione a fronte dei cambi tecnologici e produttivi.
Redistribuzione di Lavoro, se con la “quarta rivoluzione industriale”, si allontana l’orizzonte della Piena occupazione. Redistribuzione di Risorse, cioè nei periodi di non lavoro, nei periodi di formazione, vanno garantiti reddito e assistenza. Redistribuzione di Occasioni (accesso a percorsi formativi pubblici, ecc.). Ed è anche il tema di una legislazione di sostegno ad una nuova stagione di contrattazione collettiva diffusa, dando attuazione sia all’articolo 39 della Costituzione che all’art. 46.
SECONDO TEMA. Quali relazioni industriali, quale modello contrattuale, quali strumenti sindacali, perché il “patto tra produttori” metta al centro la partecipazione dei lavoratori, il loro essere portatori di conoscenze, oltre la “camicia di forza” di standard contrattuali che rendono uguale ciò che è diverso? Abbandoniamo anche noi l’illusione sovrastrutturale che le soluzioni si trovino tutte o nel mercato del lavoro (basta ridurre le tipologie) o in strategie meramente “redistributive” del lavoro che c’è.
DOBBIAMO AGGREDIRE IL COME SI PRODUCE, PIU’ DEL CHI PRODUCE. IL COSA SI PRODUCE PIU’ DEL DOVE SI PRODUCE.
Dovremmo sempre di più analizzare e contrattare azienda per azienda, sistema per sistema, territorio per territorio, sapendo che tra i tre termini azienda-sistema- territorio i flussi non per forza saranno “statici” o predefiniti per sempre.
Ricercando ancora nel nuovo equilibrio tra diritti collettivi e aspirazioni individuali quello che già Trentin, pur con mille differenze rispetto ad oggi, chiamava la categoria dei “nuovi diritti sindacali”.
E per fare tutto ciò – ecco l’errore teorico di impostazione anche di alcune posizioni di Confindustria su quale modello contrattuale – servono Ccnl più forti, più certi e più snelli.
Più snelli: perché devono garantire i diritti e doveri minimi a tutti, compresi i nuovi diritti (formazione, ecc.), lasciando spazio a sperimentazioni organizzative.
Più certi: nel senso di meno Ccnl ma con perimetri certi, contro dumping operati da Ccnl nati per rispondere a un’esigenza e divenuti poi la via contrattuale al massimo ribasso (se penso all’edilizia difficile non pensare a qualche Ccnl firmato anche da Federazioni di Cgil, Cisl e UIL che su costo del lavoro, formazione e sicurezza, fanno dumping…).
Più forti sulla parte del salario, perché la produttività è sempre più di filiera, di rete, di settore e la funzione salariale del contratto nazionale serve anche a spingere le imprese ad investire di più sul capitale (la famosa frusta salariale di Sylos Labini, oggi attualissima proprio per tutto ciò che vuol dire industria 4.0).
TERZO TEMA. Su quali alleanze dobbiamo investire? Il tema è come entrare nel cuore nevralgico della produzione di Valore senza cadere ne nel “plebeismo” ne nel non più riproponibile sindacato degli “operai specializzati”. Dovremmo allora, forse – perché ovviamente non ho ricette – provare a coltivare di più la dimensione di una tutela collettiva, certo, ma molto più attenta all’individuo, il suo essere agente di conoscenza ed esperienza che alimenta reti, il suo lavorare in squadra, il suo desiderio di crescita in azienda secondo valutazioni oggettivi di merito, l’importanza del progetto e non solo della mera quantità di lavoro. Una visione dove la professionalità torna al centro a monte e a valle del ciclo produttivo.
E questo rimanda al tema delle ALLEANZE TRA SINDACATI, e al TEMA DELL’INTERLOCUZIONE CON ALTRI SOGGETTI.
Una sfida così la si può provare solo facendone il terreno di ricerca privilegiata di un’unità di azione tra tutte le RSU a partire da CISL e UIL.
E una sfida così non può rimanere confinata nell’ambito delle relazioni industriali: porta in sé una carica di cambiamento dell’idea stessa di quale innovazione, quale rapporto tra democrazia economica e tenuta della coesione sociale, che può essere messa a disposizione di una sinistra nuova, di un fronte democratico.
QUARTO TEMA. Quale Cgil, quale ruolo di categorie e Camere del Lavoro, quale protagonismo dei delegati per accettare e reggere la sfida? E’ il tema di una nuova orizzontalità da costruire insieme alle categorie non contro. E’ il tema di come la Cdlt diventi luogo di incontro domanda offerta, garanzia di accesso alla formazione, nuove forme di mutualismo e/o bilateralità. Occorre attrezzare una leva di delegati, vecchi e nuovi, per questa sfida. La scommessa del Testo Unico va compiuta fino in fondo, la cessione di sovranità alle RSU va accompagnata attrezzandole veramente. Dobbiamo fidarci un po’ di più dei nostri delegati, chiamarli ad essere protagonisti sempre della nostra vita sindacale, non solo scoprirli come valore democratico quando serve a noi dirigenti.