La seconda Repubblica non esiste. E’ un’invenzione. Un alibi fantasmatico, un collettivo gattopardismo, parafrasando Tomasi di Lampedusa, per far finta di essere cambiati senza aver in realtà mutato nulla. Pippo Baudo e Ciriaco De Mita sono i sorridenti testimoni di un’epoca che è sempre la stessa. Il festival di Sanremo compie sessantotto anni, impera la nostalgia di Carosello, Topo Gigio vigila. La salma di Vittorio Emanuele III è stata riportata in Italia. E, per ora solo sugli schermi cinematografici, è tornato Benito Mussolini.
E allora viene il dubbio che non solo non siamo mai entrati nella Seconda ma che anche la Prima Repubblica fosse una messa in scena. Sulla scheda elettorale troveremo i simboli di partiti dichiaratamente fascisti, il razzismo è un’opinione come un’altra, il saluto romano va più di moda del pugno chiuso. La raccomandazione è uno stile di vita, la corruzione fa scandalo solo quando viene scoperta, l’interesse privato umilia quello pubblico, il senso civico non si studia nemmeno più a scuola, l’educazione è un segno di debolezza.
Nel biennio 1992-1993 sembrava che dopo la scoperta di Tangentopoli e il crollo dei partiti storici si stesse aprendo un percorso virtuoso. Ma all’ubriacatura maggioritaria è subentrata la nostalgia del proporzionale e l’esaltazione delle preferenze. Alla fine, le uniche cose che siamo davvero capaci di modificare sono le leggi elettorali. Per il resto, sempre uguali. Peggiorati, semmai. Forse c’è anche chi pensa che il folle pistolero di Macerata sia l’eroico vendicatore di una ragazza bianca. L’Italia agli italiani. Quali? Bisogna ancora farli, caro Massimo D’Azeglio. Francia o Spagna, purché se magna. E allora, viva il Festival. Niente paura, sono solo canzonette.