“È un buon accordo assolutamente innovativo, che mette al centro la persona ed i suoi bisogni , oltre che la produzione. Speriamo che faccia da apripista nella contrattazione di tutti i paesi europei, a partire dall’Italia, per la valorizzazione assoluta di una conciliazione seria tra lavoro e famiglia di cui si sente assolutamente il bisogno”. Cosi la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan commenta in una intervista oggi a “La Stampa” l’accordo sulla riduzione dell’orario a 28 ore settimanali siglato in Germania.
“Certo, parliamo di una situazione economica positiva – sottolinea Furlan -, con aziende che hanno una forte contrattazione ed una forte produttività dove l’innovazione è un tema centrale, di un paese dove l’alternanza scuola lavoro ha praticamente azzerato la disoccupazione giovanile, e dove la formazione continua per ogni lavoratore è una certezza”.
“La Germania è un paese con forti tradizioni di relazioni industriali, di partecipazione, con un sindacato che pesa; ma è anche un paese dove tutte le parti hanno atteggiamenti responsabili». Secondo la Furlan l’accordo tedesco può diventare un modello anche per le relazioni industriali in Italia. “Non c’è dubbio: in Germania c’è un riconoscimento della persona nel lavoro, dei suoi carichi familiari, delle sue situazioni di difficoltà, o della gravosità pesante del lavoro. Per noi questo è un buon esempio. Stiamo confrontandoci con Confindustria sul modello contrattuale, credo che i temi della formazione, della partecipazione, dei salari, della centralità della persona siano temi che assolutamente devono anche appassionare le nostre relazioni industriali e il nostro modello contrattuale. Ogni tanto anche in Italia si possono assumere modelli positivi e virtuosi, e questo sicuramente lo è”.
Secondo la leader della Cisl “dovremmo imitare la Germania anche su altri nodi di fondo, con un ricorso corretto all’alternanza scuola lavoro e all’apprendistato professionalizzante, che favorisce l’inserimento dallo studio al lavoro. Servono strumenti efficaci per creare politiche attive del lavoro per tutta la vita, ma anche un rapporto positivo tra scuola, formazione, territorio e aziende.”
Stesso discorso per la partecipazione dei lavoratori, “che nelle aziende medio-grandi tedesche ha permesso di far crescere la produttività anche in questi anni di crisi economica, creando condizioni di consapevolezza e di responsabilità per tutti. In Italia manca, invece, una vera cultura della partecipazione del lavoratore dell’impresa, che diventa anche investimento nell’impresa stessa.”
“I nostri fondi contrattuali investono poco – aggiunge Furlan -, non abbiamo una legge di supporto alla partecipazione, non c’è un sistema fiscale che premia la partecipazione e l’utilizzo dei fondi contrattuali dei lavoratori come investimento nell’impresa stessa. Dovremmo imitare la Germania: non è un caso che sia riuscita a uscire dalla crisi nella metà del tempo impiegato dal nostro paese”, conclude.