Questo sabato a Macerata si è svolta la manifestazione in contrapposizione alla sparatoria messa in atto da Luca Traini contro un gruppo di ragazzi immigrati. Una risposta importante che segna una presa di coscienza e un rifiuto totale ai gesti inconsulti alimentati da una campagna elettorale basata sull’odio.
Nella cittadina marchigiana di quarantamila abitanti si è svolto un corteo con poco meno di 30.000 persone. Erano presenti gli abitanti della città ma anche tanti arrivati da tutta Italia per esprimere solidarietà ai feriti, 5 in tutto, per fortuna, senza riportare ferite gravi. Resta comunque il fatto che qualcuno in questo paese ha pensato di sparare a delle persone per motivi xenofobi. Un gesto che ha un precedente. Nel 2011, Gianluca Casseri, uccide due ragazzi senegalesi a Firenze. In comune, Luca Traini e Gianluca Casseri, a distanza di 6 anni, hanno la loro appartenenza a gruppi di destra che in questi anni hanno costruito la loro presenza politica indicando negli immigrati un nemico comune e la causa di tutti i mali del nostro paese. Luca Traini era candidato con la Lega Nord di Matteo Salvini mentre Gianluca Casseri con Casapound Firenze. Due partiti che nel 2011 erano alleati ma che ora corrono separati per le elezioni politiche del prossimo 4 marzo.
In piazza, sabato, c’era la sinistra quella che sembrava scomparsa ma c’era anche tanta gente che
non apparteneva ad uno schieramento politico preciso e per questo comunque cosciente e legittimata a sostenere il fatto che il neofascismo è pericoloso. Tanta gente che non accetta di vedere nei propri quartieri e nelle proprie città sparatorie e violenze. Chi ha pensato di ridurre il corteo di sabato alla logica degli opposti schieramenti ha sbagliato. Infatti, nonostante l’invito delle segreterie nazionali di Anpi, Cgil, Libera e Arci di non partecipare accogliendo l’invito del sindaco di Macerata, Romano Carencini ad essere “cauti”, in piazza c’erano tutti, anche loro. C’erano gli iscritti. Quelle basi che non hanno voglia di sentirsi dire cosa fare di fronte ad una situazione del genere. Nei giorni immediatamente precedenti al corteo, le sezioni Anpi locali di tante città, non solo quelle marchigiane, le sezioni locali Arci e tanti sindacati di categoria hanno invitato i propri iscritti e le comunità di riferimento a scendere in piazza e a prendere la parola in segno di solidarietà con le vittime di questa sparatoria e per dare un messaggio di contrapposizione a chi semina odio e violenza in questo paese. La Fiom Cgil, inoltre, insieme alle associazioni, ai centri sociali, alle realtà autorganizzate, si è fatta promotrice con la prefettura di Macerata della richiesta del corteo che, infine, è stato autorizzato.
Ma parlare solo di Macerata sarebbe riduttivo. Sabato ci sono stati cortei in contemporanea a Milano, Piacenza e Cosenza e nei giorni precedenti a Pavia, Firenze e Roma. Allora, la domanda, sorge spontanea, chi è che non voleva il corteo di Macerata se una numerosa parte del paese è scesa in piazza?
Il ministro degli Interni, Marco Minniti che ha richiesto il ritiro della convocazione della piazza del 10 febbraio, dopo la sparatoria ha commentato “Ho fermato gli sbarchi perchè avevo previsto Traini” come se il problema della sparatoria non fosse di chi ha sparato ma di chi viene nel nostro paese. Il problema non è di chi odia ma di chi viene odiato. Sembra, infatti, la stessa retorica che spesso in parecchi sfoggiano sulle violenze nei confronti delle donne. Il problema non è chi fa violenza ma le donne che la subiscono. Provocatrici. La mentalità di questo paese, infatti, sembra essere tristemente proprio questa. Non c’è nessuno che tenti di contrastarla se non chi ha deciso di scendere in piazza a Macerata e nel resto del paese. E’ evidente, infatti, che l’elemento di contesa per ottenere consenso ai fini del voto del 4 marzo è la violenza sulle donne e gli immigrati. Ma nessuno, come richiederebbe un paese civile, ha pensato di chiedere il parere di queste componenti della nostra società. Le donne e i migranti sono gli ultimi in tutele e diritti e sono gli stessi che subiscono quotidianamente una violenza spropositata. Violenza fisica, violenza psicologica e sociale. Tutti parlano di loro e nessuno sa cosa essi pensano. Tutti sfruttano come sciacalli la loro morte, in positivo o in negativo, e nessuno pensa a dargli voce quando sono vivi.
Questo non vuole certo dire che le donne e i migranti possono essere liberi di fare quello che gli pare ma che la disuguaglianza su queste componenti sociali pesa come macigni. A Macerata c’erano anche tante donne che chiedevano a gran voce di smetterla di usare i corpi delle donne, massacrati, violentati, usurpati ai fini della campagna elettorale. Pamela e Jessica sono state donne sole che senza la possibilità di un’autonomia economica, di una casa, di un reddito, di servizi sociali e supporto sono andate dritte nelle fauci dei propri assassini. Come le tante donne che sono costrette a rimanere in casa, in famiglia, con i propri aguzzini perchè non hanno la possibilità di scegliere un’altra vita. In Italia i livelli occupazionali femminili sono inferiori alla media europea e chi lavora percepisce salari più bassi a parità di mansione rispetto agli uomini. Le migrazioni su cui si fa tanto parlare e che in modo unilaterale da destra a sinistra vengono descritte e affrontate come un problema di sicurezza sono in realtà legate ad un sistema di sfruttamento della forza lavoro senza precedenti. Nelle campagne del Sud Italia e nelle filiere della logistica si permette che gli operai vengano sottopagati e si permette che vivano in condizioni disumane. Non si contano nemmeno le morti sul nostro suolo dei lavoratori migranti.
Allora la domanda, anche qui, sorge spontanea. La condizione di insubordinazione di queste componenti sarà mica funzionale a mantenere e difendere certi interessi? La narrazione tossica di politici e stampa sarà mica funzionale a questa insubordinazione che, a sua volta, favorisce certi interessi?
Qualche giorno fa su La Repubblica, Minniti rassicurava l’imprenditore Scavolini che, nonostante la sparatoria, la lotta alle immigrazioni del governo era viva e attiva. Durante l’incontro con il Ministro degli Interni a Pesaro a due passi da Macerata, l’imprenditore italianissimo che “non delocalizza, paga tutte le tasse e non ha chiesto un’ora di cassa integrazione nemmeno negli anni della grande crisi” incalzava Minniti chiedendogli: “Allora, ministro, che facciamo con questi immigrati che stanno in giro per le strade a non fare niente? Glielo diamo un lavoro, un tetto? Cosa fanno i comuni, le regioni, il governo? Li andiamo addirittura a prendere con l’aereo, ora”.
Quali sono, quindi, gli interessi economici che spingono a questo gioco al massacro che si sta svolgendo in Italia? Allora se i partiti di sinistra non vogliono più esserlo come già hanno dimostrato da tempo non per enunciazione ma per sostanza – dalla parte dei lavoratori si diceva un tempo – c’è chi è sceso comunque in piazza e ha manifestato. A questo punto non resta, semplicemente, che scegliere da che parte stare al di là dei nomi dei partiti. Macerata l’ha fatto.
Alessia Pontoriero