E’ un racconto horror, l’ultimo saggio di Gianfranco Viesti sullo stato dell’universita’ italiana. In “La laurea negata”. Le politiche contro l’istruzione universitaria”, edito da Laterza e appena approdato in libreria, l’economista e docente universitario denuncia come l’Italia da dieci anni stia operando un forte disinvestimento sull’università, in un mondo in cui i livelli di istruzione superiore sono decisivi per il progresso economico e l’inclusione sociale. “Una vicenda che dovrebbe essere tematizzata, messa al centro del dibattito elettorale e non, invece, liquidata con facili slogan propagandistici”. Il tema, infatti, non riguarda solo gli universitari, ma ha conseguenze profonde su tutti i cittadini italiani.
I passi che sono stati compiuti, afferma Viesti, non sono stati discussi e deliberati dal Parlamento: “Per una parte molto rilevante sono stati definiti da piccoli gruppi di persone, anche in conflitto di interessi. Con un insieme di norme e provvedimenti che hanno prodotto un quadro straordinariamente complicato. Condividendo un pensiero unico che ha attraversato tutto il decennio”.
In sostanza, k’Italia ha compiuto, a partire dal 2008, una delle scelte che più peseranno sul suo futuro: quella di comprimere e dequalificare il proprio sistema universitario pubblico. Le riforme l’hanno ridimensionato, senza però puntare sulla qualità. Così nel giro di pochi anni il livello di istruzione superiore della popolazione italiana si è ulteriormente abbassato.
L’università italiana, per la prima volta nella sua storia, è diventata più piccola: di circa un quinto. Il fondo di finanziamento ordinario (FFO) delle università statali è stato ridotto, in termini reali, di oltre il 20%. Per tagliare così tanto la spesa si è ridotto il numero dei docenti attraverso un prolungato blocco del turnover, di conseguenza le porte degli atenei sono state chiuse ai giovani ricercatori. Con il magro risultato che una parte di essi si è dovuta accontentare di posizioni precarie, un’altra parte ha preso la via dell’estero.
Al taglio draconiano delle risorse pubbliche è corrisposto un vistoso aumento della tassazione studentesca, mentre la politica per il diritto allo studio (borse, alloggi, servizi) è rimasta estremamente modesta. Ciò ha acuito le difficoltà economiche delle famiglie; non poche hanno rinunciato all’istruzione universitaria per i propri figli.
I tagli non sono stati uguali per tutti: e il sistema, oltre che più piccolo è divenuto molto più differenziato al suo interno. Si sono ridotti molto di più gli insegnamenti di area umanistica. Si è creato un piccolo gruppo di università di serie A in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, mentre il grosso delle università italiane (del Nord “periferico”, del Centro e del Sud continentale) sono state lasciate a languire in una situazione di crescente carenza di risorse; per non parlare degli atenei di Sicilia e Sardegna ormai ridotti ai minimi termini. Sono state messe in atto una serie di misure che hanno favorito la migrazione degli studenti dal Mezzogiorno verso il resto del paese.
Di tutto questo, conclude Viesti, “gli italiani sono stati informati poco e male, e scarsissima è stata la reazione delle università e degli universitari a questi processi, circostanza che senza ombra di dubbio li ha favoriti”. Del tutto assente, poi, è stata la voce delle rappresentanze politico-istituzionali: “l’università è troppo complicata e non gode di buona fama. Non è materia sulla quale oggi si ottiene consenso”, conclude amaramente l’autore.
Nunzia Penelope