Secondo i numeri del World Economic Outlook dell’ottobre 2017 del Fondo Monetario, la crescita del Pil del mondo (al netto dell’inflazione) nel 2017 ha fatto registrare un +3,6% rispetto
al 2016. E’ un buon dato perchè la crescita accelera rispetto al 2016 (che fece segnare un deludente +3,1%). Nel 2017 l’area euro nel suo insieme è cresciuta più del 2%, con miglioramenti delle previsioni lungo l’anno simili a quelli italiani. Ma il sentiero è “stretto” dal muro del debito pubblico, il cui rapporto col Pil in Italia è quasi una volta e mezza quello della media dell’Eurozona.
Così ci troviamo la Commissione UE che insiste sull’urgenza di accelerare le riforme della composizione della tassazione, della giustizia, dell’impiego pubblico, delle norme sulla concorrenza, del trattamento delle sofferenze bancarie, della contrattazione collettiva e del welfare e comunque la Commissione UE ha rinviato il giudizio sulla nostra politica di bilancio alla primavera del 2018. In esso emerge una controversia molto tecnica sul metodo di calcolo del deficit programmato, che mette in luce come il vero problema non sia il controllo di breve periodo del flusso annuale di disavanzo indisciplinato e difficile da misurare – ma l’urgenza è di una più seria e credibile programmazione di lungo periodo del ridimensionamento dello stock di debito in rapporto al Pil.
L’accelerazione della crescita in generale ha un aspetto che assume grande rilevanza sociale, e cioè il calo della percentuale della forza lavoro disoccupata che nell’Eurozona, dove è molto elevata, dal settembre 2017 –sotto la spinta del più rapido ritmo di sviluppo economico – il tasso di disoccupazione é sceso sotto il 9% per la prima volta dal 2009, arrivando in ottobre all’8,8%. Di particolare evidenza la forbice tra il positivo andamento del Pil a prezzi costanti e il continuato calo del tasso di disoccupazione dal 2013 in poi. Colpisce particolarmente il calo della disoccupazione nella più grande economia dell’Eurozona, cioè la Germania, paese in cui la percentuale dei senza lavoro aveva sfiorato l’8% a metà 2009 ed è ora scesa a un 3,6% che nella Germania riunificata non si era mai visto.
Sappiamo bene che la crescita europea senza l’impegno della sua banca centrale a sostenerne l’esistenza è fondamentale e sappiamo con altrettanta lucidità che senza la creazione di maggiore unità politica, è probabile che l’istituto di Francoforte continui a esercitare il suo ruolo di supplenza nei confronti di una politica europea ancora inesorabilmente intergovernativa. La crescita comunque è minacciata dal persistere e l’ampliarsi delle disuguaglianze e mentre c’è un netto calo della disoccupazione nelle zone più importanti del mondo, e la percentuale dei senza lavoro rimane molto differenziata tra regioni all ‘interno delle grandi aree geografiche e anche all’interno di nazioni piu piccole. Particolarmente significativo il caso di quattro –grandi e meno grandi – nazioni europee dove la disoccupazione nella parte meno dinamica del paese (per intendersi, la Calabria in Italia e la Vallonia in Belgio) è tre volte più grande della disoccupazione registrata nella parte piu dinamica del paese (la Lombardia in Italia e le Fiandre in Belgio). La persistenza di differenze regionali alimenta malcontento ovunque.I potenziali effetti negativi dell’instabilità politica sul clima degli affari e sull’incentivo a investire delle imprese non possono e non devono essere sottovalutati. Anche perché le previsioni del Pil vedono nel 2018- 2019 una nuova frenata rispetto al 20177. E preoccupa la prevedibile interruzione dell’estremo sostegno monetario offerto dalla Bce: preoccupano la scarsa produttività, l’invecchiamento della popolazione, la disoccupazione ancora cosi’ alta per noi, le conseguenze dell’automazione, l’eccessiva dipendenza dalle esportazioni in paesi extraeuropei, gli eccessi di indebitamento privato e pubblico compreso il debito “implicito” pensionistico e l’effetto sulla crescita del loro necessario contenimento, compreso il trattamento dei prestiti bancari problematici, abbondanti in diversi paesi. E in Italia hanno avuto – e continuano ad avere- speciale rilievo i problemi delle banche e il loro intreccio con quelli della finanza pubblica.
I mercati internazionali hanno mostrato di associare le prospettive di stabilità politica del paese con quelle della sua stabilita finanziaria, la cui fragilità è una minaccia per l’intera Eurozona e, diciamocelo, per la crescita, la cui accelerazione è anche condizione per ridimensionare il peso del debito; ed emerge con chiarezza che le sue prospettive dipendono soprattutto dall’aumento di produttività generale ottenibile con riforme strutturali di mercati, imprese, intermediari finanziari e pubblica amministrazione.