L’addormentata coscienza dell’umanità. Incapace di provare vergogna in quanto ha perso il concetto stesso di vergogna. Siamo affetti dalla lebbra di odio, di superbia, di avidità, di vendetta, di cupidigia, di idolatria. E stiamo lasciando alle future generazioni un mondo fratturato dalle divisioni e dalle guerre, divorato dall’egoismo, dove non c’è posto per i giovani, i piccoli, i malati, gli anziani, i poveri, gli scartati, gli immigrati, gli invisibili, gli sfruttati, gli affamati, i carcerati. Solo il bene può sconfiggere il male e la cattiveria, solo il perdono può abbattere il rancore e la vendetta, solo l’abbraccio fraterno può disperdere l’ostilità e la paura dell’altro.
Il Papa accusa, sferza, ammonisce, sollecita. Esprime sgomento e dolore, invoca pentimento e misericordia, con quell’accento ispanico – argentino che imprime maggiore perentorietà alle sue affermazioni. Ma le parole di Francesco sembrano cadere nel nulla, dopo essere state respinte da un muro di sorda protervia. E’ sua la biblica vox clamantis in deserto. Il testo della drammatica preghiera pronunciata durante la Via Crucis non ha avuto alcun’eco, nemmeno sui grandi giornali, come fosse il debole sussurro di un orante qualsiasi.
L’attuale Pontefice sembra piacere più ai non credenti che ai sapienti della Chiesa. Lo accusano di non essere un teologo, di indebolire la dottrina, di predicare un pericoloso pauperismo, di screditare le gerarchie ecclesiastiche. L’umanità e la bonomia che lo contraddistinguono ricordano Don Camillo. Al personaggio creato da Guareschi e interpretato da Fernandel, Cristo parlava dalla croce con tono di affettuoso rimprovero per la generosa ma eccessiva partecipazione alla vita pubblica. Non sappiamo se Francesco goda di uguale confidenza con Gesù ma di certo in lui c’è una nota tragica che cancella l’illusione di un lieto fine come nei romanzi o al cinema. Forse teme che sugli uomini, cattivi, egoisti, avidi, codardi, ipocriti, miopi, corrotti, si abbatterà un nuovo diluvio universale. E allora continua a ripetere, instancabile, che siamo chiamati al bene comune. A prenderci cura uno dell’altro.