Il gioco della pizzeria. E’ semplice: con quale dei nostri leader politici vorremmo andare a cena? Cominciamo dal presidente della Repubblica. Gentile, colto, remissivo. Una persona per bene, alla quale potremmo affidare il portafoglio e le chiavi di casa. Un signore d’altri tempi. Ma la sua garbata mestizia non sembra adatta ad accendere la serata. Stenteremmo ad aprire bocca, nel timore di sbagliare qualche parola. Che si può dire al Capo dello Stato mentre ti guarda con quegli occhi pieni di antico stupore? E poi ci chiederebbe qualche consiglio sulla crisi di governo e noi non sapremmo che rispondergli. No, senza offesa, sarebbe imbarazzante.
Proviamo con Luigi Di Maio. Aria tranquilla, da ragazzo composto e per benino, il sorriso stampato sul volto. Potrebbe essere una conoscenza interessante, siamo curiosi di capire meglio le sue idee. Ma al momento di scegliere la pizza chiamerebbe Grillo e Casaleggio per decidere quale ordinare e questo renderebbe chiaro che a tavola non siamo in due ma in quattro. E a sorpresa potremmo essere inseriti in un referendum on line tra gli iscritti al movimento per sapere se siamo compatibili con loro. Non va bene, ci teniamo alla riservatezza e non gradiamo essere giudicati da emeriti sconosciuti.
Ripieghiamo su Matteo Salvini. Ha un cipiglio da sbruffoncello, di quelli che pensano di avere due metri di torace, ma non è antipatico. Un buon compagno di bevute, con il quale parlare di musica, di donne e di calcio. Ma ad un certo punto comincerebbe a tuonare contro il cuoco egiziano sostenendo che il posto davanti al forno spetta ad un nostro connazionale. La pizza agli italiani! E gli altri commensali in piedi a cantare “ oh mia patria, sì bella e perduta”. Il Nabucco preferiamo godercelo all’Opera.
E se invitassimo una graziosa fanciulla? Giorgia Meloni è caruccetta, simpaticuccia, elegantina. Romana verace, il che non guasta. Se non altro, abbiamo in comune la cadenza dialettale. Ha il garbo della Garbatella. Un incontro intrigante. Se però optassimo per una capricciosa ci fulminerebbe, urlando con disgusto: troppi ingredienti, è un inciucio! Un’accusa orribile, dal suono osceno. E noi che amiamo la contaminazione dei sapori, oltre a quella delle razze e delle idee, ci sentiremmo a disagio.
Tocca a Matteo Renzi. Arriverebbe a piedi, o in bicicletta, come gli ha consigliato Adriano Celentano, per far vedere che è un uomo tranquillo e modesto. Ma poi cercherebbe di convincerci che se ci possiamo permettere di mangiare fuori casa è grazie a quel che ha fatto il suo governo, agli ottanta euro, al jobs act. Ed essendo un po’ più grandi di lui avremmo, per tutto il tempo che siamo seduti a tavola, avendolo di fronte, il sospetto che ci vorrebbe rottamare. No, meglio di no, pessima sensazione.
Resta Silvio Berlusconi. Il caimano, il delinquente, il mafioso, il corruttore di ragazze e di pubblici ufficiali, il dittatore, l’inquinatore di menti e di coscienze, il ricattatore, il gran bugiardo, il vizioso, il satrapo. Lo hanno definito in tutti i modi. Il male assoluto. In questi giorni gli hanno anche dato del comunista. A 82 anni va avanti a testa alta, senza curarsi dei tanti nemici. Sempre al centro della scena. In pizzeria verrebbe con la bandana o con un inappuntabile doppio petto? Non lo sappiamo. Di certo sprizzerebbe allegria, raccontando aneddoti e barzellette, in un crescendo di battute salaci. La patonza deve girare, cribbio. Intonerebbe anche qualche composizione francese del suo vecchio repertorio, quando si guadagnava la vita intrattenendo i crocieristi. Nessuna affinità morale o politica ma divertimento assicurato. E alla fine pretenderebbe di pagare lui il conto. Mi consenta!