La due-giorni di incontri negoziali sulla vertenza Ilva si è conclusa oggi, a Roma, là dove si è svolta, ovvero al Ministero dello Sviluppo Economico. Ma, stando agli scarni comunicati emessi nel primo pomeriggio da due fonti sindacali, Fim-Cisl e Uilm-Uil, e a quello reso noto più tardi dallo stesso Ministero, l’impressione è che non siano stati fatti grandi passi in avanti.
Per comprendere esattamente di cosa stiamo parlando, sarà forse utile ricordare che quella che ha a proprio oggetto il gruppo Ilva non è una normale trattativa sindacale. Non siamo, cioè, di fronte a una trattativa aziendale del tipo che, nel gergo sindacale, viene definito come “acquisitivo”, ovvero a una trattativa volta a migliorare e arricchire, in sede aziendale, quando già previsto dal contratto nazionale di una data categoria (i metalmeccanici, in questo caso); né siamo, peraltro, davanti a una trattativa derivante da una crisi aziendale, ovvero a uno di quei negoziati in cui i sindacati puntano, innanzitutto, a salvare dei posti di lavoro.
Qui siamo in un terzo caso. E ciò deriva dal fatto che la stessa Ilva non è un’azienda “normale” poiché il gruppo Ilva è stato posto, ormai da tempo, in amministrazione straordinaria. I Commissari straordinari, nominati dal Governo nel gennaio del 2015, hanno avuto il compito preciso di trovare un compratore cui vendere il gruppo. Aperta una gara a tale scopo, nella primavera dell’anno scorso gli stessi Commissari individuarono in AM InvestCo Italy, la cordata creata ad hoc su impulso principale di ArcelorMittal, l’azienda cui “aggiudicare i complessi aziendali” del gruppo Ilva. Ed è infatti al 5 giugno dell’anno scorso che risale il comunicato con cui il Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, dava notizia di aver autorizzato i Commissari straordinari a procedere con tale aggiudicazione.
Ma qui si impone un chiarimento: aggiudicazione non è sinonimo di vendita. Espletata la procedura della gara, si aprì infatti una prima fase di trattativa, quella che vedeva, da una parte, i Commissari e, dal’altra, AM InvestCo Italy. Fase, questa, che consentì, fra l’altro, di portare l’aggiudicataria a migliorare i propri piani occupazionali. Infatti, rispetto a una prima offerta di riassumere nella nuova azienda circa 8.500 lavoratori rispetto ai 14.000 occupati nell’Ilva, AM InvestCo passò a formulare un piano che prevede la riassunzione di circa 10.000 addetti. Che sono certo più di 8.500 ma, comunque, di gran lunga troppo pochi per i sindacati. I quali insistono affinché nessuno degli attuali 14.000 dipendenti rimanga senza lavoro.
Sia come sia, questa prima fase di trattative si è conclusa con la stesura di un progetto di contratto di vendita concordato fra il Governo italiano e AM InvestCo Italy. Ed è solo dopo di ciò che ha preso avvio la seconda fase del negoziato relativo alla acquisizione dell’Ilva, ovvero la fase in cui nel negoziato sono entrati anche i sindacati. Infatti, in base alle norme vigenti nel nostro Paese, nel caso che giuridicamente viene definito come “cessione di ramo d’azienda”, l’accordo fra azienda acquirente e sindacati ha un valore vincolante laddove l’acquirente intenda modificare, in peius, il numero degli addetti e/o le condizioni normative e salariali del rapporto di lavoro.
Dal luglio dell’anno scorso, è dunque questa seconda fase della trattativa quella che si sta svolgendo all’interno delle sale del Ministero dello Sviluppo Economico. Una trattativa particolarmente complessa non solo per i suoi contenuti, il più rilevante dei quali è indubbiamente il nodo occupazionale, ma per il cangiante contesto politico, nazionale ed europeo, all’interno del quale ha preso avvio e continua tutt’ora a svolgersi.
Tornando alla due-giorni conclusasi nel primo pomeriggio di oggi, va detto che, accantonata la parte occupazionale, cioè quella dove sono state registrate, fin dall’anno scorso, le distanze più grandi fra azienda acquirente e sindacati, le parti si sono concentrate sui temi salariali.
Secondo la nota ministeriale, il confronto “ha finora consentito di individuare punti di convergenza che garantiranno ai lavoratori il riconoscimento dei trattamenti economici legati alla retribuzione fissa attualmente in essere”. Traducendo dal gergo sindacal-ministeriale, ciò significa che c’è accordo fra AM InvestCo e sindacati – Fim, Fiom, Uilm – sull’idea che la parte fissa del salario aziendale, frutto dei risultati della contrattazione di secondo livello svoltasi nel corso del tempo nel gruppo Ilva, rimanga sostanzialmente invariata anche nella nuova azienda che riassumerà i lavoratori del gruppo.
La stessa nota ministeriale afferma però anche che AM InvestCo “ha presentato una proposta sul possibile schema del futuro premio di risultato (PdR)”, nonché sui “principi chiave che lo disciplinano”. “I sindacati – prosegue la nota – non hanno però condiviso questa proposta e hanno avanzato alcune osservazioni.” Rispetto a tali osservazioni, conclude la nota, “l’Azienda si è resa disponibile a discutere e approfondire a partire dal prossimo incontro in programma giovedì 26 aprile alle ore10.00”.
In queste righe ci sono due notizie. Quella cattiva è che AM InvestCo vuole intervenire sui parametri che, attualmente, determinano la parte variabile del salario aziendale, modificandoli in termini che i sindacati respingono perché li ritengono peggiorativi. Quella buona è che è stato comunque già fissato un nuovo incontro in una data molto ravvicinata: quella del 26 aprile, ovvero la prima data utile considerato che il 25 aprile è, come noto, un giorno festivo.
Insomma, il negoziato prosegue, anche se, stando alle due note sindacali sopra citate, giovedì dovrebbe tornare sul tavolo negoziale la difficile questione dei piani occupazionali. Questione rispetto alla quale Rocco Palombella, appena rieletto alla carica di segretario generale della Uilm, ha dichiarato in serata: “Non faremo accordi che prevedano esuberi”.
@Fernando_Liuzzi