Un aumento della conflittualità, dovuta anche all’aumento della frammentazione sindacale, e la necessità di aggiornare una normativa ferma de sedici anni. Sono queste le cause che hanno spinto le organizzazioni di rappresentanza del trasporto pubblico e la Commissione di garanzia dell’attuazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali a rivedere le regole del gioco. Uno scenario che ha portato rappresentanze datoriali e alcuni tra in sindacati di categoria (Cgil, Cisl, Uil e Ugl) alla firma di un accordo lo scorso 28 febbraio e la Commissione di garanzia alla pubblicazione di una delibera per correggere alcuni punti del testo sottoscritto delle parti sociali, soprattutto sul tema della rarefazione del conflitto. Per analizzare l’evolversi della situazione abbiamo intervistato Mimmo Carrieri, Commissario delegato per il settore del trasporto pubblico all’interno della Commissione di garanzia e docente di sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma.
Carrieri, quale è stata l’evoluzione della normativa che disciplina lo sciopero nel trasporto pubblico?
La normativa che disciplina lo sciopero nel trasporto pubblico che, secondo le disposizioni della legge 146 del 1990, rientra nei servizi pubblici essenziali, aveva ricevuto la sua ultima revisione nella Regolamentazione provvisoria del 31 gennaio 2002. La Commissione di garanzia, in virtù del tempo trascorso e del mutamento delle condizioni oggettive, ha ritenuto necessario invitare le parti, sindacali e datoriali, ad un confronto ai fini di un aggiornamento delle regole vigenti.
Quali sono i motivi che hanno spinto verso una revisione degli strumenti legislativi attuali?
Ci sono ragioni di merito e ragioni di carattere più “tecnico” che hanno spinto a compiere questo passo. Le prime sono da ricercare nell’aumento della conflittualità in numerose città e nell’avere riscontrato un impatto negativo nell’erogazione del servizio dei trasporti, anche in presenza di scioperi con una bassa adesione. Le seconde derivano dal fatto che gli strumenti d’intervento in nostro possesso risultavano ormai “spuntati” per far fronte alle mutate condizioni operative. Per questo la Commissione ha chiesto alle parti di avviare la procedura per arrivare ad un accordo fondante regole nuove in funzione di una maggiore rarefazione dei conflitti. Ricordiamo che al tavolo sono presenti 15 soggetti (12 sindacati e 3 organizzazioni datoriali), tra i quali le organizzazioni firmatarie sono risultate alla fine 7 (accanto alle tre datoriali, Cgil, Cisl, Uil e Ugl sul versante sindacale). La Commissione ha poi analizzato l’accordo, apprezzando lo sforzo compiuto dalle organizzazioni sottoscrittici e, con la delibera dello scorso 23 aprile, ha valutato idoneo gran parte del testo concordato dagli attori sociali. Nello stesso tempo ha ritenuto opportuno intervenire per integrare e rivedere alcuni passaggi del testo.
Nello specifico su quali aspetti si è espressa la Commissione?
Due sono i punti dell’accordo sui quali è intervenuta la Commissione. Il primo riguarda la modalità di informazione all’utenza e il secondo la rarefazione della conflittualità, allungando a 20 giorni l’intervallo tra uno sciopero e l’altro. Proprio su questo ultimo aspetto i sindacati hanno avanzato le perplessità maggiori. Il timore, manifestato trasversalmente da tutti i soggetti, anche da quelle sigle meno inclini a un uso più reiterato del diritto di sciopero, è stato che la rarefazione del conflitto potesse ledere la stessa capacità di rivendicazione del sindacato.
E riguardo a queste perplessità come si è mossa la Commissione?
Ci siamo rivolti nella fase istruttoria ai sindacati e alle parti nel loro insieme affinché avanzassero delle proposte per portare alla luce nuovi strumenti: ma devo dire che la discussione, anche molto interessante, non ha registrato elementi di novità propositiva. I sindacati confederati hanno successivamente avanzato l’idea di un meccanismo per la “selezione” degli scioperi sulla base della rappresentatività delle sigle che promuovono lo stato di agitazione. Tuttavia una strada di questo tipo appare allo stato difficilmente percorribile. In primo luogo perché non è facile individuare un nesso meccanico tra la dimensione rappresentativa di un sindacato e l’abilitazione a proclamare conflitti. Inoltre l’assenza di una legge che disciplina proprio la rappresentatività impedisce in questo momento qualsiasi valutazione ed intervento ispirati alla traduzione di questo parametro. La Commissione non può legiferare su queste materie, ma limitarsi ad usare al meglio gli strumenti già disponibili.
In che modo dunque si è mosso l’operato della Commissione?
Il nostro compito è quello garantire il diritto di sciopero dei lavoratori, riconosciuto dalla Costituzione, ma vanno tutelati anche gli interessi di una ‘terza’ parte non presente ai tavoli di confronto, che è quella dei cittadini-utenti dei servizi. Si tratta quindi di trovare un equilibrio tra l’esercizio di due diritti, entrambi costituzionalmente riconosciuti: lo sciopero e la libera circolazione. Siamo consapevoli del fatto che il settore dei trasporti sia costellato da numerose aziende, molte delle quali in situazioni non facili. Difficoltà che si ripercuotono anche sulla stessa qualità dei diritti e delle tutele dei lavoratori. Questo, tuttavia, non deve distogliere la Commissione dal difendere e contemperare i diritti di tutte le parti in gioco.
Quali crede che saranno i risultati dopo queste modifiche?
L’auspicio è che questi nuovi strumenti permettano un bilanciamento equilibrato dei diritti di tutte le parti coinvolte e che rendano il servizio dei trasporti pubblici il più possibile virtuoso e trasparente, considerando che si tratta di un asset strategico per il paese. Credo che la migliore strada possibile – e questo è un giudizio che esprimo più da studioso di relazioni industriali che da membro della Commissione – sia quella di analizzare, nel concreto, gli effetti di disposizioni come questa e i comportamenti conseguenti messi in atto dagli attori. Si tratterà quindi nei prossimi mesi di valutare con spirito aperto e sperimentale gli impatti effettivi dell’applicazione di queste regole, e di tener conto anche delle proposte di miglioramento che dovessero arrivare dalle parti, ed in particolare dai sindacati. Non ha senso partire da assunzioni a priori, ma dovrebbe essere l’esperienza sul campo a guidarci nelle scelte e nel loro perfezionamento futuro.
Tommaso Nutarelli