È ormai guerra aperta tra la Cgil e il ministro uscente dello Sviluppo, Carlo Calenda. L’innesco e’ la trattativa sull’Ilva, cinterrotta bruscamente, e che ormai passera’ al prossimo ministro del governo Salvini-Di Maio. Ma torna in scena anche il caso Almaviva del dicembre 2016, altra trattativa fallita al Mise, di cui la Cgil accusa il ministro.
Dopo un fitto scambio fitto di tweet polemici tra Calenda ed esponenti del sindacato (in uno dei quali tra l’altro il ministro addossava al ”populismo sindacale” la colpa del fallimento) la partita si sposta sui comunicati stampa, con una raffica di dichiarazioni durissime nei confronti del ministro. Inizia la segretaria della Fiom, Francesca Re David, che con una nota oggi puntualizza: “Il Governo e l’azienda non hanno mai tenuto contro delle posizioni del sindacato. Una trattativa non si misura dal numero di incontri, soprattutto, se questi sono finti. D’altra parte, il Ministro Calenda non finisce mai di stupirci. Oggi annuncia alla stampa che entro lunedì chiuderà sull’aumento di capitale di Alcoa e sull’accordo per la cessione della ex Lucchini. Questo dimostra la considerazione che il Ministro ha per il punto di vista dei lavoratori e di chi li rappresenta”.
“La trattativa non è incontrarsi ma entrare nel merito delle questioni. In tutti questi mesi non c’è mai stato un cambio di posizioni da parte di ArcelorMittal e del Governo. La proposta che ci è stata presentata ieri nella sostanza ripropone punti e condizioni che il Governo aveva già negoziato con ArcelorMittal e che da ormai diversi incontri viene riproposto alle organizzazioni sindacali come possibile accordo. Per la Fiom, insiste la segretaria, è “inaccettabile anche l’ipotesi di una società mista per esternalizzare, tra l’altro, non si sa neanche cosa. Non accettiamo né una diminuzione dell’occupazione a fronte di un aumento della produzione, né un ridimensionamento di diritti e salari per i lavoratori, come abbiamo detto dal primo giorno”.
Ma scende in campo anche Maurizio Landini, predecessore di Re David e oggi segretario confederale della Cgil, accreditato anche come prossimo leader dopo l’uscita di Susanna Camusso a fine anno. Dice Landini: “Leggiamo un profluvio di dichiarazioni da parte del ministro Calenda sulle diverse vicende industriali che giacciono sul suo tavolo da mesi e da anni, e che non hanno ancora trovato una loro definitiva soluzione. Parliamo di Ilva, delle acciaierie di Piombino e della ex Alcoa. Partiamo da Ilva e facciamo chiarezza: servono meno tweet e più trattativa”.
“È da mesi – sostiene Landini – che il sindacato, unitariamente, ha chiesto modifiche sostanziali al piano di acquisizione di Arcelor Mittal, innanzitutto sul tema dell’occupazione, del trattamento economico dei lavoratori e sugli aspetti altrettanto importanti dell’ambiente e della salute. In realtà Calenda ha fatto finta di ascoltare. Ha invece in modo determinato difeso il contratto siglato da più mesi con la multinazionale e tenuto all’oscuro del sindacato, contratto che prevede di escludere dal futuro produttivo dell’Ilva 4000 lavoratori e di non garantire a quelli che rimarranno tutta l’attuale retribuzione per la durata del piano”. “Sul risanamento ambientale, tra le altre cose – aggiunge – abbiamo chiesto il riconoscimento del danno sanitario, non ottenendo alcuna risposta”.
Per il dirigente sindacale “buttarla in politica è il classico modo per allontanare le proprie responsabilità. Calenda deve invece spiegare perché non si è mai svolta una vera trattativa e quali sono le ragioni che hanno impedito di far conoscere al sindacato i termini reali della cessione dell’Ilva a Mittal. Alla Fiom e alla Cgil, fino all’ultimo incontro di giovedì scorso, è sempre interessato il merito delle soluzioni. Non abbiamo mai posto problemi rispetto alla legittimità di chi stava al tavolo del confronto – sottolinea – neppure dopo l’esito elettorale e nelle ore frenetiche della formazione del nuovo Governo. Giovedì ad alzarsi dal tavolo è stato Calenda. E si è alzato dopo aver ascoltato le posizioni critiche di tutte le organizzazioni sindacali sul testo che ci ha consegnato”.
“Noi – prosegue Landini – eravamo lì per trattare. Calenda invece per mettere il sindacato di fronte al ‘prendere o lasciare’. Siamo i primi a conoscere le condizioni in cui versa l’Ilva, ma queste non possono giustificare il sacrificio dell’occupazione, del salario e della salute per garantire gli interessi di una multinazionale, prima ancora degli interessi dell’Italia, della sua economia e del suo lavoro”.
Infine il segretario confederale della Cgil ricorda che “i tavoli ex Alcoa e Piombino sono aperti da anni” e che “se non fosse stato per la determinazione dei lavoratori e per la loro straordinaria tenuta, forse oggi parleremmo di fabbriche chiuse definitivamente”. “Attendiamo quindi – conclude – che si metta una parola fine su queste vicende e che i lavoratori di queste aziende ritrovino fiducia e lavoro. I tavoli di trattativa servono a questo. I tweet fanno solo perdere tempo”.
Ma non e’ finita, perché’ con l’occasione viene ripresa anche la vicenda di Almaviva, il call center romano che non aveva accettato l’accordo proposto dal Mise, e pertanto chiuso da un giorno all’altro, con migliaia di licenziamenti. Sul caso intervengono il segretario generale della Cgil di Roma e Lazio, Michele Azzola, e il collega della SLC Riccardo Saccone: “Ormai il quasi ex ministro Calenda è diventato un disco rotto -scrivono i due esponenti della Cgil romana- Ogni qual volta non riesca a propinare i suoi costosissimi lodi (costosissimi per i lavoratori, s’intende), si rifugia nell’invettiva contro il populismo sindacale e coloro che ne sono, a suo avviso, i genitori legittimi, ovvero le lavoratrici e i lavoratori della sede romana di Almaviva e le Rsu aziendali”.
I sindacalisti romani accusano gli “accordi capestro imposti da Almaviva a migliaia di lavoratrici e lavoratori con la forza del ricatto occupazionale” e che oggi costituiscono “fonte di grave dumping in un settore già molto fragile e che stanno precostituendo le basi per nuove crisi occupazionali. E che dire dell’ottimismo con il quale ha salutato il presunto ritorno di lavoro dall’estero di un importante committente di telecomunicazioni? Tutto molto bello, peccato che lo stesso fornitore che riporta in Italia volumi per circa 200 persone abbia contemporaneamente annunciato la chiusura di due sedi con conseguenti 206 licenziamenti. La matematica evidentemente è un’opinione dalle parti di via Molise. Ora davvero la misura è colma. Che razza di paese è quello in cui uomini oggettivamente potenti continuano a nascondere le proprie responsabilità politiche prendendosela con le persone licenziate, sull’orlo della disperazione e in una condizione di palese debolezza? Ora che le giornate dell’ex ministro sicuramente si faranno meno intense lo invitiamo a un pubblico confronto -concludono i due sindacalisti. Questa vicenda è talmente complessa e triste che non merita di essere trattata a colpi di tweet o magari con qualche intervista. Perchè è vero che il populismo sindacale può essere sbagliato ma maggiori sono i danni provocati dall’incompetenza, unita all’arroganza, con cui si gestiscono le vertenze”.