Le relazioni industriali stanno diventando sempre meno gestibili. I soggetti sono sempre meno rappresentativi, saltano i collegamenti tra i diversi livelli sindacali, gli accordi non sono più esigibili. Ognuno fa un po’ quello che gli pare. È l’interesse generale a non essere più perseguito. In questa situazione un po’ disastrata vale sempre più l’interesse particolare, il proprio orticello. Una situazione difficile, che accomuna i rappresentanti delle aziende come quelli dei lavoratori. Il pericolo di un danno grave, per i lavoratori, ma soprattutto per le aziende, è sempre più vicino. Forse solo una legge, che ristabilisca l’ordine potrebbe correggere queste storture. È quanto pensa Marco Mondini, responsabile delle relazioni industriali di Electrolux, il primo di una serie che Il diario del lavoro intervisterà per capire, dalle parole di chi segue tutti i giorni le relazioni industriali, se la crisi che stiamo vivendo possa essere in qualche modo superata.
Mondini, come stanno in salute le relazioni industriali?
Diciamo che stanno attraversando un periodo di incertezza e di stanchezza.
In che senso?
Si stanno accumulando troppi problemi.
Quali per esempio?
Il primo è la rappresentatività dei soggetti che le relazioni industriali fanno vivere, il loro legame con gli iscritti e, soprattutto, quello tra il centro e le strutture decentrate. Ancora, il tema dell’esigibilità degli accordi, degli impegni presi. E quindi l’uso a volte un po’ spregiudicato di strumenti come il diritto di sciopero da parte degli stessi soggetti che hanno firmato gli accordi, o da parte di “prestanome”.
Spregiudicato?
Sì, perché non c’è più certezza delle intese raggiunte, magari anche attraverso passaggi sofferti e conflittuali. Sempre più spesso si fa un accordo col sindacato a livello nazionale o di gruppo, passando anche per lo strumento del referendum, e poi o i rappresentanti locali/aziendali o sindacati autonomi protestano, boicottano le iniziative degli altri con lo sciopero.
Colpe gravi?
Sì, perché così scade la qualità degli interessi rappresentati e difesi. Una volta valeva ed era prioritario l’interesse generale, adesso questo non esiste più, prevale l’interesse particolare, il proprio orticello. Con quanto ne discende in termini di comportamenti, come l’uso/abuso di strumenti impropri per realizzare i propri interessi, vedi l’uso della malattia o della legge 104 per gestire senza rendere conto a nessuno il rapporto vita personale e lavoro. Lo dimostra, per esempio, il rapporto inversamente proporzionale tra utilizzo di ammortizzatori sociali e malattia, al diminuire dei primi aumenta la seconda. In questa dinamica l’interesse “generale” del mantenimento competitivo dell’azienda non conta più nulla.
Il sindacato non guarda più agli interessi generali?
Bisogna distinguere. Le confederazioni e le federazioni nazionali difendono e perseguono interessi generali, ma nei luoghi di lavoro non trovano seguito, i lavoratori sono attenti a problemi di ordine molto particolare, che per lo più prescindono dalle urgenze delle dinamiche del mercato delle aziende. E questa non è cosa da poco.
Stanno cedendo i rapporti all’interno del sindacato?
Non c’è più l’allineamento che esisteva una volta. I sindacati locali non seguono le direttive che ricevono dal centro, le impostazioni politiche. In questo modo si atomizzano gli interessi e sparisce il senso di collettività.
Un problema solo del sindacato?
No, anche delle imprese. Che sono molto diverse, seguire una linea unitaria è sempre più difficile. Le grandi aziende hanno interessi diversi dalle piccole e anche dalle medie. Le prime sono sindacalizzate, le seconde no. C’è chi corre, chi è immobile. Soprattutto hanno problemi diversi. Anche rispetto al Job Act, ad esempio, ci sono approcci diversi delle imprese, legati alla loro condizione contingente e alla presenza o meno del sindacato in azienda. Anche nelle crisi industriali gli atteggiamenti sono diversi, nelle grandi aziende, ad esempio, l’approccio delle maestranze è attendistico, perché si è ormai radicato il concetto che tanto non ci saranno licenziamenti collettivi e che alla fine qualcosa succederà, qualche soluzione indolore verrà individuata qualcuno dall’alto interverrà. Comunque, per tutti vale il fatto che il comportamento dei sindacati locali e dei lavoratori spesso divergono dalle indicazioni elaborate al centro e oggetto di accordi, nazionali o confederali.
Che fanno le aziende in questo caso?
Le aziende cercano di trovare la soluzione migliore e compatibile con la condizione di mercato e di competitività in cui si trovano, in linea anche col loro business model e coi rapporti coi clienti. Così abbiamo situazioni nelle quali, per salvare l’azienda, si è costretti ad accettare compromessi che sminuiscono il valore della contrattazione svolta o a livello superiore o qualche tempo prima. Ma così la credibilità del sistema va a farsi benedire, qualcuno potrebbe anche pensare che fare relazioni industriali che non tengano non sia utile. Ma questa sarebbe la fine delle relazioni industriali e della loro capacità di essere leva e strumento per gestire il difficile incontro tra interessi diversi e sostenere la competitività delle imprese.
Una situazione ingestibile.
Sì, anche perché rischia di degenerare. Può finire che si discuta non più dei grandi temi, ma delle questioni ordinarie. E che valgano alla fine solo i rapporti di forza. Per tutti sarebbe una sconfitta.
L’atomizzazione degli interessi rappresenta un danno per le imprese?
Sì perché si ragionerebbe solo sull’emergenza. E se si vive sull’emergenza il pericolo è una caduta secca della competitività delle imprese perché non si riesce più a mettere in piedi concetti e strumenti strategici di medio lungo periodo. Il sistema diverrebbe sempre più rigido, non equilibrato, una gestione spottizata non serve per il futuro del paese. Il danno sarebbe ingente.
E’ possibile porre rimedio a questa situazione?
Intervenire è difficile. Servirebbe un accordo tra le parti sociali che dia certezza alla rappresentatività dei soggetti al di là delle inutili autocertificazioni, e garantisca l’applicazione degli accordi.
Le parti sociali sono in grado di raggiungere un accordo del genere?
Non mi sembra al momento. Per questo credo che serva una legge sia per la rappresentatività che per l’esigibilità degli impegni. Una legge che preveda anche la sanzionabilità di chi non ottempera agli impegni. Altrimenti è tutto inutile e continuano a prevalere i rapporti di forza.
Massimo Mascini