Vendere benzina a una persona priva di macchina. Con questa immagine potremmo sintetizzare gli effetti che le politiche attive stanno avendo sugli ex lavoratori dello stabilimento capitolino di Almaviva. È questa la situazione che la Cgil, la Fp e la Slc di Roma e Lazio hanno denunciato nel corso della conferenza stampa che si è svolta ieri a Roma.
Il licenziamento dei 1666 addetti nel dicembre del 2016 è avvenuto, spiegano i sindacati, in un contesto nel quale c’è stato un cambiamento significativo degli ammortizzatori sociali e degli assegni di sostegno al reddito: da un sistema di protezione “passivo”, si è passati nell’alveo delle cosiddette politiche attive. Un salto che, tuttavia, non sta producendo i risultati sperati. Ad oggi infatti sono 1246 i lavoratori non occupati, molti dei quali denunciano l’inefficacia e la disorganizzazione degli strumenti sin qui adottati.
La maggior parte delle misure messe in campo sono state finanziate con il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG). Al suo interno trovano posto l’assegno di ricollocazione emanato dall’Anpal e tutta una serie di altri strumenti implementati dalla Regione Lazio, come l’incentivo all’autoimpiego, formazione e riqualificazione professionale, bonus di conciliazione e l’indennità per la mobilità territoriale. Altre invece rientrano nel Programma operativo regionale (POR) della Regione, finanziato con il Fondo europeo per lo sviluppo (FES), come il bonus di assunzione per le imprese e il servizio di orientamento specifico per i lavoratori over 60. Il tutto è quantificabile con una cifra pari a 13 milioni di euro.
All’interno di questo pacchetto, il sindacato ha individuato tutta una serie di problematiche che stanno impendendo alla maggior parte degli ex addetti di Almaviva di trovare una nuova occupazione. Per la Cgil il limite principale risiede nell’aver attuato delle misure senza tener conto della condizione del mercato del lavoro e delle strutture che avrebbero dovuto implementare tali misure. Da una parte infatti le offerte di lavoro sono poche, e il tessuto produttivo capitolino stenta a riassorbire un numero così alto di forza lavoro. Dall’altra, ci sono le difficoltà dei centri per l’impiego. Nei 21 CPI della Città Metropolitana di Roma, la Cgil ha riscontrato carenza di personale e la mancanza di modelli organizzativi inadeguati per far fronte ai cambiamenti prospettati dal decreto legislativo 150 del 2015.
In questo scenario, anche l’assegno di ricollocazione non sta portando benefici diffusi per i lavoratori. “I numeri – osserva Donatella Onofri, segretaria della Cgil regionale – ci dicono che di quei 1666 lavoratori e in modo particolare dei 1209 che hanno aderito all’assegno di ricollocazione, soltanto 282 hanno trovato un posto di lavoro, che è per il 12,8% a tempo indeterminato (36 persone), per il 76,6% a tempo determinato (216 persone), per l’8,5 % a collaborazione coordinata e continua (24 persone). A 6 persone (2,1%) sono state applicate altre forme contrattuali”.
Permangono inoltre forti criticità anche sul versante della formazione. Il sindacato denuncia un’impostazione assolutamente generalista, poco mirata e obsoleta dei corsi, che non tengono conto delle esigenze e delle professionalità richieste nel mercato del lavoro del territorio e non rilasciano certificazioni, ma solo attestati di presenza. Inoltre molti degli enti di formazione non hanno fatto partire i corsi al di sotto delle otto richieste, nonostante il bando prevedesse che ciò sarebbe potuto avvenire anche con una sola richiesta. Tutti questi elementi, per il sindacato, sono il chiaro segnale di come l’intero meccanismo sia orientato per alimentare unicamente gli enti di formazione, tralasciando del tutto i bisogni dei lavoratori.
La crisi di Almaviva ha rappresentato il primo e vero significativo banco di prova per le nuove politiche attive. Il difetto principale, per il sindacato, è stata la mancanza di una visione d’insieme. Nell’applicare queste misure non si è tenuto conto delle specificità del caso e del contesto, così come sono stati del tutto trascurati i bisogni di ogni singolo lavoratore. “Il sistema delle politiche attive non funziona – ha affermato la Onofri – se non c’è un’offerta di lavoro congrua che tenga conto delle professionalità dei lavoratori a cui queste misure vengono proposte”.
Un deficit che per Riccardo Saccone, segretario generale della Slc-Cgil, è stato il leitmotiv dell’intera vertenza Almaviva. Il comparto dei call center, ha spiegato Saccone, non è mai stato considerato un asset strategico per il paese, capace di fornire servizi per imprese e pubblica amministrazione. Una miopia che si ripercuote anche in questa fase.
A giocare contro è anche il tempo. È già passato un anno e mezzo dal licenziamento del dicembre 2016, e la Naspi coprirà i lavoratori solo per altri sei mesi, e dopo l’estate scadranno anche gli ammortizzatori sociali.
Tommaso Nutarelli