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Per mancanza di regole chiare e per l’incapacità delle parti sociali a darsi queste regole, le relazioni industriali sono in crisi. Non alla Pirelli, dove dall’inizio del ‘900 esistono norme precise di comportamento, ma un po’ in tutto il paese. Ne è prova l’altissimo numero dei contratti nazionali mappati dal Cnel. Roberto Luciano Forresu, responsabile delle risorse umane di questa importante azienda, crede che si debba spostare l’asse della contrattazione verso l’azienda, ma non è sicuro che ciò sia possibile senza una legge, che diventa così indispensabile. E pensa anche che l’introduzione di un salario minimo legale possa far del bene alle relazioni industriali.
Forresu, è crisi delle relazioni industriali?
Se le relazioni industriali in un determinato contesto economico devono riuscire a regolare le relazioni tra soggetti rappresentativi di interessi del mercato del lavoro, per la ricerca di soluzioni che puntino alla competitività e sostenibilità delle imprese e al futuro dei lavoratori, posso rispondere Si. Per mancanza di regole chiare, stabili, ed esigibili e per oggettive difficoltà ad avere rappresentanza da parte dei soggetti coinvolti.
Per responsabilità delle parti sociali?
Reputo che manchi la capacità di mettersi in discussione e quella di auto responsabilizzazione, fattori indispensabili per ricostruire il sistema negoziale del lavoro e il futuro delle imprese. Ma in questo momento la crisi della rappresentatività e della capacità di saper prendere decisioni e autoregolarsi responsabilmente è un problema che riguarda tutti gli owner delle relazioni industriali.
C’è consapevolezza di queste difficoltà?
Si certo, il tentativo ulteriore dell’accordo del 9 marzo 2018 tra Confindustria e Cgil Cisl e Uil va nella direzione di uscire da questo stallo sulla condivisione di strumenti che portino ad una nuova stagione delle relazioni industriali. Purtroppo, la crisi della rappresentanza ingenera la difficoltà di rendere esigibile quanto viene sottoscritto.
Un problema nuovo?
Dal 93, con la concertazione e la regolamentazione del secondo livello di contrattazione, si susseguono tentativi di regolare il sistema cercando di privilegiare il “pragmatismo” della contrattazione all’interno dei luoghi di lavoro, proprio dove le cose “si fanno”. Le resistenze al cambiamento e la difesa del contratto nazionale a prescindere, unico regolatore del mercato del lavoro, vanifica l’attuazione di questa impostazione senza creare le condizioni di semplificazione, flessibilità ed efficacia delle negoziazioni e capace di liberare energie per affrontare le sfide del mercato.
Con quali conseguenze?
Una conseguenza di questa incapacità di darsi delle regole condivise e adeguate alle realtà è il numero di contratti collettivi nazionali mappati dal Cnel, circa 840, di cui 450 censiti dall’Inps.
Questo cosa dimostra?
Che in assenza di regole chiare ed esigibili su rappresentanza e assetti contrattuali, ognuno reagisce al mercato, purtroppo attraverso anche il dumping contrattuale, peraltro senza rispetto dei dettami dell’art. 39 della Costituzione.
Una legge potrebbe risolvere il problema?
Non è facile regolare un mondo che cambia vorticosamente. Ritengo tuttavia che una legge sulla rappresentanza tesa a identificare chi rappresenta chi, possa essere un valido supporto per “uscire dal guado”.
Il salario minimo legale ci potrebbe aiutare?
Credo fermamente che il percorso del decentramento della contrattazione più volte avviato in termini di principi e accordi sia la strada giusta, combinato con una riduzione dei contratti nazionali attraverso l’accorpamento per macrosettori. Il contratto nazionale deve essere alleggerito e fungere da garanzia di diritti per tutti i lavoratori cedendo invece il testimone alla contrattazione di secondo livello per le soluzioni innovative delle problematiche “decentrate.” Ampio spazio invece dovranno avere gli obiettivi di competitività e sostenibilità del business, salvaguardando al tempo stesso le tematiche connesse alla quantità e alla qualità dell’occupazione. La retribuzione fissata in sede di contrattazione aziendale può e, in prospettiva deve, essere alternativa a quella fissata dal contratto nazionale.
Infine, se il sistema delle relazioni industriali non sarà pronto a innovarsi e adeguarsi ai tempi va da sé che una legge sul salario minimo costringerà tutti a trovare forme di relazioni nuove e sempre di più vicine alle esigenze di chi produce e chi lavora.
Oramai in Europa circa l’85% dei lavoratori è coperto dal salario minimo legale e quindi mi viene difficile immaginare che si potrà evitare un intervento legislativo in tal senso anche in Italia, laddove non vi sia un ripensamento dei livelli contrattuali.
È possibile sperare che questo Parlamento sia in grado di intervenire positivamente su questi problemi?
C’è bisogno di prendere decisioni importanti oramai tralasciate da tempo come norme sulla rappresentanza, la revisione delle politiche attive per il lavoro, e non da ultimo la diminuzione della pressione fiscale. Il tema della riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro deve essere una priorità per favorire il liberarsi di risorse che favoriscano gli investimenti in innovazione e competenze, in maggiore partecipazione dei lavoratori ai risultati aziendali attraverso l’incremento delle incentivazioni variabili. C’è necessità di cambiare il trend della svalutazione competitiva del salario in valorizzazione del lavoro, innalzamento delle competenze e rafforzamento delle garanzie sociali attraverso forme di welfare aziendale, favorendo quindi la contrattazione aziendale.
La Pirelli come vive questa crisi delle relazioni industriali?
Noi abbiamo una forte tradizione di contrattazione aziendale e di confronto aperto con la Rsu con l’obiettivo di favorire la partecipazione dei lavoratori ai risultati aziendali, la formazione e il continuo potenziamento delle competenze necessarie per cogliere le sfide del mercato e favorire la trasformazione digitale dell’azienda, la possibilità del giusto bilanciamento vita lavoro e il welfare aziendale. Già dal concordato del 1902 abbiamo condiviso tutto questo con il sindacato aziendale, andando anche ad anticipare con gli accordi le norme di legge. I nostri permessi aziendali hanno anticipato la legge 53 sui permessi parentali. Continuiamo a lavorare per mantenere questo approccio nella speranza che il quadro di regole delle relazioni industriali permetta di favorirlo liberando ulteriori risorse per la contrattazione aziendale.
Massimo Mascini