Il dibattito che si è aperto in vista del congresso nazionale della Cgil, in programma a gennaio del prossimo anno, è al momento tutto concentrato sulla successione di Susanna Camusso. Ufficialmente non ci sono candidati al ruolo di segretario generale della confederazione, ma i nomi, almeno tre che si sappia, girano vorticosamente. È normale che sia così, la guida di una grande organizzazione è sempre importante, tanto più in un momento in cui il leaderismo impera.
Ci piacerebbe però che così non fosse e che in queste settimane e mesi si pensasse di più alle politiche. Al ruolo che il sindacato può e deve rivestire. Perché l’elaborazione culturale è davvero molto bassa, nel sindacato e in generale nel paese. La cultura è irrisa in quanto tale, i valori cedono, gli interessi si fanno sempre più particolari. Ma proprio per questo sarebbe importante se partisse una grande stagione di discussione alta sui massimi temi politici e sociali.
Soggetti in grado di portare avanti questo dibattito non ce ne sono molti. I partiti, quando non sono defunti, sono stati sostituiti da movimenti, quando non da comitati d’affari. Le associazioni datoriali sono divise, anche al proprio interno, per lo più attente al piccolo cabotaggio, al day by day, anche se loro per prime si rendono conto che ciò non basta. La cultura c’è, ma inascoltata.
I sindacati restano sempre, comunque, verrebbe da dire a loro dispetto, soggetti politici, che in quanto tali dovrebbero, certo potrebbero, indicare le vie da seguire per uscire dalle difficoltà che stiamo vivendo, dalla povertà intellettuale che ci caratterizza in questa fase storica.
Marco Cianca, il Guardiano del faro su Il diario del lavoro, ha ricordato come in altri tempi i sindacati fossero crogiuolo di studiosi e intellettuali, che ne arricchivano il pensiero e ne stimolavano l’intelligenza. Pierre Carniti, che abbiamo dolorosamente salutato in questi giorni, fu il primo a mettersi attorno economisti, sociologi, giuslavoristi tra i più bravi, per studiare assieme le strategie da portare avanti. E fu così una grande stagione sindacale, che culminò nell’autunno caldo del 1969 e fu una vera rivoluzione culturale. Serviva molto coraggio e molta forza di volontà, che certo non difettavano a Carniti, grande sindacalista.
Tanto più adesso servirebbe seguire quella strada, perché non sono le relazioni industriali, ma tutta la sinistra a vivere ore drammatiche. La leggera ripresa che ha avuto il Pd nelle elezioni amministrative di domenica scorsa, quei fragili risultati non devono far credere che la nottata sia passata, che sia iniziata una nuova primavera. Al contrario. Ha ragione Angelo Panebianco che sul Corriere della sera ha affermato che la sinistra deve affrontare una lunga marcia nel deserto, alla fine del quale forse, e solo forse, arriveranno non le stesse formazioni che sono partite, ma altre e con altre leadership. E ci arriverà, ha aggiunto, solo chi sarà stato in grado di elaborare una strategia di lunghissimo periodo, di costruire nuovi valori, nuove parole d’ordine, in grado di scaldare i cuori.
Difficile, ma non impossibile. E il sindacato, i sindacati, proprio per quello che sono e per quello che sono stati, hanno il dovere di avviare questo ripensamento, questa elaborazione, che, appunto, deve essere per prima cosa culturale. E quale migliore occasione del congresso della Cgil, l’istituzione più grande del mondo del lavoro, punto di riferimento per sei milioni di lavoratori, un passato glorioso alle spalle, l’orgoglio di non aver cambiato nome perché di nulla si doveva vergognare. Ma, appunto, si deve partire. Altrimenti si resta fermi al palo.