Il primo traguardo della vertenza Natuzzi è stato raggiunto: scongiurare i 1.000 esuberi e rilanciare gli stabilimenti delle Murge. Il piano industriale prevede infatti la riqualifica professionale dei lavoratori e la realizzazione di nuovi impianti da parte dell’azienda. Il caso Natuzzi, che inizia nel 2003, appare emblematico delle difficoltà incontrate in questi ultimi anni da alcuni segmenti del made in Italy, a causa della concorrenza sempre più agguerrita nei mercati internazionali, ma anche per le forme di dumping contrattuale e salariale praticate da alcuni paesi dell’Unione europea. Dell’insieme di questi aspetti il Diario del lavoro ha parlato con Fabrizio Pascucci, segretario nazionale della Feneal-Uil.
Pascucci, la crisi di Natuzzi parte da lontano. Quali sono stati i punti principali della vertenza?
La vertenza che interessa gli stabilimenti di Natuzzi nelle Murge parte nel 2003, quando erano impiegati 3.174 dipendenti e 1.340 nell’indotto. Inizia poi un lungo periodo di crisi, dovuta sia alla concorrenza sui mercati internazionali sia all’insorgere della recessione economica. Questi fattori esogeni spingono i sindacati a chiedere una cassa integrazione per crisi. Si arriva, non senza difficoltà, al 2009 quando viene firmato a Matera un accordo di programma che vede, per la prima volta, la partecipazione del ministero dello Sviluppo Economico. In questo frangente si prende consapevolezza che la crisi di Natuzzi è il sintomo di un malessere che interessa anche altre aziende del mobile imbottito. Il passo successivo ci porta all’8 di gennaio del 2013, quando una sinergia tra il ministero, le Regioni Puglia e Basilicata e i Comuni interessati porta a un nuovo accordo.
Il testo del gennaio 2013 cosa prevedeva?
Nel documento era contemplata una serie di investimenti, per una cifra complessiva di 101 milioni di euro, destinati alle aziende del mobile imbottito delle Murge. Nello specifico 37 milioni riguardano Natuzzi. Come premessa all’accordo c’era l’impegno a ridurre il costo del lavoro, da 96 a 52 centesimi all’ora. In questo modo abbiamo fatto rientrare in Italia le lavorazioni che venivano svolte in Romania.
Con quali strumenti avete perseguito questo risultato?
Attraverso un accordo di solidarietà e un blocco della contrattazione di secondo livello, che hanno portato al congelamento gli scatti di anzianità e i passaggi di categoria, per comprimere il più possibile il salario, e arrivare a questi 52 centesimi. C’è stato, inoltre, un riassetto nelle modalità di produzione, passando una lavorazione ad area a una, più classica, a catena di montaggio.
Dopo l’accordo del 2013, qual è stato l’altro passaggio decisivo?
In questo arco di tempo l’azienda ha dovuto nuovamente fronteggiare un’altra crisi occupazionale. Per questo abbiamo sottoscritto un accordo che prevedeva la cassa integrazione di solidarietà, con una riduzione dell’orario di lavoro per i full time. La durata della solidarietà è stata di due anni, con la proroga per un terzo anno, che terminerà nell’ottobre 2018.
Nell’ultimo anno come si è evoluta la trattativa?
All’inizio del 2018 c’è stato un dietro front da parte dell’azienda, che aveva rinunciato a investire i 37 milioni dell’accordo del 2013, perché non c’erano più le condizioni di mercato. In più, una volta terminata la solidarietà, ci sarebbero stati 1.000 esuberi. In questi ultimi giorni ci siamo adoperati affinché l’azienda tenesse fede agli impegni presi, investendo i 37 milioni per realizzare i nuovi stabilimenti.
Siete riusciti anche a scongiurare i 1.000 esuberi.
Questo è stato un risultato molto importante. Per questi 1.000 lavoratori siamo passati dalla solidarietà alle classiche 8 ore. Inoltre per i restanti 550 è previsto un impiego nel nuovo stabilimento, che produrrà telai per i salotti.
Il piano industriale prevede anche un percorso formativo per i lavoratori?
Certamente. Il percorso inizierà a gennaio del 2019 e durerà per 24 mesi, cosicché l’azienda avrà modo di costruire ex novo gli stabilimenti. Nel frattempo stiamo definendo con Natuzzi le tempistiche con le quali avverrà la formazione e, per la fase successiva, i criteri legislativi e contrattuali con i quali lavoratori entreranno nelle nuove sedi.
C’è stata unità nel fronte sindacale nel portare avanti questa lunga e complessa trattativa?
Da parte di Cgil, Cisl e Uil si, non per la Usb.
Su quali punti c’è stata rottura?
In verità la contrarietà della Usb si è manifestata su tutti gli accordi conclusi in questa vertenza, quindi sulla logica seguita in questo percorso e non su uno specifico aspetto.
C’è stato un coinvolgimento dei lavoratori sui contenuti dell’accordo e del piano industriale?
Come Uil crediamo che sia opportuno fare un referendum per far valutare ai lavoratori i contenuti dell’accordo e del piano industriale. Su questo punto non siamo in sintonia con Cgil e Cisl, che non hanno mai avanzato tale ipotesi.
Se da questo possibile referendum dovesse uscire un esito negativo sui contenuti dell’accordo, quale altra soluzione prospettereste?
Per il momento non abbiamo un piano B, quindi in caso di parere negativo si avvierebbe la procedura di licenziamento.
Ci sono, secondo lei, delle criticità intrinseche nel settore?
Il problema è che Natuzzi opera in una fascia di mercato media, dove è presente molta concorrenza. Sappiamo che l’azienda ha stipulato una joint venture con un distributore cinese per cercare conquistare nuove fette di mercato.
Lei ha parlato anche di produzioni che dalla Romania sono rientrate in Italia, c’è dunque un problema di dumping contrattuale all’interno dell’Unione europea?
Questo è un ulteriore problema. I marchi del made in Italy non solo devono guardarsi dai competitors cinesi, ma anche dei paesi della stessa Ue, che mettono in campo un dumping serrato, soprattutto in relazione al costo del lavoro.
La vertenza Natuzzi è passata da poco nelle mani del nuovo Esecutivo. Avete notato qualche elemento di differenza rispetto al governo precedente?
Con il precedente esecutivo la presenza del viceministro Teresa Bellanova è stata costante, anche perché la Natuzzi rappresenta una realtà importante nel nostro sistema produttivo. Nell’ultimo incontro, invece, non c’era nessun rappresentante del nuovo governo, ma solo i funzionari del Mise e del Ministero del lavoro. E questo non è un bel segnale. Probabilmente non si rendono conto della complessità della vertenza, puntando su operazioni dall’appeal mediatico più forte come i rider, che sono però una piccolissima parte del mercato del lavoro.
Tommaso Nutarelli
@tomnutarelli