Quale accordo è migliore, quello di maggio, presentato dall’allora titolare del Mise Carlo Calenda, o quello sottoscritto tre mesi dopo da Fim, Fiom e Uilm, sotto l’ala del nuovo ministro Luigi Di Maio? Sul tema, subito dopo la conclusione positiva della telenovela Ilva, si accende inevitabile la polemica. Garbata, ovviamente, sfumata; ma tale è. Calenda, infatti, via Twitter, in prima battuta non manca di congratularsi con il suo successore, ma, tra le righe, diciamo, ci tiene anche a far notare che il ‘’suo’’ piano, risalente al 10 maggio scorso e bocciato dai sindacati, non abbia molto da invidiare a quello che gli stessi rappresentanti dei lavoratori hanno firmato al Mise.
“Una grande giornata per ILVA, per l’industria italiana e per Taranto – scrive Calenda su Twitter- Finalmente possono partire gli investimenti ambientali e industriali. Complimenti ad aziende e sindacati e complimenti non formali a Luigi Di Maio che ha saputo cambiare idea e finalmente imboccare la strada giusta”. Il “governo del cambiamento”, in effetti, ha cambiato parecchio idea sull’Ilva: che nel contratto Lega-M5s doveva addirittura essere chiusa, che per Grillo doveva diventare un parco divertimenti, e che per lo stesso Di Maio, fino a 48 ore prima dell’intesa, doveva assolutamente essere sottratta ad ArcelorMittal causa le modalità presunte illegittime della cessione. I “complimenti non formali” di Calenda anche tutto questo sottendono.
E’ poco dopo, rispondendo a una domanda di un follower che l’ex ministro scende nel merito dell’intesa e specifica: “Il nostro accordo prevedeva 11.500 posti (10.000 Mittal e 1500 società per Genova e Taranto) e 2000 incentivi all’esodo. Con salvaguardia di tutti i diritti, art 18 incluso, livelli salariali e garanzia finale”. E invita a verificare direttamente: “ L’accordo è ancora sul sito del Mise”. In effetti l’accordo di maggio, bocciato, e quello di settembre, firmato, sembrano abbastanza la fotocopia l’uno dell’altro. Considerando le differenze nelle cifre, addirittura la proposta Calenda sembrerebbe migliore: 10.000 assunzioni dirette da ArcelorMittal, piu’ altre 1.500 da società esterne sotto l’egida di Invitalia, per un totale di 11.500. I restanti 2,000 dipendenti (Ilva, a tutt’oggi, ne conta 13.500) avrebbero usufruito di un incentivo all’esodo da 100 mila euro cadauno, a fronte di uno stanziamento ad hoc di 200 milioni di euro.
Nell’intesa firmata dai sindacati al Mise, invece, gli assunti sono 10.700 e gli incentivi all’esodo vengono predisposti per 2.500 dipendenti, aumentando a 250 milioni lo stanziamento necessario (i cui fondi, pare, verrebbero sottratti dai 360 milioni che ArceloMittal deve pagare allo Stato per, diciamo così, l’affitto dell’Ilva). Quanto a coloro che resteranno fuori sia dal pacchetto delle 10.700 assunzioni immediate sia dall’esodo incentivato, c’è la garanzia di una assunzione futura da parte di ArcelorMittal, non necessariamente diretti ma anche in altre società del gruppo; e comunque solo a far data dall’agosto del 2023, per concludere il tutto entro il 2025. Un lasso di tempo di 5/7 anni, dunque, nel corso dei quali si presume che un gruppo abbastanza folto di persone resterà a ‘’bagnomaria’’: forse in cassa integrazione o, si immagina, dati i tempi lunghi, in uscita per la pensione.
A voler tirare le somme, la proposta Calenda prevedeva 800 assunzioni in più rispetto a quella Di Maio. Per il resto, i due piani sono pressoché identici, sia per quanto riguarda il mantenimento dell’anzianità aziendale sia sul piano del salario e dei diritti: compresa la ‘’sopravvivenza’’ dell’articolo 18 per tutti i ri-assunti, come era previsto nel piano di maggio come nell’intesa di settembre. Il mood di giornata, tuttavia, preferisce che vi siano differenze abissali; ma la differenza più profonda, probabilmente, è nell’atteggiamento dei tre sindacati nei confronti dei due ministri che si sono succeduti al Mise: pochissimo amato e supportato Calenda, e invece ringraziato coram populo dai leader dei metalmeccanici Di Maio, per ‘’il suo ruolo fondamentale’’ svolto nel raggiungere l’intesa, dopo l’improvvisa conversione da ‘’chiudo l’Ilva” a “salvo l’Ilva” in meno di 48 ore.
Calenda si guarda bene di scendere in polemica con i sindacati, ma si limita a commentare via social: “Il merito dell’accordo sindacale riguarda le parti sociali: se lo hanno ritenuto migliore di quello proposto da noi va bene così”. Quello che conta, alla fine, è il risultato: “ ILVA non chiude, la gara resta valida e l’investitore è quello che abbiamo trovato noi. Una vittoria netta per i governi del Pd e per l’Italia”. E tuttavia, poiché come si dice “signori si nasce”, l’ex ministro approfitta dell’occasione per rivolgere un ringraziamento pubblico ai suoi ex collaboratori di Via Veneto nel caso Ilva, che in questi mesi hanno continuato a lavorare caparbiamente al dossier, e al commissario Laghi: “Sento il dovere di ringraziare Simonetta Moleti, Enrico Laghi e Giampiero Castano. Senza di loro l’ILVA avrebbe già chiuso i battenti da molto tempo. Bravissimi”.
Nunzia Penelope