Eravamo rimasti alle parole del ministro Giovanni Tria (‘’ho giurato di fare l’interesse della nazione”) ma il giorno dopo, varato il Def , tocca constatare che l’interesse della nazione e’, evidentemente, trattabile. Il consiglio dei ministri ha infatti approvato, all’unanimita, uno aumento del deficit al 2,4%, circa tre volte quanto sarebbe stato nella norma e poco meno del doppio di quanto già contrattato con l’Ue. Salvini e Di Maio hanno portato a casa (sembra dopo un lungo braccio di ferro con il ministro Tria, ma tant’e’) tutto quanto avevano nella lista della spesa: abolizione della Fornero, reddito di cittadinanza, una simil flat tax, condono fiscale, etc. Un successo, per il governo, che è stato celebrato già nella notte,di giovedì, tra la piazza festante e imbandierata e il balcone di Palazzo Chigi affollato di ministri penta leghisti, illuminati dal basso da una luce sinistra che li rendeva, per la verità, assai poco rassicuranti.
La manovra del popolo (come l’ha battezzata il sempre più peronista Di Maio), quella che abolisce la povertà (come da depliant grillino rapidamente diffuso), e’ però bene sapere che sarà innanzi tutto il popolo stesso a pagarla, e per un insieme di ragioni. Per la difficile tenuta dei conti pubblici, per il debito già esorbitante di cui soffriamo, per il probabile attacco della speculazione, per l’inevitabile rotta di collisione con l’Europa, per l’altrettanto inevitabile taglio alle spese cui toccherà ricorrere per coprire le misure previste dalla prossima manovra.
Le prime conseguenze si sono viste immediatamente: lo spread, venerdì mattina, ha superato quota 280, la Borsa di Milano e’ affondata, i rendimenti dei Btp si sono impennati (e pazienza se un viceministro grillino pensa che questa sia una buona notizia; col tempo, magari, capirà anche lui che no, non lo è per niente). Del resto, nemmeno Luigi Di Maio ritiene ci siano motivi di preoccupazione: quel che conta è che le promesse di campagna elettorale sono state portate a compimento, e se l’Europa ci boccia la manovra non importa, ‘’andremo avanti ugualmente’’. Matteo Salvini, sprezzante, a sua volta alza le spalle e dice: “i mercati se ne faranno una ragione”.
Quanto ai quattro miliardi di spesa supplementare che comporta un aumento di ogni punto dei tassi d’interesse sui nostri titoli pubblici, dov’e’ il problema? andranno a incrementare il debito: che tanto, miliardo più miliardo meno. E il ministro Tria? Il ministro Tria tace, si dice sia rimasto al suo posto solo dietro pressante richiesta del presidente Mattarella, preoccupato da quello che potrebbe accadere a un’Italia senza più ministro dell’Economia in un momento così difficile. Resta, ovviamente, una domanda sospesa: e cioè quale affidabilità possa avere, per i mercati e i partner internazionali, un ministro che non e’ stato in grado di imporre non tanto la sua volontà, quanto un minimo di ragionevolezza ai gialloverdi.
Fin qui la contingenza. Ma le conseguenze di questa manovra si dilateranno nel tempo, ben oltre i tre anni (ammesso che ci si arrivi) di super – deficit previsti dal Def. Al di là dei costi, sono i contenuti stessi a dare l’idea di un paese che ha perso ogni coscienza di sé. Nella manovra si parla, infatti, di rispedire in pensione le persone a 62 anni, quando l’aspettativa di vita viaggia velocissimamente verso i 90 anni, e senza pensare nemmeno per un istante che quegli anni di pensione in più che 400 mila persone da domani avranno grazie ai penta leghisti, li pagheranno i loro figli, ovviamente disoccupati, e i loro nipoti, ammesso che la denatalità, aggravata dalla mancanza cronica di lavoro, veda ancora nascere nei prossimi anni qualche bambino.
E ancora: si parla di dare un reddito di cittadinanza a oltre sei milioni di persone, ma non c’e nulla, nella manovra, che dica, invece, come garantire ai giovani uno straccio di lavoro: facendo quindi passare il principio che sarà un sussidio di stato, e non una buona occupazione, lo strumento per vivere una esistenza dignitosa. Inutile aggiungere che non c’e’ una sola parola che ricordi, nemmeno da lontano, cose come scuola, istruzione, formazione, cultura: per carità, roba da radical chic. E non c’e’ nulla, naturalmente, su investimenti, infrastrutture: per carità, roba da vecchio capitalismo.
Quanto all’ opposizione, che dire. Il Pd, con voce flebile, ricorda che questa manovra scarica 100 miliardi di debito sulle nuove generazioni. I sindacati, altrettanto timidamente, fanno notare che mancano, appunto, investimenti e sviluppo. Timida anche la Confindustria, che dopo aver indicato per prima i pericoli del contratto di governo, e dopo aver ribadito giusto ieri, per bocca del presidente Boccia, l’augurio che questo governo ‘’non faccia danni’’, oggi, tutto sommato, sembra restare più che altro in finestra. La verità è che tutti hanno qualcosa che si potrebbe definire coda di paglia. Il Pd, perché sa bene che anche Renzi aveva dichiarato di voler sforare il deficit, addirittura al 2,9; i sindacati perché la battaglia sulle pensioni se la sono intestata (abbastanza ciecamente) da anni; la Confidustria perché certo non può sputare sullo sgravio fiscale che, in base alla manovra, spetterà alle imprese.
In sintesi, però, sembra piuttosto che tutti stiano, al momento, sospesi: come se nessuno creda realmente che questa manovra possa vedere la luce nei termini indicati ieri, sommariamente, dal Def. Non sarebbe la prima volta, anzi, sarebbe perfettamente nella cifra stilistica di questo governo: che tra il roboante dire e il concreto fare, si scopra poi all’improvviso che ci sta di mezzo il mare. E oggi possiamo solo dire ‘’speriamo, speriamo’’.
Nunzia Penelope