Marianna Rizzini, in un articolo sul Foglio di sabato scorso (Lessico famigliare) ha passata in rassegna i pretendenti alla segreteria del Pd, in vista di un Congresso destinato ad indurre grandi cambiamenti, al punto che la stessa data della convocazione rimane top secret. Chi scrive è rimasto tragicamente sbalordito. Cominciamo da Nicola Zingaretti, il primo a scendere in lizza. Per raccogliere le sue parole d’ordine il governatore del Lazio ha saccheggiato un negozio di vintage. Ha voluto chiamare ‘’Piazza grande’’ l’area che lo ha assunto come riferimento. È lo stesso titolo di una celebre canzone di Lucio Dalla, scritta nel 1979. Il testo non evoca battaglie vittoriose, ma una vita di sconfitte, accettate come tali dal protagonista:
‘’Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è/ Sulle panchine in Piazza Grande/
Ma quando ho fame di mercanti come me qui non ce n’è’’.
Anche Pier Luigi Bersani affrontò le elezioni del 2013 brandendo una canzone di Vasco Rossi (Voglio trovare un senso a questa storia) dimenticando che il verso successivo conteneva un presagio funesto (Anche se questa storia un senso non ce l’ha). E non gli portò fortuna. Ma il vicecommissario Montalbano non si accontenta. E si lancia in un maestoso ‘’il domani appartiene a chi ha il coraggio di inventarlo’’.
Molto bello. Peccato che ricordi una canzone, di tono messianico, di David Bowie dei primi anni ’80 (‘’Il futuro appartiene a chi lo sente arrivare’’). Poteva mancare poi il vecchio proverbio, ripetuto miliardi di volte, che noi prendiamo il mondo in prestito dai nostri figli e non lo ereditiamo dai nostri padri? È senza dubbio più innovativo Matteo Richetti che ha chiamato Harambee il gruppo dei suoi sostenitori. A chi gli chiede il significato di quella parola risponde che è l’invito rivolto ai passeggeri dagli autisti dei bus kenyoti, per spingere ‘’tutti insieme’’ la vettura fuori dal fango in cui è rimasta intrappolata. Era proprio necessario arrivare fino in Kenya? Non era sufficiente lo slogan tradotto in italiano? Immaginiamo poi che vi siano tanti posti al mondo dove gli autisti esortano i passeggeri a spingere il bus. Pensate a come sarebbe stato appropriato, nel 70° anniversario del fumetto di Tex Willer, un bel ‘’Vamos’’. Oppure un bel ‘’tous énsemble’’; ovviamente senza scomodare Macron, ma riferendolo ad un autista senegalese.
Intanto a Roma è stata fondata da Cesare Damiano la corrente dei ‘’Laburisti dem’’. A prova che è in corso un processo di rivalutazione di Jeremy Corbyn (perché Richetti, allora, non ha pensato ad un ‘’all togheter’’ che, peraltro sarebbe andato bene anche in un Paese già colonia inglese come il Kenya?). Nessuno, intanto, sembra preoccuparsi del programma economico del Partito laburista che prevede la ri-nazionalizzazione di molti servizi pubblici, un drastico incremento delle tasse sui profitti delle imprese e un sostanziale spostamento della spesa statale, il cui peso andrebbe a favore dei sussidi statali e degli aumenti salariali per i dipendenti pubblici a detrimento dagli investimenti. Poi Londra non resterebbe più la capitale della finanza internazionale, che verrebbe bandita dalla City come lo sterco del demonio. Per questi motivi noi preferiamo stare con Tony Blair quando afferma che il Labour di Corbyn non è più il suo.
Giuliano Cazzola