Stranamente non sono d’accordo questa volta con Gaetano Sateriale sui giudizi che dà sul percorso che ha portato all’indicazione da parte di Susanna Camusso di Maurizio Landini quale proposta per il ruolo di segretario generale, né – soprattutto – sui timori di “fiommizzazione” della Cgil per le ragioni che cercherò di spiegare tra poco, ma su una cosa sono proprio d’accordo con Sateriale, ed è la rappresentazione sbagliata della Cgil e del suo dibattito interno per come la raccontano i giornali, a partire da un’improbabile e farsesca divisione tra movimentisti con simpatie criptogrilline, raffigurati nel volto di Maurizio Landini, e composti cultori della concertazione, nel volto di Vincenzo Colla.
Il guaio è che raccontare il sindacato è appannaggio di persone che vivono di stereotipi, per cui la Cgil sarebbe inesorabilmente popolata esclusivamente da pensionati o operai in via di estinzione, e quindi irreparabilmente votata alla conservazione e quindi all’irrilevanza.
E invece… se i suddetti “esperti” si dessero la briga di guardare ad una cosa banale e raggiungibile da tutti, i dati del tesseramento 2017,scoprirebbero tre cose: la prima, che la categoria più numerosa è la FILCAMS, e, secondo, quella con crescita più rilevante è NIdiL. Cioè le due categorie che, in modi diversi, incontrano e rappresentano il mondo del lavoro precario, che per definizione, a dire dei suddetti esperti, è irraggiungibile dalla Cgil e dal sindacato confederale in generale. E a terza, che la crescita organizzativa della Cgil nel 2017 è quasi interamente dovuta alla crescita di quelle due categorie: cioè che la rappresentanza del lavoro precario permette ad un’organizzazione “novecentesca” di non calare…. E insomma quei dati segnalano che rappresentare, certo con tanti limiti, il lavoro oggi è possibile, e anzi è il solo modo per evitare un avvitamento corporativo del sindacato.
Vista da questo punto di vista, e cioè da come la vivono quei lavoratori “nuovi” che con fatica ma con qualche successo tentiamo di rappresentare, la discussione interna alla Cgil per come appare sui giornali, ma anche sui social media è a dir poco surreale.
Mai come in questo congresso si è registrata convergenza nell’intero gruppo dirigente sul documento “Il lavoro è “, la cui redazione fu peraltro preceduta da una discussione capillare nelle assemblee generali, cosicché era possibile a tutti integrare, correggere e perfino respingere il progetto: nulla di ciò avvenne. Di più: quel documento raccoglie quattro anni di sostanziale unanimità del gruppo dirigente registrata sulle grandi scelte compiute- Piano del lavoro e Carta dei diritti, raccolta di firme per i referendum, accordo sulle politiche contrattuali e la rappresentanza siglati con quasi tutte le controparti per finire con Confindustria.
Ancora: il segretario generale ha avuto il mandato dal CD di svolgere l’ascolto delle strutture al fine di avanzare una proposta per l’incarico che fosse il più condivisa possibile, e comunque il frutto di un ascolto allargato al più ampio numero di strutture. Certo, qualcosa di assai diverso dai metodi fin qui usati, ma certamente più democratico e quindi più trasparente.
Ci si può ovviamente dispiacere dell’esito dell’ascolto e quindi non apprezzare la proposta, ma non si possono avanzare dubbi sulla correttezza del metodo seguito, altrimenti ci si comporta come i bambini che si riprendono il pallone se la propria squadra perde.
Di più: proprio perché non siamo più un’organizzazione per componenti di partito, e il consenso sul documento è così vasto, sarebbe utile, qui sì riscoprendo l’insegnamento di Trentin, scavare su cosa sia oggi il pluralismo, come lo si vive, lo si pratica, lo si riconosce. Ad una condizione: che tutto sia finalizzato al bene della Cgil, i cui iscritti sono tanto diversi dai ricordi di troppi dirigenti. E che quindi, anziché paventare improbabili “fiommizzazioni”, si riscopra il valore del lavoro collettivo, del pluralismo come stimolo per ciascuno di contribuire, dal suo punto di vista, alla riuscita del disegno sociale e politico tracciato dal documento congressuale. Si chiama supremazia del collettivo sulle ambizioni del/dei singoli, ed è l’insegnamento più profondo che ho avuto in oltre 41 anni di militanza nella Cgil.