La CGIL è una delle più grandi, se non la più grande potenza sociale del Paese.
Oltre cinque milioni d’iscritti, migliaia di quadri a tempo pieno, una rete straordinaria di presenze e addentellati in tutti i “mondi sociali”, delegati e militanti, sostanzialmente, in tutti i posti di lavoro.
Con le sue sedi in ogni angolo d’Italia la Cgil fa parte, anche fisicamente, del paesaggio italiano.
Si può dire che metà degli italiani, ogni anno entrano in contatto, per una ragione o per l’altra, in tanti territori, con le strutture dirette ed indirette della Cgil.
Un grande potentato sociale alimenta e si alimenta di molteplici attività. Nate e cresciute nei vari momenti della sua storia.
All’osso, l’azione generale di una grande potenza sociale – come è un grande sindacato – può essere scomposta in partes tres, in tre forme di attività, variamente combinate: una azione politico/culturale, una azione contrattuale, una azione propriamente sociale.
Oggi, per dirla all’antica, la Cgil rappresenta l’ossatura portante del Quarto Stato.
Il modo stesso di disporre l’organizzazione, di strutturare tale potenza sociale, acquista una rilevanza oggettivamente politica, proprio perché – e non potrebbe essere altrimenti – guidata da una visione politico/strategica. Anche quando sembra puramente empirica.
Il congresso della CGIL ha quindi una importanza particolare, a partire se non altro, da questa ragione sostanziale.
Accanto a questa ragione per cosi dire oggettiva, la rilevanza politica del Congresso della Cgil emerge oggi almeno per altre due ragioni.
La prima, per la qualità della riflessione e della proposta, all’interno della più grande rivoluzione tecnologica – la rivoluzione informatica – e all’interno della più grande crisi del Capitalismo, specificamente occidentale, e delle sue ricadute nella vita concreta dei lavoratori e del Paese
La seconda, per la modalità con cui si svolge: il Congresso non si riduce ad un votificio o ad una parata di personaggi, a differenza da come si è ridotta la vita interna di quasi tutti i partiti politici, vita all’insegna di una personalizzazione senza limiti a sua volta determinata, se non dominata, dai media.
Il Congresso della Cgil va quindi visto come una sonda in profondità su quello che bolle nel profondo della condizione del lavoro e sociale del paese e, allo stesso tempo, come un confronto ravvicinato sulla qualità delle proposte strategiche, cioè sul come affrontare la doppia dimensione, da una parte della rivoluzione tecnologica cioè di un fenomeno epocale, e quella, dall’altra, più contingente della crisi, originata nel 2008 dalla esplosione della Lehman Brothers.
Le sparse osservazioni che seguono, dalla mia attuale condizione di “ufficiale della riserva”, vogliono essere un contributo non disinteressato all’approfondimento dei temi proposti.
La rivoluzione informatica, alimenta una colossale metamorfosi nella produzione e nella distribuzione, nel lavoro e nel consumo, riplasma continuamente ogni aspetto della vita, la stessa intelligenza umana.
Non era avvenuto cosi con la rivoluzione fordista, se non in forma enormemente più limitata.
La rivoluzione informatica, i cui caratteri possiamo sintetizzarli in una crescita esponenziale della potenza di calcolo e in una inedita e generale pervasività, produce e produrrà sempre più due effetti micidiali per ogni organizzazione: da una parte una crescente disintermediazione, riproblematizzando e riclassificando tutte le sue funzioni, dall’altra una metamorfosi della struttura sociale, lo sviluppo inedito di una underclass, di una moltitudine, dai confini incerti, mobili, soprattutto precari.
Disintermediazione e moltitudine configurano una gigantesca tenaglia strategica, all’interno della quale ogni forma organizzata può progressivamente essere svuotata e consegnata alla sorte dei dinosauri.
Come si organizza nella e la moltitudine? La domanda sta bussando alla porta di ogni forma organizzata, particolarmente alla porta delle organizzazioni più strutturate come la cgil, dalla struttura pesante e complessa.
Come nuotare nel nuovo mare diventa la domanda che non è più possibile aggirare né rinviare nel tempo.
L’altro grande tema riguarda la Crisi, la natura delle le sue cause, i suoi prevedibili sviluppi, il ruolo determinante del processo che gli analisti chiamano finanziarizzazione dell’economia, cioè il dominio della finanza sulla economia reale.
L. Summers, grande conoscitore e gestore di tale processo, parla di un futuro post-Lehman contrassegnato da una stagnazione secolare.
È bene perciò analizzare il processo di finanziarizzazione, soggetti e meccanismi.
La Cgil e la finanziarizzazione.
Il dominio della finanza ha avuto una lunga fase preparatoria, per arrivare a configurarsi oggi come una fortezza quasi inespugnabile, capace di uscire intatta persino alla crisi del 2008 da essa stessa provocata.
L’attuale fase è il prodotto di una strategia politica di lunga durata, il cui cuore sta nella piena libertà di movimento dei capitali. Possono essere ricordate come date simbolo di questo percorso il Financial Services Act del 1986 del governo Thatcher, la cancellazione, nel 1999, Presidente Clinton, del Glass-Steagall Act, la più importante “riforma di struttura” della presidenza Roosevelt: la separazione tra banche di investimento e banche commerciali.
In Italia il Nuovo Testo unico dell’attività bancaria, che accantona la legge bancaria del 1936, viene introdotto nel 1993.
La finanziarizzazione consiste inoltre, nel suo nucleo centrale, nella privatizzazione della proprietà delle banche e nella trasformazione dell’attività bancaria in attività finanziaria (da cui, il ritorno della banca universale come avveniva prima della crisi del 1929,lo sviluppo delle banche-ombra, delle banche troppo grandi per fallire ecc).
La banca funziona cosi come una qualsiasi attività privata, la retribuzione del banchiere – attraverso le stocks options – viene legata al livello di profitto conseguito. La compravendita delle azioni della stessa banca da parte del management diventa una delle attivita’più redditizie per provocare artificialmente il valore delle azioni e quindi il valore conseguente delle stocks options.
Tale processo ha riconfigurato interessi e blocchi sociali in tutte le comunità dell’Occidente; sta qui sicuramente anche una delle ragioni che rende quasi inespugnabile la fortezza dellafinanziarizzazione
Il capolavoro però di tale strategia sta sicuramente nel fatto che – a difesa della fortezza – ha potuto inglobare parti decisive del mondo del lavoro, quella parte del mondo del lavoro, quella aristocrazia operaia che, con la creazione dei fondi/pensione, cioè con la trasformazione del risparmio previdenziale in risparmio finanziario, ha potuto beneficiare del buon andamento delle stesse rendite finanziarie.
Nel 1981viene data la creazione del primo schema pensionistico a contribuzione definita(401K), che a differenza dei precedenti schemi a prestazione definita, fa dipendere la rendita pensionistica dai rendimenti dei titoli in cui i risparmi vengono investiti.
Nel Cile del dopo Allende avverrà la sperimentazione su larga scala.
La stessa prerogativa di battere moneta, prerogativa fondamentale dello Stato, sfugge sempre più alla mano pubblica,creando vortici finanziari fuori controllo.
Il processo di finanziarizzazione e le reazioni a catena che innesca sull’insieme del modello di sviluppo, va assunto come la questione di fondo verso la quale definire l’asse della linea politica della Cgil, il perno su cui costruire l’ ordine del suo discorso strategico di lungo periodo: discorso al cui interno ricollocare il tema del nuovo modello di sviluppo, di lavoro e di occupazione, del ritorno del Pubblico, dello Stato Innovatore -alla Mazzucato per intenderci – (oggi dello Stato Europeo), della politica democratica e, in definitiva, del Partito Politico, senza il quale la lotta sindacale, specie nei contesti di crisi, non può che ridursi a lotta di resistenza e quindi, per definizione, condannata alla sconfitta.
Alla luce di tale impostazione, la linea dell’attuale Governo – debito attraverso il debito – sembra l’incrocio perfetto dello scavar buche e riempirle di un keynesismo elementare con l’aggiunta della fantasia, sostenuta da alcuni, della elicopter money. Soldi gettati dall’elicottero. Un misto di demagogia, di dilettantismo e d’avventura.
Nasce spontanea una domanda: si può condurre una lotta aperta al processo di finanziarizzazione e ai suoi derivati, se il Sindacato continua ad essere inglobato in tale processo con i fondi pensione, specie se si continua ad invocarne lo sviluppo, possibile ormai solo se sostenuto da politiche fiscali regressive?
La Cgil e la moltitudine
Il secondo tema riguarda la Metamorfosi del lavoro.
La crisi porta a compimento una piena metamorfosi del lavoro, una polarizzazione sempre più evidente, come si evince dal grade affresco di M. Castells, tra lavoro Mcdonald e lavoro Microsoft.Tra lavoro creativo e lavoro senza qualità.
L’esplosione della crisi del 2008 cancella l’illusione, coltivata da molti, che la precarietà del lavoro, il riapparire del “vivere alla giornata”, sarebbe stato un fenomeno tutto sommato riassorbibile nel tempo medio.
Come era in fondo avvenuto nei ”cambiamenti di paradigma” del passato.
Precarizzazione come un epifenomeno separato, da trattare a parte, anche attraverso l’invenzione di modalità organizzative specifiche.
Anche in Cgil in fondo la si è pensata così: Nidil, il sindacato delle forme precarie del lavoro, in fondo è figlio, seppur problematico, di un tale modo di pensare, seppur inespresso.
La rivoluzione tecnologica ha permesso invece, e determinato, un cambiamento strutturale nella forma-impresa.
Tale cambiamento nella forma dell’impresa – un nucleo stabile di lavoratori con attorno una galassia di precariato-fino alla ricomparsa del lavoro servile- da arruolare o disfarsene secondo l’andamento del mercato – da cui l’idea dei Chicago Boys del reddito di cittadinanza, inteso come strumento per rendere senza ostacoli né sindacali né giuridici tale doppio movimento -,conferisce al fenomeno precarizzazione, un carattere permanente, strutturale e tendenzialmente crescente.
I numeri della precarizzazione d’altronde parlano da soli; e, in particolare, la loro linea di tendenza.
Una riforma contrattuale che metta al centro l’universalizzazione dei diritti del lavoro, del lavoro sans phrase, a la Supiot è sempre più improcrastinabile. Pena l’approfondirsi di un solco sempre più profondo, fino a diventare dicotomia, tra le diverse tipologie di lavoro. In specie tra lavoro Microsof e lavoro Macdonald.
La prima pietra di tale universalizzazione non può che essere costituita dall’ introduzione del salario minimo orario, valido per tutte le forme di lavoro, sotto il quale non si dà attività lavorativa.
È tempo di superare le diffidenze dei Sindacati di categoria, o meglio, di far derivare dal salario minimo di categoria, una delle ragioni di esistenza della categoria stessa.
L’organizzazione di categoria, definita per via merceologica, è stata, per dirla con M.Weber, l’idealtipo che ha permesso la strutturazione delle identità del lavoratore (i chimici ,i meccanici, i ferrovieri ecc ) ed insieme la costruzione del soggetto che ha organizzato e scandito principalmente la lotta sociale,di classe del Novecento.
Oggi, però, data la pervasività della rivoluzione informatica, le identità lavorative merceologiche trascolorano, diventano meno merceologiche e sempre più tecnologiche. Tanto da rendere sempre piu’improcrastinabile- come sostengo da tempo-la necessità di disegnare nuove forme di categorializzazione del lavoro, centrate sulla tecnologia più che sulla merceologia.
Le protezioni sindacali (il contratto protegge) vanno concepite sempre più in termini generali mettendo mano a una ricategorializzazione del lavoro, non più su base merceologica ma su base tecnologica.
L’introduzione del salario minimo rappresenta in quest’ottica la pietra angolare di un nuovo assetto contrattuale capace di ricomprendere l’insieme del mondo del lavoro. A partire dalla base della piramide :il lavoro senza nessuna tutela.
La Cgil, ìn definitiva, non può rimanere prigioniera delle proprie strutture, del suo ieri, della sua antica strutturazione, nell’affrontare fenomeni di radicale novità come l’affermarsi della moltitudine.
Occorre mettere mano – prima che sia un drastica riduzione delle risorse ad imporla – ad una radicale ridislocazione e riorganizzazione delle forze, al superamento del modello di Sindacato che ha trovato il suo perfezionamento nell’ assetto costruito negli anni 70/80
La crisi porta a pieno compimento anche una metamorfosi della condizione sociale
Dietro lo schermo dei consueti processi di impoverimento indotti dalla crisi, la condizione sociale, a ben vedere, assume in termini sempre più netti, il volto della esclusione sociale.
Il fenomeno non è nuovo, ma nuovi sono le sue caratteristiche e percorsi: si tratta in definitiva del processo che R. Castel chiama della “destabilizzazione degli stabili”.
Dal centro alla periferia, dalla periferia al margine, dal margine alla esclusione. Vale per i giovani, vale per gli anziani.
L’ enorme questione della popolazione anziana, non può continuare ad essere affrontata con la filosofia del “Sindacato dei pensionati” – reso anacronistico strategicamente dal passaggio stesso dal sistema retributivo al sistema contributivo come principio regolatore del meccanismo pensionistico – ma con la creazione di una vera e propria Agenzia sulla condizione generale della popolazione anziana.
Un esempio interessante è quello adottato negli Stati Uniti.
L’esclusione, a differenza della povertà, non può essere affrontata con semplici politiche redistributive, ma con politiche di risocializzazione complesse, che richiedono per definizione strumenti di intervento complessi.
In termini culturali, il passaggio, per dirla con E. Durkeim, dalla solidarietà meccanica (solidarietà tra simili) alla solidarietà organica (solidarietà tra diversi). In termini organizzativi, lo sviluppo di modalità che vanno dalla cooperazione alla autoorganizzazione, dal volontariato alla cittadinanza attiva.
Cogliere tale metamorfosi della condizione sociale e declinarla in forma e forza organizzata, assume oggi un valore strategico per la Cgil: non è più un aspetto di contorno.
La condizione sociale è sempre più la retrovia della condizione del lavoro, con scambi ormai sistematici tra due dimensioni.
Presenze in grande sviluppo come l’Auser, le Banche del Tempo, vanno fortissimamente potenziate evitando di concepirle come dei sindacati di categoria, ma pensate invece come “grandi condensatori” sociali in grado di cogliere fino in fondo tutte le implicazioni conseguenti allo affermarsi di tale metamorfosi.
Una ultima considerazione riguarda la questione consumo-consumatori- consumerismo
Sostengo da tempo che uno dei ”prodotti” della rivoluzione informatica è rappresentato dal Consumerismo, nelle sue varie forme .
La Crisi, per la prima volta, fa emergere il tema del modello di consumo come questione di rilevanza strategica. Nelle crisi precedenti la contesa ha sempre ruotato attorno alla questione del modello produttivo. Il tema del modello di consumo era sempre rimasto sullo sfondo.
Sul tema del consumo è necessario un salto culturale: il passaggio cioè da una visione molto elementare che sostanzialmente riduce le alternative a due tipi di consumo – consumi di lusso e consumi di sopravvivenza – a una visione molto più complessa, in cui il consumo si articola in una molteplicità di tipologie, in cui la scelta del consumatore è funzione del modello sociale desiderato e scelto e in cui l’atto del consumo riequilibra il rapporto di forze tra produttore e consumatore.
Il consumatore oggi ha in mano un potere crescente e tale da condizionare – se ben usato – sempre più le stesse scelte produttive.
Sul tema del consumo, tema profondamente e colpevolmente trascurato nel passato, oggi, al tempo dell’algoritmo, è possibile sviluppare una potenza di intervento altrettanto rilevante di quella che , nella rivoluzione fordista, sul tema lavoro ,ha permesso lo sviluppo delle grandi organizzazioni del lavoro.
Una specie di CGIL Due
La campagna di boicottaggio lanciata dai consumatori scandinavi contro l’acquisto dei pomodori italiani, raccolti con modalità di lavoro riconducibili al caporalato, esemplifica meglio di un trattato di sociologia, il ruolo che le organizzazioni di consumatori possono svolgere, anche sul terreno della difesa o affermazione dei diritti fondamentali del lavoro.
Anche in questa direzione è necessario investire.Per salire dalla semplice vertenzialità individuale e collettiva, al grande tema strategico dei modelli di consumo.
La Federconsumatori sta affermandosi come l’organizzazione più potente nell’ambito delle organizzazioni consumeriste, ma le prospettive di sviluppo sono enormi e allo stesso tempo necessarie, sia sul terreno della difesa e della tutela delle condizioni del consumatore, in peggioramento (e che la crisi amplifica a dismisura), sia sul versante delle innovazioni che le nuove tecnologie rendono e sempre più renderanno praticabili, in termini di manipolazione della domanda e persino di fabbricazione del desiderio.
Già oggi l’atto dell’acquisto sta diventando il terreno di battaglia tra le grandi compagnie dei media, che governano la Rete.
I sistemi di sorveglianza nelle grandi reti distributive diventano sempre più sistemi di individuazione e lettura del desiderio, per costruire ad un livello inedito campagne sempre più sofisticate di manipolazione e controllo delle scelte del consumatore, lasciando presagire scenari alla Orwell.
L’alternanza delle umane sorti, per dirla con il poeta, riguarda anche le forme della organizzazione e le “gerarchie” all’interno della stessa organizzazione.
Credette Cimabue ne la Pintura
Tener lo campo. Ora ha Giotto il grido.
Si che la fama di colui oscura.
In prospettiva, la rifondazione della Camera del lavoro di tradizione latina nel cuore di ogni città, l’Auser, nell’universo della esclusione sociale, la Federconsumatori nell’universo del consumo, le Banche del Tempo nell’universo della autoorganizzazione, se pensate come vere e proprie Piattaforme a trecentosessanta gradi al centro di tali universi, possono permettere di affrontare la sfida.
La sfida all’avvento della moltitudine decide del futuro. Ma la Cgil ha forze ed esperienze a cui attingere per stare all’altezza della propria storia. Per non finire come i dinosauri. Come alcuni già profetizzano.
Sempre che il cervello strategico della Cgil rimanga capace di inventività e di lungimiranza.
Gigi Agostini- ex dirigente Cgil