Parola chiave: ritardo. Ma con l’intenzione, almeno, di cominciare a recuperarne un po’. Stiamo parlando del diritto soggettivo dei lavoratori alla formazione professionale, previsto dal Contratto nazionale dei metalmeccanici attualmente vigente. Un diritto in capo a ogni singolo lavoratore e la cui introduzione ha costituito una delle maggiori novità dell’ultimo rinnovo contrattuale, quello del 26 novembre 2016. Un fiore all’occhiello esibito con orgoglio dalle parti firmatarie, il giorno in cui l’intesa fu raggiunta, a Roma, presso la sede nazionale della Confindustria. Ma che da qualche tempo rischia di appassire mestamente.
Per scongiurare tale rischio, a due anni da quel rinnovo le stesse sigle firmatarie – ovvero Federmeccanica e Assistal per la parte datoriale, e Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil per i sindacati dei lavoratori – hanno dato vita a un cosiddetto “Evento nazionale congiunto” che si è svolto, a Roma, nel pomeriggio di ieri, ospitato presso la sede del Cnel a villa Lubin.
L’evento – animato da Stefano Franchi, Direttore generale di Federmeccanica – si è articolato in due tempi. Dopo i saluti introduttivi, tenuti da Tiziano Treu, presidente del Cnel, e da Bruno Scuotto, Presidente di Fondimpresa, si è svolta una prima tavola rotonda in cui Alberto Dal Poz, Presidente di Federmeccanica, e Pasquale Ranieri, Vicepresidente di Assistal, si sono confrontati con i segretari generali dei sindacati di categoria, ovvero con Francesca Re David (Fiom), Marco Bentivogli (Fim) e Rocco Palombella (Uilm). In una seconda tavola rotonda, si sono poi confrontate le esperienze sin qui accumulate da sei commissioni paritetiche territoriali dedicate al tema della formazione continua.
Cosa è emerso da questi due successivi confronti? Innanzitutto, come si diceva all’inizio, che per ciò che riguarda l’attuazione dell’articolo 7, sezione IV, del vigente Contratto dei metalmeccanici si registra un ritardo davvero molto forte. Un ritardo dovuto, forse, a uno scarso interesse nelle strutture sindacali, ma anche, se non soprattutto, a qualche resistenza nel mondo delle imprese.
Ma qui, per capire meglio di cosa stiamo parlando, è necessario fare un passo indietro. Come è stato ricordato nel corso dell’incontro, la categoria dei metalmeccanici ha una sua antica tradizione contrattuale in tema di diritto dei lavoratori a una propria crescita culturale. Nel 1973, il contratto introdusse la possibilità per i lavoratori di usufruire di 150 ore di permesso all’anno per seguire corsi di base che potessero consentire loro di arricchire la propria preparazione culturale generale, anche favorendo il conseguimento di titoli di studio non ancora posseduti, come quello delle medie inferiori. All’epoca, infatti, non era infrequente incontrare nei luoghi di lavoro dei lavoratori che non avevano completato il ciclo di istruzione della scuola dell’obbligo.
Quaranta e passa anni dopo, in una situazione sociale, e industriale, profondamente mutata, il contratto dei metalmeccanici ha previsto il diritto soggettivo di tutti i lavoratori a 24 ore di formazione professionale nell’ambito del triennio contrattuale. Ciò significa, come ha ricordato Francesca Re David, che “le aziende devono coinvolgere tutti i dipendenti in percorsi di formazione continua”. E ciò perché “per il contratto dei metalmeccanici” l’investimento in formazione “rivolto alle lavoratrici e ai lavoratori” è “strategico”.
Nella situazione attuale, infatti, il problema non è più quello di consentire a uomini e donne, avviati al lavoro in età molto giovane, di recuperare pezzi mancanti della loro formazione di base, quanto quello di aiutare lavoratori già dotati di buone competenze di base, acquisite nei normali percorsi scolastici, ad aggiornare le proprie capacità professionali messe in questione dall’incalzare dei processi di innovazione tecnologica.
Almeno in teoria, dunque, nella visione delle parti firmatarie del contratto del novembre 2016 queste 24 ore di formazione continua non sono solo una conquista che tutela l’interesse dei lavoratori ad aggiornare le proprie competenze professionali nel corso della propria vita lavorativa, ma anche una novità che consente l’introduzione di una prassi volta a tutelare l’interesse delle imprese a poter usufruire di “risorse umane” la cui professionalità sia costantemente aggiornata.
Tornando dunque al convegno tenutosi ieri al Cnel, dalle tre ore di fitto dibattito è emerso che l’idea tradotta nel citato articolo 7 è rimasta ancora, in gran parte sulla carta. Infatti, stando almeno a quanto risulta ai sindacati nazionali, il numero delle imprese in cui si è tentato di dare attuazione a questa innovazione contrattuale è ancora largamente insufficiente.
Di ciò è evidente spia il fatto che, come ha rilevato Marco Bentivogli, sono ancora pochissime le commissioni paritetiche costituite, nell’arco di due anni, a livello territoriale. Laddove queste commissioni sono state formate, la capacità di Federmeccanica e Assistal, da una parte, e di Fim, Fiom, Uilm, dall’altra, di coinvolgere imprese e lavoratori nella nuova avventura della formazione professionale continua acquista una sua indubbia concretezza. E ciò è emerso in modo chiaro dalla seconda tavola rotonda sopra ricordata, quella cui hanno partecipato rappresentanti delle commissioni già attive a Torino, Milano, Bergamo, Brescia, Verona e Napoli.
Ma il fatto è che, al di là della ricchezza delle esperienze già avviate, nella stragrande maggioranza dei territori queste commissioni, benché previste dal Contratto, non sono state ancora neppure insediate. Lo stesso Bentivogli ha quindi proposto che le parti firmatarie si diano un obiettivo ravvicinato: mobilitarsi affinché di qui a fine marzo le Commissioni territoriali non si contino più sulle dita di due mani, o poco più, ma a decine.
Sempre secondo Bentivogli, le parti firmatarie devono infatti impegnarsi per “sovvertire” una situazione che costituisce un preoccupante problema di arretratezza del nostro Paese. Come tutti sanno, ArcelorMittal, il colosso franco-indiano dell’acciaio, ha acquisito di recente l’Ilva, ovvero il nostro più grande gruppo siderurgico. Ebbene, ha sottolineato ancora Bentivogli, nello stabilimento che ArcelorMittal possiede in Belgio vengono fatte 80 ore all’anno di formazione professionale per i lavoratori lì impiegati. A Taranto, come negli altri stabilimenti italiani del gruppo, non vengono ancora fatte neppure le 8 ore annue previste dal Contratto. E del resto, come ha ricordato Francesca Re David, se l’attuazione dell’articolo 7 è largamente insufficiente nell’insieme del Paese, nel Mezzogiorno le cose stanno ancora peggio.
Da parte sua Palombella ha ricordato che i sindacati, al momento della stipula del contratto nel 2016, erano ben consapevoli che si trattava di introdurre una novità certo utile, ma anche onerosa per i lavoratori. A fronte dei costi che le imprese devono accollarsi per organizzare le attività formative, i sindacati hanno rinunciato a parte degli auspicati aumenti salariali. Tanto più sono adesso inaccettabili le resistenze che traspaiono dagli atteggiamenti di molte imprese, restie a tradurre in pratica questa innovazione contrattuale.
Dall’incontro romano è comunque emerso che le parti firmatarie del contratto, almeno a livello nazionale, sono ben convinte dell’importanza del citato articolo 7 e della necessità di tradurlo in pratica. E ciò anche perché è uno dei pochi strumenti concreti che possono essere attivati per combattere la battaglia volta a accrescere la diffusione di capacità professionali aggiornate che consentano a imprese e lavoratori di confrontarsi positivamente con le sfide dell’innovazione.
E ciò anche perché non si tratta solo di combattere antiche pigrizie italiche, ma recenti svolte politiche. In particolare, infatti, nell’intervento conclusivo dl convegno Federico Visentin, il Vicepresidente di Federmeccanica cui è stata attribuita la delega alla Education, ha detto di condividere quanto osservato in precedenza da Bentivogli, ovvero che l’attuale Governo gialloverde ha ridotto gli incentivi all’innovazione tecnologica che vanno sotto il nome di Industria 4.0, ha ridimensionato l’importanza dei programmi di alternanza scuola-lavoro e ha azzerato gli incentivi per le attività di formazione. Il fatto è che, ha affermato con forza Visentin, “questo Governo incompetente pensa che le cose difficili sia meglio eliminarle piuttosto che affrontarle”.
Se il pessimismo della ragione ci dice dunque che molta strada resta ancora da fare per tradurre in prassi concreta e diffusa il nuovo articolo 7, l’ottimismo della volontà, cui si è ispirato l’intervento di Visentin, lascia sperare che, nei prossimi mesi, le esperienze dei territori sopra citati cominceranno a diffondersi ad altre, più numerose provincie.
@Fernando_Liuzzi