No, la sinistra non ha un partito. Il Pd è un replicante senz’anima. Un organismo che si riproduce per partenogenesi, senza fecondi contatti con l’esterno. Rinserrato nel proprio campo, sempre più angusto, e incapace, per sua stessa rinsecchita costituzione, di attrarre consensi e suscitare entusiasmi. Un prodotto di nicchia, un brand privo di fascino. Può continuare a vivacchiare ma senza sogni di gloria. Le primarie e l’annunciato congresso si stanno rivelando una lotta tra cacicchi, senza grandi differenze l’uno dall’altro, tutti rigorosamente maschi. Già pronti a dividersi posti e prebende: nessuno degli attuali dirigenti, se sconfitto, appare infatti propenso a ritirarsi per coltivare l’orto. Più che uno scontro epocale, nel quale è in gioco il destino stesso delle forze progressiste, sembra una sfida tra aspiranti amministratori delegati di un’azienda in crisi. Potrebbero anche dividersi, con Matteo Renzi che, con un nuovo soggetto a sua immagine e somiglianza, va a cercare voti al centro, ma due debolezze non fanno una forza.
Liberi e Uguali si è sciolto come neve al sole, una morte annunciata, senza nemmeno un appassionato necrologio. Era nato in laboratorio, creato da supponenti e vanesi leader che non si rassegnavano ad uscire di scena e che avevano in comune solo lo spirito di rivalsa. Potere al Popolo si è già spaccato tra i movimentisti della prima ora e i leninisti eredi di Rifondazione. Emma Bonino e i radicali orfani di Marco Pannella si danno, come sempre, un gran da fare e, come sempre, non riescono a raccogliere quel che seminano.
Lo scenario è desolante. L’immensa eredità comunista, socialista, cattolica popolare, laica, libertaria è stata dissipata da eredi incapaci, avidi, avventuristi. A ognuno la sua colpa. Achille Occhetto, chi era costui? Tu quoque, Massimo D’Alema! Cui prodest, Fausto Bertinotti? Solo la stagione dell’Ulivo, Romano Prodi e Walter Veltroni, sembrava annunciare una fase di partecipato cambiamento ma la stupidità e la protervia di sgomitanti protagonisti, i soliti noti, hanno abbattuto la pur frondosa pianta. Certo, restano le radici, profonde e ramificate. La sinistra, dando a questa espressione i connotati di eguaglianza, libertà e giustizia rimarcati da Norberto Bobbio, per distinguerla dall’egoismo della destra, è viva pur non avendo un’organizzazione che la rappresenti davvero. E’ viva e lotta, come dimostrano le tante iniziative civiche, tipo Roma e Torino, le forme di associazionismo che si moltiplicano, il rinnovato impegno di intellettuali fuori dal coro che auspicano un nuovo rinascimento, o un neo-neorealismo, nel cinema, nei libri, nel teatro. Tanti volti di donne e di giovani. Non tutto è perduto.
Si può fare politica senza un partito, lo hanno teorizzato, pur in maniera diversa, Simone Weil e Adriano Olivetti. Ma si può anche costruire, sempre dal basso, mai dall’alto, un nuovo partito. Magari solo per una stagione, non concedendo ai burocrati di turno il tempo di trasformarsi in apparato. Un continuo fluire di idee, di proposte, di persone. Non in rete, come teorizzano gli emuli di Gianroberto Casaleggio, ma nel confronto in carne ed ossa, nei palazzi, nei quartieri, nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle assemblee. E’ questa la vera essenza della democrazia. La riscossa è sempre possibile. “Il maleficio non è decisivo: gli uomini di buona volontà hanno ancora un campo sterminato da ricoltivare e far rendere fruttuosamente”. Parola di Antonio Gramsci.
Marco Cianca