Tradizionalmente, quando si usa l’espressione mondo del lavoro, si pensa subito ai lavoratori, dipendenti o autonomi, e ai datori di lavoro, privati o pubblici che siano. E quindi anche alle organizzazioni che rappresentano collettivamente gli uni e gli altri: sindacati e associazioni imprenditoriali. Il che vuol dire, poi, parlando in termini di figure sociali, delegati, capi del personale e sindacalisti dell’una e dell’altra parte. Ma la società è divenuta sempre più complessa e accanto a queste strutture, e a queste figure, classicamente protagoniste delle relazioni industriali, si sono venute affiancando nuove figure sempre più diversificate e numerose.
Parafrasando quindi una celebre battuta di Marx, potremmo dire che le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro non producono solo sindacati e associazioni imprenditoriali, contratti nazionali e aziendali e norme di legge, ma anche giudici del lavoro e avvocati civilisti specializzati in cause di lavoro, nonché consulenti aziendali, agenzie per il lavoro, fondi interprofessionali ed esperti di formazione professionale.
Se ne è avuta una prova ieri, a Roma, dove si è svolto il 5° Forum TuttoLavoro, intitolato “L’evoluzione del lavoro oggi tra flessibilità e precariato”. Una sala affollata, piena di persone estranee al mondo del sindacalismo confederale ma interessate, in senso lato, alle tematiche del lavoro e che hanno resistito per otto ore filate – dalle 10 del mattino alle 6 di sera, a un fitto susseguirsi di discorsi, interviste, confronti e tavole rotonde su temi non leggerissimi, tipo “Il ruolo della formazione nelle politiche attive del lavoro” o “Le nuove regole del lavoro per i contratti a termine dopo il decreto Dignità”.
A organizzare il tutto FonARCom, il fondo paritetico interprofessionale che è stato creato nel 2006 dalla Cifa, una confederazione che rappresenta principalmente imprese minori del terziario e dell’artigianato, e dalla Confsal, la Confederazione nazionale dei sindacati autonomi dei lavoratori. Una sigla, FonARCom, i cui dirigenti rivendicano orgogliosamente di essere ormai, per dimensioni, il secondo fondo interprofessionale, posto che il primo è, notoriamente, Fondimpresa, quello costituito, a suo tempo, dalla Confindustria e da Cgil, Cisl, Uil.
Ebbene, da questa giornata si ricava l’impressione che a fianco delle classiche organizzazioni del sindacalismo confederale si è ormai creato un mondo parallelo che non è capace solo di rappresentare imprese private e lavoratori attivi, sia nel settore privato che in quello pubblico, ma anche di interloquire con le realtà professionali che sono cresciute attorno al mondo del lavoro propriamente detto – e quindi, appunto, esperti di diritto del lavoro, consulenti del lavoro, formatori, ovvero le figure che costituivano il pubblico del Forum. Di più: un mondo parallelo che è capace, anche, di dar vita a enti bilaterali che aspirano visibilmente ad assumere ruoli, se non da protagonisti, almeno da comprimari nel dibattito da tempo in corso, come si usa dire, sul “lavoro che cambia”.
Ecco dunque FonARCom, che, come altri fondi interprofessionali, si propone di aiutare le imprese aderenti a “utilizzare il versamento Inps dello 0,30% delle retribuzioni soggette all’obbligo contributivo” allo scopo di “realizzare Piani formativi” che vadano “a vantaggio dello sviluppo aziendale e delle risorse umane” impiegate dalle aziende stesse. In pratica, un soggetto che si pone come erogatore di finanziamenti, di fonte Inps, volti a sostenere attività di formazione continua dei lavoratori già occupati.
Ed ecco, anche, il Presidente di FonARCom, Andrea Cafà, che intende andare oltre a questa funzione istituzionale tipica del bilateralismo, proponendosi di interpretare il ruolo di uno strumento di sostegno non solo alla formazione continua, ma anche alle politiche attive del lavoro attraverso percorsi a ciò specificamente dedicati. Percorsi che prevedano un impegno per la formazione non solo di lavoratori neoassunti o da ricollocare in altre aziende, ma anche forme ancora non previste di utilizzo del reddito di cittadinanza, una volta che questo strumento fosse passato dalla sfera dei progetti politici a quella della realtà effettuale.
Come è ampiamente noto, nel nostro Paese le politiche attive del lavoro sono il punto debole del rapporto fra azione pubblica e mercato del lavoro. Ma questo non scoraggia Cafà che, anzi, pensa che “la realizzazione di un buon sistema di politiche attive” abbia bisogno di “un’azione di sistema”. Per Cafà occorre quindi “avviare una forte sinergia tra Regioni e fondi interprofessionali per fornire strumenti operativi e veloci alle agenzie per il lavoro e agli enti bilaterali”, ovvero alle realtà che, secondo lo stesso Cafà, “sono oggi gli unici soggetti capaci di favorire l’incontro tra domanda e offerta” di lavoro.
Ed ecco, quindi, la proposta originale emersa dal Forum di ieri. Una proposta che, diciamo noi, tenta di unire, con una certa creatività sia legislativa che politica, un pezzo del Jobs Act renziano col cuore della narrazione politica del MoVimento 5 Stelle, il famoso, e discusso, reddito di cittadinanza.
Cafà, infatti, si rifà a quanto previsto dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 – uno dei decreti attuativi del Jobs Act – recante “disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive”. E ne ricava che “un ruolo centrale nella creazione di una rete di politiche attive” può essere svolto “proprio dai fondi interprofessionali”, considerati, non senza qualche ambizione, come un “anello di congiunzione tra imprese e lavoratori”.
Ebbene, per Cafà “un primo banco di prova” della funzione dinamica da lui immaginata per i fondi interprofessionali potrebbe essere “il loro coinvolgimento nella gestione del reddito di cittadinanza, trasformando quella che oggi si profila come una politica passiva in una politica attiva”.
In un’intervista rilasciata prima del Forum a Ipsoa quotidiano, Cafà ha osservato, infatti, che il reddito di cittadinanza, “così come immaginato ad oggi”, “sembrerebbe rappresentare un semplice sussidio, una politica passiva”. Per lui, anzi, “la sola erogazione di denaro potrebbe addirittura scoraggiare la ricerca di nuovo lavoro”. A parte il fatto che, “data la situazione italiana”, “è difficile pensare che” il meccanismo ipotizzato “possa funzionare attraverso i soli Centri per l’impiego”.
Per Cafà, occorre dunque “evitare che il sussidio” si “tramuti” in “puro assistenzialismo”. A tale scopo, potrebbe essere assunta un’idea proposta dal Centro Studi Incontra: quella di “erogare il reddito di cittadinanza ai soggetti che ne hanno bisogno e che accettano un’esperienza formativa, dai sei ai dodici mesi, presso un’impresa che”, a sua volta, “contribuirebbe a erogare una quota, anche del 50%”, dello stesso reddito di cittadinanza.
Se questa proposta venisse assunta, Cafà immagina che per realizzare questo “riavvicinamento tra percettori del reddito di cittadinanza e mondo del lavoro” non potrebbe essere realizzato “dai soli Centri per l’impiego”, ma potrebbe prevedere un coinvolgimento attivo delle agenzie per il lavoro e dei fondi interprofessionali. Nonché, necessariamente, delle imprese dotate di “responsabilità sociale”.
La proposta è indubbiamente originale e offre il duplice vantaggio, da un lato, di coinvolgere i destinatari del famoso reddito in un’esperienza formativa vissuta nel concreto di un’azienda e di farne, quindi, persone più facilmente impiegabili in quella stessa azienda o in altre imprese; e, dall’altro, di ridurre, per il periodo dato, le risorse pubbliche necessarie per dare concretezza al reddito stesso.
Va però detto che la realizzazione della proposta caldeggiata da FonARCom appare tutt’altro che facile. Non foss’altro, per il fatto che, a fine novembre, e quindi a otto mesi di distanza dalle elezioni in cui era stato annunciato, il reddito di cittadinanza si presenta ancora come una creatura informe.
E’ tuttavia interessante prendere nota del fatto che sia dal mondo del lavoro, diciamo, “confederale”, sia dal mondo del lavoro autonomo, il tema della formazione continua viene sollevato con sempre maggiore insistenza. Sarebbe bene che il Governo, e più in generale le forze politiche, ne tenessero conto.
@Fernando_Liuzzi