Non me ne ero accorto, ma da qualche parte (forse nel decreto semplificazione) il governo deve aver introdotto un nuovo tipo di autocertificazione: ormai per farsi riconoscere un ruolo politico è sufficiente autocertificarsi. Le personalità politiche dei tempi che furono erano giudicate dagli altri: i giallo-verdi no, se la suonano e se la cantano da soli. Già a Strasburgo Peppino Conte aveva negato di essere un burattino nelle mani di Salvini e Di Maio. Rientrato in patria si è lanciato ancora più avanti. In un’ intervista a Repubblica – sparata in apertura – ha dichiarato che il leader del governo è lui più di suoi ingombranti vice, perché più di loro rappresenta l’unità e l’azione dell’esecutivo. Inoltre, Conte ha affermato che ‘’a differenza di altri’’ lui non è un prestanome di qualche comitato d’affari e non ha conflitti di interesse. Poi, con tono profetico come se avesse appena consultato la Sibilla cumana, ha lanciato il suo anatema:’’Chi parlava apparteneva alle vecchie famiglie politiche e quindi si scagliava contro il vento nuovo. Anzi, per molti di loro era una specie di canto del cigno’’. Bene, ne prendiamo atto. Pinocchio (la somiglianza è fortissima) si è trasformato da burattino in un bambino in carne ed ossa e vanta di essere l’espressione e il garante di un popolo (ha usato persino l’aggettivo europeo) che ha subito le politiche di austerità e di contenimento dell’inflazione. Quest’ultima osservazione è veramente singolare. Negli anni scorsi nell’epicentro della crisi l’inflazione era sparita, tanto che si è fatto di tutto – spesso senza riuscirci – per inseminarla artificialmente almeno fino al 2%. Ma torniamo alla batracomiomachia del governo contro la Ue. Nel protestare contro gli ‘’insulti’’ rivolti a Conte (e attraverso di lui a tutto il popolo italiano) Matteo Salvini se l’è presa – al solito – che le burocrazie che saranno spazzate via dal voto del 26 maggio. Chissà perché – in verità ha cominciato Matteo Renzi ad abusare di questi termini – quando si parla di politici europei si evocano sempre le burocrazie al soldo delle lobby.
Guy Verhofstadt, fino a prova contraria, è un parlamentare europeo eletto come lo era stato Matteo Salvini prima di candidarsi alle elezioni politiche italiane. Quando si congedò da Bruxelles svolse in Aula – che in precedenza non aveva frequentato con particolare assiduità – un intervento, ancor più arrogante del solito, all’insegna del ‘’io so’ io e voi non siete ‘’un c…o’’. Tornando, però, a Conte, il quale è tuttora intento a spegnere le fiamme della sua coda di paglia, si dice – anzi è lui il primo a riconoscerselo – che sta svolgendo un’ importante azione di mediazione tra i due boss, sempre più in gara tra di loro. Probabilmente è anche vero, ma il suo approccio non è quello del leader politico che, ad un certo punto, chiude la discussione e le polemiche con queste parole:’’ Bene, allora si fa così, perché lo dico io’’. Sosteneva Harry Truman che il tavolo del presidente è quello dove termina lo scarico del barile. Conte più che un premier è un ‘’consigliori’’, un avvocato di fiducia dal quale si reca una coppia sull’orlo di una crisi di nervi e che interpone i suoi buoni uffici per superare i contrasti. Considerando gli ambienti e le persone tra le quali esprime il proprio talento è più corretto definirlo un prosseneta piuttosto che un mediatore. Certo, a volte riesce – vero e proprio Arlecchino servo di due padroni – a mettere d’accordo gli amministratori delegati dell’accomandita governativa, ma la sua non è una sintesi politica, perché il punto di caduta lo determinano sempre loro. A pensarci su e a essere buoni, potremmo scomodare, per Peppino Conte, persino una nuova figura professionale: il counselor ovvero colui che – secondo la definizione da manuale – offre il suo tempo, la sua attenzione interessata e partecipativa, nonché la sua esperienza a chi si trova in una condizione di difficoltà e di incertezza e che, per questi motivi, sente la necessità di chiarificare alcuni aspetti di sé, anche in rapporto all’ambiente che lo circonda. Certo che con un paziente come Danilo Toninelli, Conte ha il suo daffare: uno che riesce, nella vicenda Tav, a trasformare i benefici (minor traffico, minore inquinamento, meno trasporto su ruota, ecc.) in costi (minori entrate per le accise e per i pedaggi autostradali) deve essere parecchio disturbato.