Ho apprezzato le ultime performance televisive di Silvio Berlusconi, anche se ormai dice sempre le medesime cose più o meno con le stesse parole e si vede costretto ad arrivare fino in Cina per trovare dei comunisti dai quali difendersi. Del Cav. (ma non era divenuto ex ?) si può dire ciò che i commentatori sportivi affermano nel caso di un calciatore a fine carriera o che rientra in campo dopo una lunga pausa dovuta ad un grave infortunio (Berlusconi soffre di ambedue gli handicap): non ha più i novanta minuti nelle gambe. Infatti, verso la conclusione delle interviste finisce per travolgere chi conduce la trasmissione con il racconto delle sue traversie giudiziarie. Anche in questo caso usando le stesse parole delle altre volte, come se le avesse imparate a memoria.
Che cosa mi piace, allora, delle esibizioni dell’ex premier? Innanzi tutto l’implacabilità delle critiche agli ‘’scappati di casa’’ del M5S, nel senso che non lesina nulla all’incompetenza, al giustizialismo d’accatto, all’invidia sociale e al moralismo plebeo di cui sono espressione. Per lui giudicare i pentastellati ‘’peggio dei comunisti’’ (ai quali tuttavia riconosce che avevano esperienza e preparazione) è come emanare una sentenza definitiva e una condanna capitale. L’altro passaggio, pienamente fondato, ancorché simpaticamente paradossale, è il giudizio che Berlusconi dà dell’elettorato (‘’gli italiani hanno perso la testa’’) che ha mandato al potere, un anno fa, questa coalizione. Proprio qui sta il punto: in democrazia l’elettorato ha sempre ragione, anche quando ha torto. Il popolo può cambiare un governo, un governo non può cambiare un popolo (se non manu militari: il che è sconsigliato).
È vero: nelle ultime elezioni regionali abbiamo assistito ad un tracollo del M5S, tanto più clamoroso perché avvenuto in regioni meridionali che dovrebbero usufruire di quel reddito di cittadinanza che – secondo gli analisti – avrebbe convinto l’elettorato del Sud a ricoprire di voti i ‘’5stelle’’ lo scorso 4 marzo. Ma non possiamo fidarci del voto sardo per ritenere che sia finita anche la ‘’spinta propulsiva’’ della Lega. I sondaggi confermano che – sia pure con una redistribuzione interna a favore del Carroccio – la maggioranza giallo-verde continua a toccare, nel caso di una consultazione politica, punte di consenso vicine al 60%. Ma perché il M5S perde voti che si spostano sull’alleato? Questa può sembrare una contraddizione perché nella politica del governo prevalgono largamente le istanze ‘’grilline’’ sia nel ‘’fare’’ come nel ‘’non fare’’. A Salvini sta riuscendo il gioco di raccontare, all’esterno, di essere contrario a ciò che ha concordato un minuto prima con l’alleato (di veda il caso Tav come esempio paradigmatico di tanti altri).
È evidente che gli italiani si sono accorti della totale inconsistenza – pari solo all’arroganza – della classe dirigente grillina, la quale, anche ai massimi livelli, ha collezionato figuracce incomprensibili (si pensi soltanto ai motivi della crisi diplomatica con la Francia). Ma quale è il segno che la Lega ha tracciato in questi mesi nella politica italiana? Ben poco. Da dove arriva il consenso per Matteo Salvini se non dalla capacità, cinica e spregiudicata, di prendere in ostaggio – quando capita l’occasione – alcune decine di profughi per scatenare, nel Paese, una sorta di ‘’celodurismo’’ fino ad ora estraneo ai nostri compatrioti? In realtà, se si guarda ai risultati, tutta questa ostentata maggiore sicurezza, di cui si vanta il Truce, si è manifestata attraverso iniziative di carattere ostile nei confronti degli stranieri, in situazioni (si pensi agli sgomberi) che non davano particolari problemi.
Ma il Capitano sfoggia ogni giorno una nuova divisa e macina consensi facendo appello a sentimenti che sembravano essere sconosciuti agli italiani. Dopo il decreto sicurezza (che ha creato più problemi di quanti ne ha risolti) Salvini è intenzionato a giocarsi la carta della legittima difesa. E visitando in carcere Angelo Peveri, il ministro di Polizia ha dimostrato che per lui la legittima difesa può benissimo sconfinare nella giustizia sommaria. Nella concessione di una vera e propria ‘’licenza di uccidere’’. Quell’imprenditore è stato condannato in via definitiva per aver cercato di ammazzare a fucilate, sparandogli a freddo mentre era trattenuto da un dipendente, un rumeno che, con altri complici, aveva cercato di rubare del gasolio da un escavatore della sua ditta, più volte depredata dai ladri.
Eppure, questi gesti di solidarietà recano consenso a Matteo Salvini. Si dirà che la gente è esasperata dai furti, dallo spaccio, dal degrado, dalle violenze. Ma non si può perdere il senso della misura: un bambino su di un barcone in mezzo al Mediterraneo prima deve essere soccorso, poi magari si discute su come governare questi fenomeni (ormai divenuti strutturali in ogni angolo del pianeta). E non si spara a un uomo inerme che ormai non è più in grado di fare del male a nessuno. Ecco perché il problema principale non è questo governo, ma sono gli italiani. Almeno quelli che continuano a farsi convincere, a colpi di selfie, da un esibizionista, affetto da priapismo.
Giuliano Cazzola