Il settore delle telecomunicazioni sta attraversando un periodo di forte sofferenza. La competitività innescata dalla presenza di gestori a basso costo, e gli ingenti investimenti per la rivoluzione del 5G, hanno spinto molte aziende ad attuare piani di esubero e di ridimensionamento. I numeri parlano di 4.300 uscite volontarie da Tim e di 1.130 esuberi da parte di Vodafone Italia, a cui si aggiunge il piano di riorganizzazione per Wind. Per capire quali possono essere gli scenari futuri che attendono il settore e quali mosse si prepara a mettere il campo il sindacato per fronteggiare una situazione di profondo cambiamento, il Diario del lavoro ha intervistato Vincenzo Colla, vicesegretario generale della Cgil.
Colla, c’è una crisi diffusa che coinvolge i principali gestori delle Tlc. Secondo lei, quali sono le cause, come si è arrivati a questo?
Stiamo facendo i conti con una situazione è che stata innescata dalla mancanza di una visione di sistema. La logica che per molto tempo si è perseguita è stata quella del conflitto. Il rischio è che questa situazione scarichi tutti i suoi effetti negativi sui lavoratori e l’intera filiera, come dimostra il caso Sirti. Inoltre nel settore delle telecomunicazioni operano migliaia di lavoratori in appalto, principalmente nelle istallazioni di rete e nell’assistenza clienti, che potrebbero pagare il prezzo più alto.
Quanto ha pesato l’aumento della concorrenza, l’arrivo di molti altri gestori a basso costo nella telefonia mobile?
Ha pesato significativamente. Ed ha comportato una riduzione degli utili in molte aziende. Da una parte, infatti, i “classici” gestori hanno dovuto controbilanciare la forte concorrenza dei nuovi competitors e, dall’altra, sono aumentati i costi per via degli investimenti necessari per realizzare le nuove tecnologie, come il 5G, che sono cospicui. In quest’ottica ritengo sensato da un punto di vista industriale l’accordo tra Tim e Vodafone per la condivisione delle torri, perché risponde ad una logica di razionalizzazione delle risorse e va verso l’idea di un settore più organico.
Si può dire che la concorrenza fa bene ai prezzi e agli utenti, ma fa male alle aziende e all’occupazione?
Sicuramente la concorrenza ha giovato all’utenza. Le tariffe del nostro paese sono tra le più basse rispetto alla media europea. Ma le ripercussioni sul lavoro ci sono state. L’abbassamento della qualità dei servizi rivolti all’utenza è andato, molte volte, di pari passo con una riduzione delle tutele dei lavoratori.
Gli operatori affermano che siamo alle soglie di una trasformazione radicale del settore. Cosa deve fare il sindacato per rispondere a questi cambiamenti e quali strumenti può mettere in campo?
Il settore delle tlc rappresenta una delle sfide più significative che il sindacato deve affrontare. Nell’immediato futuro l’intero comparto avrà bisogno di nuove competenze e nuove figure professionali, capaci di generare valore aggiunto. È importante dunque saper governare i processi di entrata e di uscita del personale, così come insistere molto sulla formazione per riqualificare parte dei lavoratori. Quest’ultimo aspetto assumerà sempre più un ruolo strategico nei processi di trasformazione del settore: il cambio di tecnologia in corso può portare con sé fenomeni di obsolescenza professionale e potenziale riduzione dei perimetri occupazionali per come li conosciamo oggi. Occorre predisporre un diffuso programma di riprofessionalizzazione e ammodernamento dei saperi in questo settore. Accanto a questo, però, bisogna ripensare anche a un nuovo modello di partecipazione.
Secondo lei queste vertenze che si stanno avviando come devono essere gestite? Solo tra le aziende coinvolte e i sindacati di categoria, oppure dovrebbe avere un ruolo anche il governo, con il Mise?
Tutti gli attori devono essere coinvolti, sindacati, aziende e politica. Stiamo parlando di un settore strategico, non solo dal punto di vista economico e occupazionale. In ballo ci sono anche, non dimentichiamolo, i dati sensibili degli utenti, uno dei temi più delicati dei nostri tempi. Abbiamo quindi bisogno di una politica 4.0, che sia all’altezza delle sfide future, che abbia una visione di lungo periodo e non sia appiattita solo sulle prossime elezioni.
A proposito del ruolo dei decisori politici, cosa pensa della cancellazione della task force del Mise per le crisi industriali, voluta dal ministro Di Maio?
Cancellare la task force è stato, senza dubbio, un grosso errore. Si è svuotato il Ministero di competenze importanti, e si è dato anche un segnale culturale molto negativo.
In che senso ‘’culturale’’?
Perché le crisi vanno affrontate e governate non solo quando già stanno producendo i loro effetti negativi, ma sapendo prevedere anche quello che sarà l’andamento di un settore, e non intervenendo solo all’ultimo.
Tommaso Nutarelli
@tomnutarelli