Quando i soldi si esauriscono e non si sa più a che santo votarsi, si finisce prima o poi per invocare Santa Patrimoniale. Ed è esattamente quello che sta accadendo in Italia (nuovamente: e tra breve vedremo perché) da qualche mese. Prima sottotraccia, lasciando cadere qualche frase nei talk show (vedi Carlo Cottarelli, a febbraio, quando aveva ventilato l’ipotesi che, in caso di crisi, qualcuno avrebbe potuto chiedere una patrimoniale del 10% sulle ricchezze per abbattere il debito); poi via via evocandola sempre più esplicitamente (Mario Monti, la scorsa settimana), fino ad arrivare a una intera intervista a tutta pagina, rilasciata da Maurizio Landini a Repubblica mercoledì 3 aprile, che di patrimoniale parla come di una base da cui partire per un progetto di ben più ampio respiro.
Landini, infatti, precisa di non volersi impiccare alle parole e che la sua idea è, piuttosto, quella di un grande piano di investimenti pubblici e privati per un nuovo modello di sviluppo, finanziato da quello che definisce “tributo di equità contro le diseguaglianze” e da nuovi strumenti finanziari sostenuti da banche e Stato. Ma alla domanda ‘’dove trovare le risorse necessarie’’ per questo piano, il leader Cgil risponde: ‘’i soldi si vanno a prendere dove ci sono’’. E spiega: “Serve una riforma fiscale degna di questo nome, bisogna intervenire sulle ricchezze per una lotta contro le diseguaglianze”. Insomma, chiamatela come volete, ma l’obiettivo è sempre quello: prelevare di più a chi ha di più.
Il dibattito, come si diceva, non è nuovo. Nel 2011, per esempio, si parlò a lungo di patrimoniale. Ed era stata proprio la Confindustria, epoca Emma Marcegaglia, a lanciarla per prima con il suo ‘’manifesto’’ per la salvezza dell’Italia: alla voce “riforma fiscale” si legge infatti la proposta di introdurre “l’obbligo, da parte delle persone fisiche, di indicare il proprio stato patrimoniale nella dichiarazione annuale dei redditi”, per poi “applicare, sul patrimonio netto delle persone fisiche, una imposta patrimoniale annuale”. L’ipotesi della Confindustria era di una imposta pari all’1,5 per mille su tutti gli attivi, mobili e immobili, per un gettito stimato di circa 6 miliardi di euro l’anno. Oggi, invece, a Landini ha risposto un quanto meno perplesso Vincenzo Boccia, che non apre, ma nemmeno del tutto chiude: “Sulla patrimoniale siamo un po’ critici -dice l’attuale presidente degli industriali- Quello che pone Landini è un aspetto che va usato come termine di confronto. Occorre una riforma fiscale che aiuti il lavoro e le imprese italiane, i produttori”.
A parte quella di Marcegaglia, ben più ardite, nello stesso periodo del 2011, erano state altre proposte. La prima, eclatante, era arrivata da un banchiere, Pietro Modiano, secondo il quale era possibile esercitare un prelievo straordinario sulle grandi ricchezze ricavandone in un sol colpo 200 miliardi, da destinare alla riduzione del debito pubblico. Pochi giorni dopo, con una intervista al Corriere della Sera, un altro banchiere, Alessandro Profumo, aveva alzato la posta a 400 miliardi. La Cgil, più modestamente, aveva lanciato la sua, del valore di circa 15 miliardi, seguita a ruota dall’allora segretario del Pd, Pierluigi Bersani, con una mini-patrimoniale da 5 miliardi.
A parte un gran dibattere sui media, però, di tutto questo agitarsi di tasse patrimoniali non se ne fece assolutamente nulla. Anche perché, a fine 2011, arrivò a Palazzo Chigi Mario Monti, che i conti li rimise in ordine a modo suo, e che sulla patrimoniale, con una certa cinica saggezza, ebbe a dire: ‘’per tassare i patrimoni, bisogna prima trovarli’’. Toccando così il tasto più dolente, e cioè l’evasione/elusione fiscale che rende quasi impossibile capire chi e cosa tassare, e dove. Malgrado la nostra ricchezza nazionale continui ad essere, centesimo più, centesimo meno, circa 4 volte il nostro debito pubblico, resta difficile tracciarla e rin-tracciarla. Una patrimoniale basata sulle persone fisiche, per dire, escluderebbe tutti coloro ( e sono la maggior parte di chi possiede grandi patrrimoni) che celano i propri beni all’ombra di una qualunque persona giuridica.
Eppure, se di tasse sono probabilmente morti molti poveri, certamente mai nessun ricco. Lo dimostra la storia dell’economia americana, dove il massimo di prelievo fiscale ha corrisposto sempre il massimo di espansione, e viceversa. Negli Usa, prima della Grande Guerra, l’imposizione fiscale oltre il mezzo milione di dollari era del 7 per cento; nel 1917, per fare fronte allo sforzo bellico, il presidente Wilson aumentò fino al 67% le tasse per i patrimoni a partire dai due milioni di dollari. Negli Anni Venti le tasse sui ricchi tornano a ridursi progressivamente, per arrivare, nel 1929, a un’ aliquota di appena il 24%. E, guarda la coincidenza, ecco che arriva la Grande Crisi. Dopo il 29 la musica cambia di nuovo: prima Hoover, nel 1932, e poi Roosvelt, nel 1936, attingono a piene mani dal portafoglio dei ricchi. Il padre del new deal porta l’aliquota massima all’81%, sforzo necessario a supportare le politiche di welfare di John Maynard Keynes, che consentiranno agli Usa di crescere non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e democratico. E nel ‘42, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la tassazione salirà addirittura al 94%.
In questo lungo arco di tempo, malgrado la tassazione spietata l’economia americana è cresciuta costantemente. Occorrerà arrivare agli anni Ottanta e a Ronald Reagan perché le aliquote tornino a puntare verso il basso. In parallelo, però, decollerà la deregulation finanziaria, che, nell’arco di un ventennio porterà alla crisi del sistema finanziario mondiale iniziato nel 2006 proprio negli Usa e culminato, nel 2008, con il fallimento di Lehman Brothers. Di cui ancora stiamo pagando l’onda lunga delle conseguenze. Toccherà poi a Barack Obama rimettere le cose a posto: iniziando col ri-tassare i più ricchi, o almeno provarci.
Infine, e giusto per concludere: un prelievo sui patrimoni era anche il suggerimento che l’Ocse aveva dato al nostro paese a inizio 2018. Era contenuto nel rapporto “The role and design of net wealth taxes”, nel quale si indicava come la possibile soluzione alle eccessive disuguaglianze in Italia, fosse, appunto, l’imposizione di una tassa patrimoniale. Ma è probabile che il nostro attuale governo, di fronte a questa ipotesi, replicherebbe all’Ocse: ‘’le patrimoniali se le faccia a casa sua’’.
Nunzia Penelope