Mauro Corona è ormai un beniamino del talk show ‘’Cartabianca’’. Il suo successo – per me inspiegabile – deriva dall’atteggiarsi al ‘’buon selvaggio’’ teorizzato da Jean Jacques Rousseau e dall’inneggiare alla ‘’decrescita felice’’ e dal proporre la full immersion in un angolo di natura ancora incontaminata rifiutando l’ossessiva tirannia del consumismo. Peraltro, Corona è la palese dimostrazione che un siffatto stile di vita può consentire di incassare ben più di ‘’quattro paghe per il lesso’’, attraverso i diritti d’autore ed altre prebende. Ma non è del personaggio Mauro Corona che intendo occuparmi. In proposito mi rimetto all’imitazione che ne fa il grande Maurizio Crozza, nella consapevolezza che la satira intelligente è lo strumento migliore per cogliere l’intima essenza dei soggetti presi di mira.
In una delle ultime puntate, l’ospite fisso di Bianca Berlinguer però è scivolato su uno dei luoghi comuni che sono riemersi con forza dopo anni durante i quali erano stati banditi dalla memoria collettiva: ‘’Mussolini ha fatto anche cose buone’’. Tale considerazione non viaggia soltanto nelle cloache dei social, ma addirittura è scappata (‘’voce dal sen fuggita più richiamar non vale/ non si trattien lo strale/ quando dall’arco uscì’’) durante un’intervista del presidente del Parlamento europeo, Alfredo Tajani (che almeno ha avuto il coraggio di scusarsi). In sostanza sta prendendo quota la teoria secondo la quale i più gravi errori di Benito Mussolini furono le leggi razziali e l’entrata in guerra. Magari sarebbe stato meglio non ammazzare Giacomo Matteotti, però il Duce fece anche cose buone.
A demolire questa convinzione ci sta provando un agile libretto di Francesco Filippi (editore Bollati Boringhieri) dal titolo ‘’Mussolini ha fatto anche cose buone? Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo’’. L’autore confuta, una per una, tutte la fake news ante litteram della propaganda di regime, sopravvissute – per sentito dire – fino ai nostri giorni. E’ un’operazione verità molto utile, anche se, a mio avviso, non ha senso giudicare un regime dittatoriale spulciando tra le singole azioni compiute, quando è sufficiente, per decretarne un’irrevocabile condanna, l’aver privato gli italiani (uomini e donne) delle libertà fondamentali, l’aver fomentato tutti gli ‘’ismi’’ maledetti del secolo breve, l’aver spinto il Paese in avventure coloniali e a partecipare ad una guerra atroce, al solo scopo cinico di ‘’gettare qualche migliaio di morti sul tavolo della pace’’. In tale contesto può capitare che sia stato costruito l’Eur, un’opera che non assolve il regime; ma non avrebbe avuto molto senso demolirne gli edifici, nel dopoguerra, perché ereditati dal fascismo; oppure spianare a terra Latina perché prima si chiamava Littoria.
In ogni caso, tra le idiozie confutate da Filippi ce ne è una che riguarda le donne: ‘’Mussolini valorizzò il ruolo della donna in Italia’’. In questa trappola è caduto anche Mauro Corona, il quale, commentando e condannando lo stupro nel club di CasaPound, ha affermato: ‘’ Di gente cosi che picchia le donne e i poveracci inermi (il Duce, ndr) si sarebbe vergognato. Ho detto che il regime, pur avendone combinate di ogni colore, inneggiava al coraggio, alla protezione della donna. L’ho studiata la storia”. Bianca Berlinguer gli ha risposto per le rime, ma, con la ristrettezza dei tempi televisivi, non è stata in grado di replicare compiutamente. Ci permettiamo di farlo noi prendendo a riferimento anche il contributo del saggio di Filippi. Partiamo dai codici. Nel diritto di famiglia la donna era del tutto subordinata al coniuge. Passando poi al diritto penale (codice Rocco del 1930) che dire del reato di adulterio che si declinava solo al femminile o del delitto d’onore che prevedeva una pena ridotta (da tre a sette anni di reclusione) per l’uomo che sorprendeva la moglie, la figlia o la sorella a fornicare illegittimamente con qualcuno e che, nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo e della famiglia, ne provocava la morte? Oppure della violenza carnale, collocata nella rubrica dei delitti contro il buon costume (e non contro la persona), sanabile con il c.d. matrimonio riparatore (a pari del ratto compiuto a tale scopo). Al cospetto di queste norme vergognose i ‘’nostalgici’’ possono contrapporre un solo argomento: che la Repubblica democratica le ha conservate per decenni nelle sue pandette. Durante il regime il profilo ideale della donna era quello della casalinga che, quando non partoriva dei figli, accudiva il marito e la famiglia. E solo in questo ruolo di partoriente e di madre era tutelata dall’ONMI.
Nel corso della Grande Guerra le donne avevano sostituito gli uomini (allora intenti a farsi ammazzare nelle trincee) nelle fabbriche. Il fascismo fece di tutto per espellerle dal mercato del lavoro, anche con misure coercitive disposte per legge. La mano fu più dura nel lavoro pubblico, dove si arrivò, nella scuola, a vietare alle donne di insegnare materie scientifiche e filosofia (il tipico insegnamento femminile era quello della ‘’maestra giardiniera’’ o della docente di economia domestica). Addirittura, nel 1938 fu varata una legge che metteva un tetto del 10% del complesso della forza lavoro per l’occupazione delle donne negli uffici pubblici e nelle aziende private. Il che provocò dei licenziamenti di massa anche di persone che avevano accumulato esperienza e professionalità. Come scrive Filippi, ‘’Il fascista ideale era giovane, forte e soprattutto maschio. La visione fascista della donna era quella di madre, moglie e, al limite vedova’’. Che altro dire? Si vede che questa storia Corona ha dimenticato di studiarla.
Giuliano Cazzola